«Il 25 aprile va custodito, insieme ai suoi valori, alla sua memoria che è essa stessa seme di quella civiltà politica che non possiamo assolutamente disperdere»
68 anni fa seminammo un campo che ora vorremmo “pulito”, “disserbato”. Ma il rischio è che insieme alla gramigna nel furore antipolitico si distrugga definitivamente il grano della democrazia. Ecco perché oggi questo 25 aprile va custodito, insieme ai suoi valori, alla sua memoria che è essa stessa seme di quella civiltà politica che non possiamo assolutamente disperdere.
Chi sognava nel 1945 la libertà lo faceva consapevolmente pensando ad una Italia giusta, fatta di giusti, ma anche di lotte giuste e non giustizialiste. Lo faceva pensando che i poteri, tutti i poteri, avrebbero dovuto avere equilibrio tra loro e che nessuno, neanche il popolo sarebbe potuto essere sovrano a tal punto da sovvertire la Costituzione e il sangue e il sacrificio su cui era poggiata.
Così in un periodo difficile per i partiti e per la casa che mi ospita ormai da molti anni e in cui anch’io ho contribuito a costruire fondamenta e pareti, mi ritrovo in questo 25 aprile a ritornare al sogno e agli ideali che animarono quel periodo della nostra Italia. Un rifugio sicuro per ogni italiano che senta nel cuore e nel proprio dna la possibilità di risorgere da un periodo così nero da sembrare notte.
Quegli ideali collettivi, che non avevano nulla a che vedere con le carriere politiche o istituzionali, quelli della meglio gioventù che poco somiglia all’armata di nuovi eletti etero diretti dall’alto.
Quegli ideali erano figli di un agorà condiviso, e non virtualmente, erano il frutto, la sintesi di posizioni diverse che avevano abbandonato lo scranno alto della politica di parte ed erano scesi, quelli si veramente, in piazza tra la gente che chiedeva “pace”, “lavoro” e “libertà”.
Il 25 aprile è la sintesi, ben richiamata dal Presidente Napolitano, di quello che dovremmo essere nel nome del Paese e che invece abbiamo dimenticato di essere nel nome di ogni singola corrente, di ogni singolo e personalissimo show mediatico, fatto di urla, magliette o mortadelle esibite in aula.
Su quegli ideali si formò il partito e il sindacato, e su quegli stessi ideali ancora oggi poggiano tutti i nostri diritti. Bisogna solo (?) tornare ad ascoltare la buona ragione che è dentro ad ogni cosa: il fine ultimo dell’impegno di ognuno di noi. Dal più piccolo al più grande.
Personalmente con gli ideali di quel 25 aprile continuo a costruire. Oggi con l’orecchio poggiato sul petto della mia terra non ho mai sentito così forte il richiamo di ricominciare da lì.
Ludovico Vico