L’Ilva poi si rivarrebbe sullo Stato
I prodotti finiti e semilavorati sequestrati il 26 novembre 2012 devono essere spediti entro il 5 maggio prossimo, altrimenti l'Ilva subirà automaticamente un danno economico di circa 27 milioni di dollari, che verrebbero poi chiesti quale risarcimento allo Stato italiano. Lo scrivono i legali dell'azienda siderurgica Ilva nell'ennesima istanza di dissequestro depositata in Procura a Taranto, questa volta allegando contratti e fatture relativi agli stessi prodotti. L'istanza segue di poche ore un ricorso che i legali dell'Ilva hanno depositato al Tribunale dell'appello contro l'ordinanza del gip Patrizia Todisco. Ricorso che, in serata, i giudici hanno respinto.
La questione riguardava la decisione del giudice Todisco che, il 19 aprile scorso, aveva dichiarato inammissibile una richiesta di dissequestro dei prodotti, non essendo ancora prevenuta la sentenza della Consulta che ha dichiarato priva di profili di incostituzionalità la legge 231 salva Ilva. «La gravità degli effetti che si produrrebbero ove non si provvedesse immediatamente al dissequestro in oggetto - scrivono i legali nell'istanza odierna di 13 pagine per conto del presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante - sono tali, in uno con la evidente e palmare fondatezza della presente istanza, da rendere difficilmente credibile che codesta Procura della Repubblica non procederà in tal senso».
I prodotti da spedire, si legge nell'istanza, fanno parte di un contratto di fornitura stipulato il 15 dicembre 2011 con la Oil Projects Company, Compagnia di Stato dell'Iraq, e fino ad oggi solo parzialmente onorato. Se ci sarà ancora ritardo nella consegna del materiale, la società irachena «sarà autorizzata a risolvere il contratto e ad affidare ad altre imprese la realizzazione della fornitura e, qualora i costi fossero superiori al prezzo contrattuale, tale eccedenza verrebbe addebitata all'Ilva stessa». Il mancato dissequestro dei prodotti, secondo l'Ilva, costituirebbe una «negligenza inescusabile», un «diniego di giustizia» e in ogni caso una «violazione della normativa comunitaria», in relazione alla quale «lo Stato italiano è responsabile anche in caso di colpa non qualificata del magistrato, ove sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente».