La rievocazione evangelica che affonda le sue radici in epoca romana
Numerosi sono i riti e le tradizioni afferenti la figura di S. Giuseppe, il Santo del silenzio, tutelare degli orfani e dei poveri.
Tra questi, rientra il Rito dei Santi, curato dalla Pro Loco di Fragagnano, ormai giunto alla sua X edizione,che avrà luogo domenica 19 marzo, alle ore 11,presso l’Istituto “S.M. Mazzarello”, sito in via A. Manzoni.
Le origini di tale rituale sono da ricercare nei riti ancestrali delle società rurali, legati al ciclo di morte e rinascita della natura; nei saturnali romani; nelle tavole che, durante il Medioevo, i signori feudali imbandivano per i poveri e, ancora, nella liturgia tramandata dai monaci basiliani.
Ad essi vanno ad aggiungersi anche tradizioni delle comunità arbereshe che, nel giorno di San Giuseppe, celebravano l’Arcipurcim o festa dell’Arziburo, un banchetto collettivo tra famiglie dello stesso ceppo e delle comunità ebraiche che festeggiavano il Tubishevàt, il Capodanno degli alberi, con un pasto di quindici varietà di frutta.
Insomma, si tratta di un rito che si riallaccia ad usi pagani, ma che conserva il valore di una tradizione che si perpetua da una generazione all’altra, testimoniandone il fascino di una festa che ha tutto il sapore di un risveglio dal torpore invernale.
Per rappresentare il rito viene allestito una sorta di altare attorno al quale si dispongono i convenuti (da tre a tredici), in numero dispari, richiamando l’immagine dell’Ultima Cena.
Dopo aver recitato una preghiera, i Santi danno inizio al pranzo.
San Giuseppe siede a capotavola ed ha il posto contrassegnato da un bastone fiorito, simbolo del miracolo grazie al quale fu prescelto per essere lo sposo di Maria.
Alla sua destra siede la Madonna, alla sua sinistra Gesù Bambino e, poi, di seguito tutti gli altri.
Quest’anno, alla tavola dei Santi, prenderà parte anche Don Bosco, il Santo dei giovani, nonché il fondatore dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
San Giuseppe dà il via al pranzo, battendo un colpo di bastone sul pavimento e scandisce l’alternarsi delle pietanze, per un totale di tredici sapori, battendo la forchetta sul bordo del suo piatto.
Sulla mensa primeggiano: i bucatini con la mollica di pane, la massa, i ceci, i fagioli e le fave, il baccalà, i carciofi, i cavolfiori fritti, le arance e “li cartiddati “.
Immancabili il pesce fritto e i lampascioni, le cipolline selvatiche tipiche della nostra cucina.
Ognuna di queste pietanze è allusiva di arcaiche simbologie apotropaiche.
Tuttavia, un posto di primo piano è riservato al pane che, diviso e consumato, è il simbolo della comunità, veicolo di comunicazione tra individui e di comunione con il divino.
Il rito sarà intervallato da letture e dalla recitazione di poesie e di proverbi, che racchiudono in sé veri e propri tesori di saggezza.
Il senso di questo rituale è quello di una consuetudine che parla di unione, convivialità, di una fede autentica da riscoprire, ricordandoci che ciò che si ha, va diviso e condiviso.
Nunzia Digiacomo