Una disciplina paralimpica per dire “no” a ogni forma di pregiudizio per tutti quelli che non considerano la diversità motoria come un elemento di arricchimento sociale
Il paraciclismo, regolamentato in Italia dalla Federazione Ciclistica Italiana e nel mondo dall’Unione Ciclistica Internazionale, è una disciplina sportiva introdotta ufficialmente nel 1988 alle paralimpiadi di Seul, con ciclisti non vedenti su tandem. Da allora a oggi, c’è stata una continua evoluzione grazie all’introduzione di categorie differenti che comprendono forme di disabilità sia congenite che acquisite. Questa disciplina stimola lo sviluppo neuromuscolare di tutti i distretti muscolari, creando reazioni di compenso sul deficit motorio-cognitivo e della plasticità neurale. Inoltre, l’adattamento muscolare riduce, nella maggior parte dei casi, il grado di disabilità dell’atleta cui consegue un aumento del livello di autostima tale da permettere una vita privata più autonoma.
Un grande esempio di ricondizionamento fisico e di “rivalsa”, nei confronti di chi continua a non considerare la diversità motoria come un elemento di arricchimento sociale, è Alex Zanardi. L’ex pilota di formula uno, conosciuto in tutto il mondo per le sue prodezze olimpiche e iridate nel settore paraciclistico, oggi è un emblema per i diversamente abili; ma non solo. Zanardi, capace a 50 anni di vincere un triathlon categoria Ironman (3.800m nuoto-180km bici-42km corsa) con la sola forza delle braccia e tanta buona volontà, è il porta bandiera italiano di un movimento sportivo divenuto tale “a tutti gli effetti”. Grazie alle sue gesta e a quelle di atleti come Luca Mazzone e Leonardo Melle, molti pregiudizi e atteggiamenti discriminatori, in Italia, stanno venendo meno. Anche se, a dire il vero, continua a sussistere l’annoso problema delle barriere architettoniche, in particolar modo per il mezzogiorno. Posti auto per disabili inesistenti o a volte occupati da veicoli non autorizzati, scivoli per carrozzine non sempre presenti, mezzi pubblici non attrezzati, marciapiedi larghi solo 30 cm, sono solo alcuni esempi negativi di una comunità non ancora pronta, anche culturalmente, a una convivenza paritaria e normale. Per esempio in Puglia, tale situazione non è per niente confortante.
A riguardo abbiamo chiesto il parere del dott. Giuseppe Carella, esperto in Scienze Motorie e delle attività sportive, Istruttore di Triathlon e Metodologo Cycle-Fit.
“Ci vorranno molti anni affinché si diano pari opportunità a chi ha specialità motorie differenti. Chi vorrebbe praticare paraciclismo in Puglia, purtroppo non è agevolato. Mancano le piste ciclabili, così come i velodromi”.
E non si tratta solo di una questione infrastrutturale.
“Non ci sono neanche i tecnici federali qualificati; per il paraciclismo occorrerebbe un’ulteriore formazione accademica specializzata in abilità motorie adattate”.
Insomma, con le Istituzioni abbastanza disinteressate nell’affrontare la questione, gran parte del tragitto sembrerebbe ancora tutto in salita.
“L’intento del comitato paralimpico, cui fa seguito quello del paraciclismo, è di lanciare un messaggio molto forte di come lo sport possa migliorare la qualità della vita di chi ha qualche deficit motorio e/o cognitivo avvicinando l’interesse dei normodotati perché in fondo in fondo… in ognuno di noi c’è una speciale abilità”.
Come quelle del pugliese Leonardo Melle, vice campione mondiale su strada classe Mt1 e bronzo nella prova a cronometro.
“Sono in contatto da alcuni anni con Leonardo, e sono molto affascinato dal modo con cui si allena anni. Mi ha colpito soprattutto la sua semplicità nell’interpretare il ciclismo. È come vedere un corridore di altri tempi. E Il mio desiderio nel cassetto per il 2018, è di poter dare inizio a una sinergica collaborazione con lui”.
In conclusione, lo sport paralimpico offre delle grosse opportunità agli atleti con motricità adattata, che gli consente di mettersi in gioco in un contesto formativo, ricreativo e competitivo. Dando mostra di quelle determinate abilità speciali necessarie sia al conseguimento di un riscatto sociale sia al completamento di un percorso che, attraverso la diversità motoria, porta all’integrazione e alla normalità.
Umberto De Giosa
International Web Post