E’ stata stilata da Michele Cagnazzo, responsabile dell’Ufficio Antiracket e Antiusura di Confartigianato
Stimare il mercato tarantino dell’usura è quanto mai difficile. Si tratta di un fenomeno fortemente sommerso su cui si possono solo indicare ordini di grandezza incrociando diversi criteri: numero delle denunce, operazioni delle forze dell’ordine, esame dei registri contabili sequestrati, la cifra media dell’erogato dal Fondo di Solidarietà per le vittime dell’usura, informazioni confidenziali da parte delle vittime. Anche l’esperienza è utile per la quantificazione del mercato usuraio. Ed è bene aggiungere che quasi mai i sequestri colpiscono la totalità dei beni procurati illecitamente e occultati fra prestanome e segreto bancario. Sulla base di queste informazioni possiamo presumere che su Taranto e Provincia, il numero dei soggetti coinvolti in rapporti usurai è sensibilmente aumentato. Ciò che più preoccupa è che nella maggior parte dei casi i rapporti usurai sono con associazioni per delinquere finalizzate all’usura. Gli interessi sono ormai stabilizzati oltre il 10% mensile, ma cresce il capitale richiesto e gli interessi restituiti. E’ sufficiente guardare l’entità dei sequestri patrimoniali disposti dall’autorità giudiziaria nei confronti degli usurai, per rendersi conto dell’enorme fatturato che ruota intorno a questo odioso reato. Alle aziende coinvolte vanno aggiunti gli altri piccoli imprenditori, artigiani in primo luogo, ma anche dipendenti pubblici, operai, pensionati. Dalle nostre stime, certamente per difetto, il numero delle denunce appare veramente risibile. Assistiamo ad un calo sistematico e apparentemente inarrestabile del numero delle denunce. In sei mesi 8 casi presi in carico tra problematiche legate all’usura e al sovra indebitamento. Nel dettaglio sono stati effettuati 2 interventi di sovra indebitamento familiare, 2 interventi di prevenzione antiusura, 3 interventi di riabilitazione imprenditori usurati ed è stata presa in carico una sola denuncia di usura. L’impresa tarantina, soprattutto quella minore sta attraversando un momento di forte crisi. Al calo dei consumi, ad un mercato che cresce senza regole tra abusivismo e grande distribuzione, si è aggiunto la ristrettezza del credito come conseguenza diretta della crisi finanziaria che fa pagare al piccolo commercio il prezzo più alto. Tantissime le attività tarantine, nell’ultimo semestre, costrette alla chiusura. Di queste la maggior parte deve la sua cessazione all’aggravarsi di problemi finanziari, a un forte indebitamento, all’usura. Non tutti chiudono definitivamente, due commercianti su tre tentano di salvarsi intraprendendo un’altra attività cambiando ragione sociale, ovvero intestando l’attività ai figli, alla moglie, o qualche parente stretto. Il fenomeno colpisce in larga parte persone mature, intorno ai 50 anni, che hanno sempre fatto i commercianti e che hanno oggettive difficoltà a riconvertirsi nel mercato del lavoro e, quindi tentano di tutto per evitare il protesto di un assegno, o il fallimento della propria attività. Solitamente sono commercianti che operano nel dettaglio tradizionale: alimentaristi, fruttivendoli, gestori di negozi di abbigliamento e calzature, fiorai, mobilieri quelli che oggi pagano più di ogni altro il prezzo della crisi. Non deve, quindi, stupire che in questa situazione ci si rivolga agli usurai anche per aprire bottega. Non è un caso, il fenomeno della così detta “usura di giornata”, molto diffuso a Taranto, cioè un prestito usuraio che si conclude nell’arco di una giornata: la mattina si prende la sera si cerca di restituire con gli interessi. Quindi questa forte fase di recessione economica, ha determinato, purtroppo, una ripresa incontrollabile del fenomeno usuraio, nel tarantino. Oggi a Taranto – troviamo l’usuraio che attende i clienti davanti ai cancelli di una fabbrica, davanti alle porte di una banca. E’ inevitabile che, come in ogni mercato, con il crescere della domanda si sviluppi anche l’offerta. Un’offerta ormai diversificata. L’usura di giornata ne è una prova. Così accanto a figure classiche di usurai di quartiere si muova un nuovo mondo che va dalle società di servizi e mediazione finanziaria, a reti strutturate e professionalizzate, fino a giungere a soggetti legati ad organizzazioni criminali. Si segnalano a questo riguardo due aspetti importanti: cresce innanzitutto da parte delle vittime l’entità del capitale richiesto. Si tratta di somme cospicue che il prestatore di quartiere non è in grado di soddisfare, mentre l’usuraio del clan spesso il ragioniere che gestisce la liquidità che deriva dal traffico di droga e delle scommesse nel giro di poche ore può farlo, anche per le richieste più impegnative. In secondo luogo, paradossalmente, aumentano le sofferenze anche per i prestatori a nero e solo gruppi particolarmente attrezzati, dotati di una organizzazione e di un carisma criminale importante, sono in grado di riscuotere con certezza le rate usuraie scadute. Infatti per alcuni l’obiettivo è la moltiplicazione del denaro, per altri quello di impossessarsi delle aziende delle vittime, altri ancora puntano alla spoliazione dei patrimoni. Un quadro, quindi, variegato nel quale vecchio e nuovo si mescolano e s’intrecciano.
*In ambito di attività estorsiva, invece, lamentiamo la puntuale assenza di collaborazione delle vittime. La criminalità, nonostante le ripetute e brillanti operazioni di polizia giudiziaria, continua a far paura e le vittime preferiscono pagare il pizzo, invece di denunciare. Chiaramente c’è qualcosa che non funziona. Non a caso, laddove è più forte la capacità intimidatoria e di controllo, assai limitata è la propensione delle vittime alla denuncia. Ad influire negativamente sulla crescita delle denunce è la strategia della criminalità, la quale ha scelto di attuare l’imposizione del pizzo con la formula: far pagare meno, far pagare tutti, facendo diventare il pizzo un costo “accettabile” pel le imprese e riducendo così l’allarme sociale sul fenomeno. In secondo luogo la sfiducia del cittadino nel sistema giustizia ma grande approvazione per l’operato delle Forze dell’Ordine. A seguire risulta determinante la paura di ritorsioni personali e familiari per la mancanza di rapidità ed efficacia degli interventi istituzionali.
La modalità più diffusa consiste nell’estorsione di denaro. A seguire l’imposizione di forniture e di personale nell’attività dell’azienda. Possiamo affermare che per quel che riguarda il racket, si rileva un sostanziale equilibrio tra quanti dichiarano che questo reato sia aumentato (27%), quanti dichiarano che sia diminuito (26%) e quanti dichiarano che sia rimasto invariato (30%).
Potete ben capire come il nostro lavoro di prevenzione, repressione e riabilitazione – sottolinea Michele Cagnazzo – in questo contesto è sempre più difficile. In questa battaglia che ci vede quotidianamente accanto alle piccole e medie imprese, famiglie comprese è chiaro che non esistono formule magiche ma la parola d’ordine è fare sistema. Noi come confederazione di categoria – continua Cagnazzo - insieme con le forze dell’ordine continuiamo a metterci la faccia, ma la grande assente continua ad essere la politica tarantina. Le attività di promozione della legalità, dedicate specificatamente a sensibilizzare l’opinione pubblica su questi fenomeni criminali oltre ad iniziative importanti, sono totalmente assenti nella città di Taranto. La politica che non capisce che proprio questa sinergia delle istituzioni rafforzerebbe la presenza dello Stato sul territorio, ed in qualche modo otterremmo un’inversione di tendenza nel rapporto tra il cittadino e le istituzioni.
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E’ in rete la seconda puntata del “Prudenzano News”
“Non un rito ma il culto della memoria
Tributo a Elisa Springer”