Tredici giorni per le offerte
Tredici giorni alla presentazione delle offerte vincolanti per l’acquisizione del gruppo Ilva. Passano i giorni e il fronte dei sindacati si scalda sempre più preoccupati dai continui cambi di marcia. «Sull'Ilva si continua a perdere tempo e il tempo non è un fattore secondario, ora perdiamo 20 milioni al mese», dice il segretario generale della Uilm Rocco Palombella che insieme a Maurizio Landini, della Fiom, e Marco Bentivogli, Fim Cisl, ha chiesto un incontro urgente con il ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda. "Da quello che sappiamo c'è il concreto rischio di un pesante ridimensionamento dei livelli occupazionali. Una vera catastrofe per le famiglie di Taranto e per la città», afferma Palombella. Calenda e il viceministro Teresa Bellanova vedranno i sindacati martedì 21 giugno.
Fiom, Fim e Uilm sono preoccupati con ragione: anche se il bando richiede ai concorrenti garanzie sui livelli occupazionali, risulta all’ANSA che entrambi i piani industriali delle due cordate ArceloMittal-Marcegaglia da un lato e Arvedi con Erdemir dall’altro prevedono livelli di produzione ampiamente al di sotto delle potenzialità produttive del siderurgico di Taranto (la prima acciaieria d’Europa) e anche ampiamente al di sotto del tetto fissato dal Piano Ambientale del 2014 poco sopra gli 8 milioni di tonnellate di produzione. Ci sarà quindi un ridimensionamento dell’Ilva almeno nel breve e medio periodo.
Infatti, sia il piano ArcelorMittal-Marcegaglia sia il piano Arvedi prevede di lasciare fermo l’Altoforno 5, il gigante che da solo vale il 40% della produzione. Secondo il piano del colosso mondiale dell’acciaio, la produzione dell’Ilva sarà portata al massimo a 6 milioni di tonnellate. Un livello che consentirebbe comunque di raggiungere il break even in tre anni anche grazie all’inserimento nelle linee produttive di prodotti ad alto valore aggiunto.
L’ipotesi di rimettere in funzione l’Afo 5 (per il quale l'amministrazione straordinaria avrebbe già speso in materiali per l’ammodernamento 100 milioni di euro) sembrerebbe - secondo il gruppo con sede in Lussemburgo - alquanto lontana e incerta, demandata genericamente all’andamento del mercato. Anche il piano Arverdi - sempre secondo quanto risulta all’ANSA - non prevede il rifacimento dell’Afo 5. Il progetto del gruppo italiano, che nei giorni scorsi avrebbe finalmente raggiunto un accordo con il gruppo turco Erdemir, prevede di aggiungere due forni elettrici agli attuali tre altiforni in funzione, ma anche qui la produzione totale non dovrebbe superare i 6 milioni di tonnellate. Con questi livelli di produzione i tagli occupazionali rischiano di essere draconiani.
Qualcosa di più si dovrebbe sapere mercoledì prossimo quando sia i vertici di Arvedi sia quelli di Erdemir saranno ascoltati in commissione Industria del Senato.
Secondo quanto riferisce Mf, l’allenza Arvedi-Erdemir porterà alla formazione di una newco capitalizzata per una cifra che oscilla fra 900mila e 1 miliardo di euro. A Erdemir andrebbe il 30-35% del capitale e ad Arvedi fra il 9 e 10%. Ai due gruppi si assocerebbero Cassa Depositi prestiti e Delfin, la holding della famiglia Del Vecchio.