mercoledì 27 novembre 2024


15/04/2016 15:18:24 - Manduria - Attualità

L’intervento a Manduria di Giuseppe Di Bello, tenente della Polizia Provinciale, che aveva denunciato sei anni fa l’inquinamento delle falde e delle acque della Basilicata, derivante dall’estrazione del greggio dai pozzi petroliferi

 
«L’acqua dell’invaso del Pertusillo? Buona da .. morire».
Giuseppe Di Bello, tenente della Polizia Provinciale, aveva denunciato sei anni fa l’inquinamento delle falde e delle acque della Basilicata, derivante dall’estrazione del greggio dai pozzi petroliferi, e il rischio di disastro ambientale. Pur mostrando i risultati delle analisi fatte eseguire a proprie spese, ottenne, come riscontro, una denuncia e la conseguente condanna per “procurato allarme” e per “rivelazione di segreti d’ufficio”. Fu costretto a lasciare il proprio lavoro di ufficiale della Polizia Provinciale, per essere “dirottato” a custode di un museo. I “colletti bianchi” avevano fatto quadrato per evitare che emergesse una situazione drammatica.
«L’inquinamento in quell’area della Basilicata è di livello notevolmente superiore a quello generato a Taranto dall’Ilva o in Campania nella “terra dei fuochi”» è l’allarme ribadito l’altro ieri sera a Manduria da Giuseppe Di Bello, nel corso di una conferenza promossa da “Verdi”, “Giovani per Manduria” e dal movimento “La Puglia in Più”. «Ma hanno tentato di farci passare per pazzi e visionari. L’unico magistrato che aveva avviato delle indagini, partendo proprio dalle mie denunce, fu presto trasferito a Trieste».
Un muro di omertà pauroso, che è stato squarciato, a distanza di sei anni, dall’inchiesta della Procura di Potenza.
«Nel gennaio 2010 avevo visto cambiare il colore dell’invaso del Pertusillo, sotto il bivio di Montemurro» ha ricordato Di Bello. «C’era una patina anomala. Dalle analisi è emersa la presenza di metalli pesanti, idrocarburi alogenati e clorurati cancerogeni. Nel 2011 ho prelevato i sedimenti sui fondali dell’invaso. Ho trovato 559 mg/kg di idrocarburi, nonchè metalli pesanti in misure elevatissime. E dopo è andata anche peggio. Sotto il pozzo di reiniezione, Costa Molina 2, c’erano alifatici clorurati cancerogeni 7.000 volte oltre i limiti».
Era la prova che il pozzo perdeva. Ora è stato sequestrato.
«Vicino al Tecnoparco, in Val Basento (partecipato al 40 per cento dalla Regione), a Pisticci, nei pozzi dei contadini c’erano sostanze cancerogene anche 1.000 volte oltre i limiti. Mi hanno denunciato ancora, ma purtroppo avevo ragione».
L’inchiesta della Procura di Potenza ha accertato che la “mafia dei colletti bianchi” ha truccano i codici dei rifiuti: da pericolosi a non pericolosi.
«Le compagnie petrolifere hanno versato, come royalty, agli enti pubblici della Basilicata 1,6 miliardi di euro in 16 anni: solo le briciole, insomma. E’ stato anche calcolato che se i rifiuti pericolosi prodotti fossero stati smaltiti secondo le disposizioni di legge, le compagnie petrolifere avrebbero speso 100 milioni di euro ogni anno. In buona sostanza, quindi, ciò che hanno versato come royalty è esattamente la somma che non è stata spesa per smaltire correttamente i rifiuti pericolosi. Ecco il business di queste compagnie, che estraggono 80-85mila barili di petrolio al giorno (almeno questi sono i dati ufficiali, ma qualche dubbio resta), e che potrebbero arrivare anche a oltre 100mila barili al giorno.
Gli assunti sono poche centinaia: forse 300. In cambio di questo pseudo vantaggio, hanno generato un disastro ambientale e hanno costretto alla chiusura tantissime aziende agricole che operavano nella zona: i loro prodotti non li compra più nessuno.

Se domenica non si raggiungerà il quorum, le prospettive sono davvero nere: non si riuscirà più a scardinare questo andazzo».











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