martedì 26 novembre 2024


27/07/2013 06:45:17 - Provincia di Taranto - Attualità

 A distanza di un anno esatto, scaduta la custodia cautelare ai domiciliari

 

Esattamente 365 giorni: è la durata della detenzione del patron dell'Ilva, Emilio Riva, di suo figlio Nicola e dell'ex direttore dello stabilimento siderurgico tarantino Luigi Capogrosso che si è conclusa ieri. Militari della Guardia di Finanza hanno notificato ai tre indagati per disastro ambientale una ordinanza del gip del tribunale di Taranto Patrizia Todisco che dispone la loro rimessione in libertà per decorrenza dei termini di custodia cautelare. I due Riva e Capogrosso erano agli arresti domiciliari dal 26 luglio 2012, giorno in cui vennero anche sequestrati gli impianti dell'area a caldo dell'Ilva.

L'ordinanza è stata notificata nelle rispettive dimore degli indagati, a Varese e provincia per i Riva e a Manduria per Capogrosso. Ad Emilio Riva e Capogrosso, per gli stessi reati (dal disastro ambientale al getto pericoloso di cose, all'avvelenamento di sostanze alimentari), il 26 novembre 2012 fu notificata una seconda ordinanza di custodia cautelare con la contestazione aggiuntiva di associazione per delinquere (provvedimento notificato anche all'ex dirigente Ilva Girolamo Archinà e a Fabio Riva, altro figlio di Emilio, poi rintracciato in Inghilterra dove si trova in libertà su cauzione in attesa di estradizione).

Sulla base di questo provvedimento, Capogrosso venne detenuto per alcuni giorni nel carcere di Taranto prima di riottenere gli arresti domiciliari. La richiesta cautelare venne avanzata dalla Procura anche per Nicola Riva, ma il gip disse di no. Sulle misure cautelari personali nei confronti di Emilio e Nicola Riva e di Capogrosso si è già espressa per due volte la Corte di Cassazione, il 17 gennaio 2013 e il 27 maggio 2013, respingendo i ricorsi dei difensori contro le ordinanze con le quali il tribunale di Taranto, in funzione prima di riesame e poi di appello, aveva confermato la misura restrittiva nei confronti dei tre indagati. Per i giudici della Suprema Corte, come scritto nelle motivazioni pubblicate il 4 aprile scorso e relative alla decisione del 17 gennaio, i Riva erano «consapevoli» del disastro ambientale che stavano provocando al territorio tarantino.











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