Viaggio nella storia di un rito
Anche quest’anno, all’ora stabilita, otto piccole processioni attraverseranno il centro cittadino nel tardo pomeriggio di Venerdì Santo.
Otto gruppi plastici e scultorei, raffiguranti scene della Passione di Cristo, muoveranno dalle rispettive chiese confraternali e parrocchiali in cui sono conservati e, con al seguito confratelli e fedeli, come da tanti rivi, confluiranno verso la Collegiata.
In quest’ultima, posta al centro della navata principale, starà in attesa l’antichissima statua lignea di Cristo Morto, adagiata nella sua urna.
Giunti a destinazione, gli otto simulacri si disporranno secondo l’ordine processionale che, da sempre, è a loro assegnato, aspettando, all’esterno, l’avvio della grande processione dei Misteri. Nell’attesa, le fresie e le violacciocche, spesso usate per l’addobbo, spanderanno intorno un odore speziato che già prelude alla cannella dei dolci pasquali.
Il corteo, però, non avrà inizio se prima non avrà fatto il suo ingresso, nella Chiesa Collegiata, rischiarata dall’ultima luce del giorno che cade livida sull’antica facciata, la Madre Dolente, Maria Ss.ma Addolorata, accorsa per visitare il Figlio.
Soltanto dopo, al momento dell’uscita solenne di Cristo Morto e della Madre dal portale principale del Duomo, salutati dalla marcia funebre improvvisamente intonata dalla banda civica, la grande processione si snoderà per le principali vie cittadine, seguendo uno dei due itinerari prestabiliti, percorsi ad anni alterni.
E’ la processione dei Misteri di Manduria, come si svolge da tantissimi anni, il cui nucleo originario era costituito, in principio, dalla statua lignea del Cristo Morto (il “Sacro Cadavere”), portata a spalla, fin dal XVI secolo, dal reverendo Capitolo della Collegiata ed il cui passaggio era annunziato dal cadenzato suono di un piffero e di un tamburo.
Al Capitolo, per rendere più imponente la processione, si associarono le antiche Arciconfraternite del Ss.mo Sacramento e (successivamente, a partire dal 1716) della Morte e Orazione. Probabilmente quest’ultima recò con sè la statua dell’Addolorata, che ancor oggi viene utilizzata per l’occasione (1).
Tra le due arciconfraternite, nel XIX secolo, si giunse perfino a questionare sul diritto di dirigere ed ordinare la processione del Venerdì Santo, diritto che entrambe rivendicavano sulla base di antichi documenti e di pretese consuetudini.
Vi furono così i processi dinanzi ai Tribunali ecclesiastici di prima e seconda istanza, entrambi con esiti favorevoli per l’Arciconfraternita della Morte, cui seguì il ricorso della congrega soccombente alla Curia romana (dinanzi alla Sacra Congregazione del Concilio).
Dalla Congregazione romana pervenne, datato 19 Gennaio 1889, il “salomonico” responso che chiudeva l’annosa controversia, restituendo il diritto al Capitolo della Collegiata. All’Arciconfraternita del Sacramento, e non a quella della Morte, veniva invece riconosciuto soltanto il posto d’onore nel corteo (2).
Al nucleo più antico della processione, sul finire del secolo decimonono, si aggiunsero le quattro statue in cartapesta commissionate a Lecce dal donatore manduriano dott. Nicola Mancini e realizzate egregiamente dal celebre maestro Giuseppe Manzo (1849-1942), l’artefice dei Misteri in cartapesta che sfilano anche nella vicina Taranto.
I simulacri, appena giunti in città, furono affidati alla custodia di quattro confraternite e, precisamente, la Confraternita del Rosario, oggi scomparsa (Cristo nell’orto degli ulivi), del Carmine (Cristo alla colonna - Flagellazione), della Purificazione (Ecce Homo), dei Santi Leonardo e Sebastiano (Cristo portacroce).
Nello scorso secolo, infine, si sono aggiunti gli ultimi tre: la bellissima statua lignea della Pietà (dono del concittadino dott. Ermanno Soloperto), l’Incontro di Gesù e sua Madre, il Cristo in croce, affidati, rispettivamente, alle chiese parrocchiali di S.Michele Arcangelo, S.Paolo della Croce e S.Giovanni Bosco.
Il tutto per un totale di nove Misteri che vengono oggi a comporre la omonima processione mandurina (3).
Anche questa sacra rappresentazione, come le altre del suo genere, sembra riprendere gli antichi riti pagani legati alla commemorazione della passione e morte di Attis (i cd. Tristia).
Il mito raccontava che la Madre degli dèi, Cibele, si era innamorata perdutamente del giovane Attis, ma quando questo decise di sposarsi, la dea temendo di essere abbandonata, lo spinse alla follia inducedolo ad evirarsi il giorno delle nozze. Attis morì dissanguato, e dal sangue sparso nacquero le viole.
Cibele disperata, chiese a Zeus di riportare in vita l’amante, che così fu risuscitato dai morti.
Nel periodo primaverile i sacerdoti della dea Cibele, erano soliti rievocare il mito e percorrevano processionalmente le strade, percotendosi e fustigandosi fino a provocarsi delle ferite. Il corteo era accompagnato dal suono di pifferi, cembali, raganelle e timpani.
Ai Tristia seguivano gli Hilaria, durante i quali si celebrava la «resurrezione» del dio.
Attualmente, per singolare coincidenza, così come, nell’antica processione di Cibele, uscivano in corteo le rappresentazioni con le scene della morte di Attis, allo stesso modo vengono portati in processione i gruppi scultorei con scene della Passione di Cristo.
Come, acutamente, scrive Cattabiani in una sua nota opera, il mito e le celebrazioni ad esso legate farebbero quasi pensare ad una prefigurazione della Pasqua cristiana, in quanto “Di fronte a queste somiglianze con i riti pasquali si sarebbe tentati di parlare, come fece Simone Weil, di un antico testamento pagano destinato ad essere illuminato e purificato dalla Rivelazione del Cristo” (4).
La processione mandurina dei Misteri si segnala per una particolare sobrietà e compostezza.
I confratelli sfilano con il capo coperto dal cappuccio che, però, non è calato e lascia intravedere il volto, mentre, a parte la croce dei Misteri che apre il corteo, sono del tutto assenti i segni esteriori, come gli stendardi e le altre insegne confraternali, né vi sono figure di penitenti o flagellanti: il lutto e la mestizia sono dignitosamente espressi da tutti i partecipanti, senza ostentazioni od eccessi.
Soltanto nell’800, con l’affermarsi della tradizione delle bande civiche, si è aggiunto l’accompagnamento musicale della “banda o fanfara”, che, come già detto, ha preso il posto del tamburino e di uno strumento a fiato.
All’accompagnamento della banda spesso si alterna o si aggiunge nella parte iniziale della lunga, interminabile processione, il canto dei fedeli che intonano alcuni pezzi classici del canzoniere della Via Crucis, come “Gesù mio con dure funi” e “O fieri flagelli”, composti entrambi da Sant'Alfonso Maria de Liguori, “Ti saluto o Croce Santa”, ed altri. Tutti questi pezzi, registrati dal vivo in una delle passate edizioni della processione di Manduria (1987), sono ora ascoltabili su Archivio Sonoro Pugliese (5).
Un tempo, il passaggio della processione, nelle strade oscurate, era illuminato da fanciulli che tendevano dei lampioncini di carta tenuti accesi (“lampiuni”) e salutato dal rumore assordante delle raganelle (“trenule”) che roteavano freneticamente i più grandicelli. Il loro suono, unito a quelle della troccola usata dalle confraternite, rompeva il silenzio generale.
L’arrivo nella piazza principale, da sempre è caratterizzato dal “sermone”, la consueta predica tenuta al popolo dall’arciprete della Collegiata o, anticamente, anche da un predicatore invitato allo scopo (“la predica ti Cristu muertu”).
Nella piazza la processione si concluderà, come d’uso, con il ritorno delle statue alla rispettive chiese, mentre, per antico e significativo privilegio, solo l’Addolorata accompagnerà il rientro del Figlio nella Collegiata, là dov’era andata a prelevarlo, per poi recarsi alla sua chiesa. Pare che, in passato, i confratelli della Morte, al rientro dell’immagine mariana simulassero, all’interno della loro chiesa, il terremoto che seguì la morte di Cristo, battendo colpi sui muri e movendo rumorosamente le sedie.
La celebrazione si chiuderà a tarda notte.
Ma, il giorno dopo si aprirà sereno, con la trepidante attesa della Resurrezione.
A fine ‘800 il concittadino Giuseppe Gigli, già citato studioso di tradizioni popolari, commentava:
“Moltissime sono le processioni religiose che nei piccoli comuni di Terra d'Otranto prendono esatta forma di superstizione, la quale trova specialmente la sua più alta manifestazione nelle processioni che sogliono farsi per le vie durante la settimana santa, e che spesso sono a base di spettacolo, con accompagnamento di pianti, convulsioni e sferzate.” (6).
Il giudizio, ad alcuni, è sembrato sbrigativo e superficiale.
Senonché, il rito mandurino del Venerdì Santo, per come si è venuto a formare nel tempo, dovrebbe accontentare coloro che, compresi i moderni liturgisti, sono contrari alla teatralizzazione di queste manifestazioni e vorrebbero, pure nei casi in cui esse affondano le loro radici in tradizioni antiche, se non cancellarle, almeno renderle più semplici, liberandole dagli eccessi.
Ma, francamente, in dette circostanze, il giusto contemperamento tra fede e folklore, se non impossibile, è certamente difficile da ottenere, e non è facile dire che cosa può risultare eccessivo e che cosa no.
Forse, per meglio orientare il giudizio, si dovrebbe fare riferimento alla genuinità ed alla antichità dei rituali seguiti, eliminando tutto ciò che si è aggiunto dopo, in maniera artificiosa, a volte anche a scopo non propriamente religioso.
Nel nostro caso, però, la compostezza, che ab origine contraddistingue il rito, impedisce che il problema possa anche soltanto porsi.
Predisponiamoci allora a rivivere, con le giuste dosi di orgoglio e di consapevolezza, la nostra processione, condividendola con i concittadini lontani e con quanti, da fuori, verranno a vederla.
Buona Pasqua amici lettori.
Giuseppe Pio Capogrosso
(1-2) Nino Palumbo, La venerabile Arciconfraternita del SS.Sacramento in Manduria, Manduria – 1988.
(3) Per alcuni anni alla processione si è anche unito il gruppo plastico della S.Croce con S.Elena, opera dell’artista leccese Raffaele Caretta (1871 – 1950), portato dalla Parrocchia di S.Maria di Costantinopoli.
(4) Alfredo Cattabiani, Calendario – Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno, Rusconi, Milano 1988
(5) Archivio Sonoro della Puglia Fondo Leydi M. Cazzato, Manduria 1987
(6) “Superstizioni, pregiudizi, credenze e fiabe popolari in Terra d'Otranto”, Firenze – Barbera, 1893, pag. 97.
(7) Le foto riproducono i quattro misteri realizzati da Giuseppe Manzo, l’Addolorata e Cristo Morto.