martedì 24 settembre 2024


25/10/2013 19:10:45 - Provincia di Taranto - Attualità

La lettera di un operaio che rischia di perdere il posto di lavoro

«Sono ancora qui, a nome mio e dei miei 120 colleghi della Compagnia multinazionale Vestas sita a Taranto, ad esprimere la nostra preoccupazione per la procedura di mobilità in corso nei nostri confronti. Innanzitutto questa è l’unica realtà che si occupa di eolico a livello industriale sul territorio italiano. Perderla significa andare a colpire in maniera pesantissima tutto il comparto del rinnovabile non solo in Puglia, ma in Italia. Pertanto il problema è di carattere nazionale e non solo locale: l’Italia rischia di perdere una battaglia d’immagine, occupazionale e sociale importantissima. D’immagine, perché il comparto eolico è l’altra faccia della medaglia di una città straziata dall’inquinamento e dall’impatto sanitario dell’industria siderurgica. Una delle poche realtà di cui noi tarantini andavamo fieri era proprio questa: la realtà delle energie pulite e rinnovabili.
Occupazionale: la chiusura della fabbrica di turbine non rappresenta una catastrofe solo per le nostre famiglie, ma anche per le famiglie delle attività satellite che orbitano attorno al nostro tessuto aziendale.
 
Ne elenco alcune:
1.       L’agenzia di vigilanza e portierato (VIS);
2.       La ditta delle pulizie (SPLENDOR SUD);
3.       La ditta dei distributori di bevande e snack (DIAL VENDOR);
4.       L’azienda responsabile degli accertamenti sanitari dei dipendenti (PROMOSIMAR);
5.       Le ditte di trasporti dei materiali grezzi e dei prodotti finiti (SAIMA, DHL, SHENCKER, PEYRANI);
6.       La ditta di noleggio e manutenzione di carrelli elevatori (SIMAT, TEMAX);
7.       La ditta di installazione e manutenzione di gru a ponte (ATS);
8.       La ditta di noleggio di autogru (MAGIS)
9.       La ditta di smaltimento e riciclaggio rifiuti (MMF);
10.  I magazzini esterni presso cui venivano stoccate le attrezzature di trasporto;
11.   I fornitori locali di carpenteria (STEEL WORKS, SCM, STOMA, COFIDEM, MARTEMUCCI);
12.   I fornitori locali di bulloneria (BERARDI);
13.   I fornitori locali di cavi elettrici (MECI, SONEPAR,ACMEI, IFI);
14.   I rivenditori locali di ferramenta, attrezzatura, cancelleria (PERRONE, MARIGLIANO);
15.   I fornitori di componentistica meccanica di precisione (COMER, BONFIGLIOLI, LAFERT, BREVINI);
16.   Agenzia per il lavoro in somministrazione (ADECCO);
17.   La ditta di produzione di abbigliamento da lavoro (SIR);
18.   Agenzia di viaggi, le strutture alberghiere, il servizio di taxi e autonoleggio;
19.   Ditta di trasporto nacelles e pale (SAE);
20.   Servizi portuali di Taranto (SPT);
 
Infine l’autorità portuale di Taranto subirà un ulteriore colpo da questa fuga di Vestas, non avendo alternative lavorative di rilievo. E chissà che non abbia dimenticato qualcuno. La ricaduta occupazionale avrà un effetto domino le cui conseguenze sociali non richiedono delle competenze specifiche per essere previste. Ai cittadini disoccupati si prospetta un ventaglio di soluzioni che va dal lavoro nero alla criminalità, all’emigrazione e chi non riesce a sopportare il peso della mancanza di prospettive si suicida. Il sindaco di Taranto ha minacciato lo scioglimento del consiglio comunale e le dimissioni dall’incarico, qualora davvero le istituzioni non lavorino per impedire a Vestas di attuare il proprio proposito di lasciare l’Italia. Ed è difficile dargli torto: cosa potrebbe amministrare a Taranto, qualora fosse abitata da studenti, pensionati, esodati, cassintegrati e disoccupati? Non sarà più possibile pagare le tasse e non sarà più possibile spendere dei soldi che non si hanno in tasca. L’effetto domino continuerà, abbattendosi sugli esercizi commerciali al dettaglio prima, e alle grosse catene distributive poi. La spirale verso il basso non ha fine. Smetteremo anche di curarci. Della città di Taranto non resterà nient’altro che un grottesco set cinematografico perfetto per un film horror, una città fantasma popolata da non morti.
La nostra disavventura va avanti da tre settimane ormai, e nonostante abbiamo contattato tutti i media possibili, per ora non siamo riusciti ad andare oltre il TG regionale. Come se l’estinzione e la cancellazione dalla carta geografica di Taranto non fosse argomento degno neanche di trenta secondi su un TG nazionale. In Italia è più importante sapere i dettagli dei matrimoni e dei parti delle soubrette.
Ed è così che muore una terra, la nostra: urlando, e tuttavia inascoltata».
 
 
Christian










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