E’ il tema di ordine generale sul progresso
La parola “progresso” ci porta istantaneamente alla mente un miglioramento delle condizioni umane. Probabilmente mai come oggi si è avvertito questo divario tecnologico tra la nostra generazione e quella dei nostri genitori, portandoci erroneamente a pensare che tutto questo ci porti ad una maggiore civiltà. Una valutazione di questo tipo risulta tuttavia falsa ed illusoria ad un’analisi più attenta. Prendiamo in analisi due delle più grandi potenze economiche a livello mondiale: Stati Uniti e Giappone.
I primi sono indubbiamente dei precursori per molti campi di ricerca, hanno i programmi spaziali della NASA, la Silicon Valley e credono moltissimo nella ricerca, in cui investono milioni di dollari proprio in nome del progresso. Non possiamo però “nasconderci dietro ad un dito” senza ammettere che tutto questo non viene fatto per virtù morale o interesse nei confronti del prossimo, quanto – almeno nella maggior parte dei casi – per il puro interesse economico delle aziende che finanziano tali ricerche, sperando di trarre un importante profitto personale.
Paradossalmente in un ambiente con un benessere apparente così grande ci si aspetta una caratura morale dello stesso livello, eppure gli U.S.A hanno ancora ventitré stati in cui si fa uso regolarmente della pena di morte, cosa inconcepibile per chi vive all’interno dell’UE. La loro società multiculturale sembra poi funzionare solo sulla carta, poiché ci sono numerosi episodi in cui si denuncia una disparità di trattamento – in particolare dalle forze dell’ordine – semplicemente a causa del colore della propria pelle, portandoci alla conclusione che i movimenti per i diritti degli afroamericani, attivi specialmente nella seconda parte del novecento, non abbiano debellato il razzismo insito nella società.
Una situazione diversa invece si può trovare in Giappone, dove lo spirito di sacrificio si è acuito in un popolo messo in ginocchio dai devastanti effetti della bomba atomica e dalla successiva sconfitta nella Seconda Guerra mondiale. In questo modo si è creato un rifiuto ed una demonizzazione del fallimento, in qualsiasi forma esso possa presentarsi, portando sì la nazione a tornare competitiva in ambito internazionale, ma a quale prezzo? Per difendere il loro benessere economico e portare i giapponesi ad essere “i migliori” costringono i loro bambini a dei ritmi di studio impressionanti, poiché una media bassa potrebbe non consentire l’ingresso all’università, caratterizzata da test complicati e standard molto elevati. Un fallimento del genere porta ad una gogna sociale inimmaginabile per noi occidentali. Le conseguenze a volte sono tragiche, portando il Giappone in vetta alla classifica per i suicidi giovanili, oppure chi non compie l’estremo gesto spesso si isola dalla società stessa, chiudendosi letteralmente in casa o nella propria stanza, creando un fenomeno di tale portata da assumere un nome vero e proprio: hikikomori.
Perché due stati come questi, con alle spalle una storia di grandi pensatori e basata su valori idealistici, si sono ridotti in questo stato? Semplicemente ormai a livello globale si ha la concezione che sia più importante il progresso economico rispetto a quello morale, dunque quest’ultimo viene costantemente trascurato, se non eliminato del tutto nel caso vada a scontrarsi con gli interessi economici dello stato. Le parole e i valori dei grandi pensatori di un tempo vengono apprezzate ideologicamente, ma difficilmente trovano un riscontro pratico nella vita odierna.
Questo degrado morale si può riscontrare anche nei modelli che i media ci propongono quotidianamente. Le pubblicità, i programmi, passano tutti lo stesso messaggio: gli unici modelli di “vincente” che ci vengono proposti sono quelli di ricchezza e bellezza, queste sono le qualità più importanti, mentre tutto il resto passa in secondo piano. Come possiamo sperare che le nuove generazioni cambino radicalmente la società se vengono bombardate sin dalla più tenera età con tali “ideali”? Potranno solamente emularli portando avanti questa concezione corrotta della realtà.
Ormai quando ci si trova di fronte ad un crimine, che non riguardi i “colletti bianchi”, si parla del loro esecutore come un soggetto deviato, un pazzo che è solo un fallimento della società.
La colpa di tutto ciò a chi deve essere attribuita?
Dal momento in cui è la società stessa a creare delle disparità sociali evidenti, in base alla ricchezza dei quartieri, alla qualità dei servizi che vengono offerti a chi vi risiede, dall’istruzione alla sanità, allora il concetto che “tutti hanno pari diritti e pari opportunità” resta solo un mero ideale, apprezzabile, ma inapplicabile. Non è un caso se i crimini legati a violenza e droga spesso vengono compiuti da persone cresciute in contesti sociali degradanti, poiché se un individuo cresce in un ambiente dove la criminalità è all’ordine del giorno sarà più portato ad un fenomeno di emulazione negativa rispetto a chi cresce in un contesto sociale più agiato.
Questo processo andrà avanti come un loop fino al giorno in cui si metterà il processo economico sempre più avanti rispetto a quello morale, portandoci progressivamente ad avere società con un miglior tenore di vita, ma con una civiltà sempre più degradata e degradante.