lunedì 23 settembre 2024


21/02/2016 19:48:15 - Provincia di Taranto - Attualità

I direttori della fabbrica avrebbero omesso «di informare e istruire» l’operaio sul cosiddetto «rischio amianto» presente nell’ambiente di lavoro e quindi della «necessita dell’uso dei dispositivi di protezione individuale per le vie respiratorie» e anche di fornirgli questi dispositivi di sicurezza

Sono otto gli indagati nella nuova indagine per la morte di un operaio dello stabilimento siderurgico ucciso da un adenocarcinoma polmonare contratto, secondo la procura ionica, a causa delle inalazioni di fibre di amianto all’interno della fabbrica. Nel registro degli indagati sono finiti i direttori dello stabilimento dell’Italsider di Stato dato che la vittima ha lavorato in fabbrica fino al 1996, cioè solo pochi mesi dopo la privatizzazione dei Riva. Il procuratore aggiunto ha accusato di cooperazione in omicidio colposo Gian Battista Spallanzani, direttore tra il 1978 e il 1982, Sergio Noce a capo della fabbrica tra il 1983 e il 1984, Attilio Angelini direttore tra il 1984 e il giugno 1987, Girolamo Morsillo alla guida della fabbrica dal luglio 1987 a dicembre 1988, Francesco Chindemi direttore dello stabilimento tra gennaio 1989 e luglio 1993, Nicola Muni tra l’agosto 1993 e il maggio 1995, e infine, Ettore Mario Salvatore a capo dell’Italsider tra il maggio 1995 e il novembre 1996. A questi va aggiunto anche Giancarlo Negri, medico competente in carica dal giugno 1989 e sino all’aprile 1995.
Secondo il procuratore Argentino, che nelle scorse ore ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini, i direttori della fabbrica avrebbero omesso «di informare e istruire» l’operaio sul cosiddetto «rischio amianto» presente nell’ambiente di lavoro e quindi della «necessita dell’uso dei dispositivi di protezione individuale per le vie respiratorie» e anche di fornirgli questi dispositivi di sicurezza. Per Negri, invece, l’accusa è di non aver preteso nella sua qualità di medico «l’osservanza degli obblighi» previsti dalla legge. Per la procura inoltre tutti avrebbero consentito che la vittima operasse nella sua mansione di quali rilevatore e ispezionatore in alcuni reparti dello stabilimento nei quali era presente l’amianto e quindi con un rischio molto elevato di entrare a contatto con le fibre cancerogene. Un rischio aggravato dal fatto, secondo la procura, che non era mai stata avviata una bonifica all’interno della fabbrica.










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