«Non siamo una città mafiosa, ma una città senza ordine e senza regole, dove ognuno può fare quello che vuole senza essere contrastato»
«Manduria non è una città mafiosa».
Dopo il primo momento di vergogna per un marchio che scalfisce l’immagine dei manduriani, la città reagisce. Non ci sta ad essere etichettata come una “piazza” controllata dalla mafia. In attesa di conoscere le motivazioni inserite nella relazione che ha poi determinato la decisione del Consiglio dei Ministri dell’altro ieri, a Manduria c’è la convinzione che non ci sia una criminalità organizzata di spessore, in grado, cioè, di influenzare o condizionare le scelte amministrative o addirittura di inserire propri uomini negli apparati dell’ente pubblico.
Così come, fatta eccezione per i casi sollevati dall’inchiesta “Impresa”, vi è la convinzione dell’onestà della maggior parte dei consiglieri e dei componenti delle varie giunte che si sono avvicendate nell’ultima consiliatura. Si può disquisire a lungo sulle capacità di amministrare la città, ma, per almeno il 90% di loro, è indubbia l’integrità morale.
«Non siamo una città mafiosa, ma una città senza ordine e senza regole, dove ognuno può fare quello che vuole senza essere contrastato» scrive Ennio Spina su facebook. «Speriamo tutto questo serva a dare ordine e regole».
Smaltito lo choc del giorno dopo, in città l’attenzione è ora rivolta al futuro prossimo. Cosa accadrà per i prossimi 18 mesi?
Innanzitutto il comma 4 dell’articolo 143 del Testo Unico stabilisce che nella relazione della Commissione devono essere «indicati in modo analitico le anomalie riscontrate e i provvedimenti necessari per rimuovere tempestivamente gli effetti più gravi e pregiudizievoli per l’interesse pubblico; la proposta indica, altresì, gli amministratori ritenuti responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento. Nella relazione sono anche indicati gli appalti, i contratti e i servizi interessati dai fenomeni di compromissione o interferenza con la criminalità organizzata o comunque connotati da condizionamenti o da una condotta antigiuridica».
Nel comma 11, poi, si precisa che «gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento di cui al presente articolo, non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali e comunali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l’ente interessato dallo scioglimento».
Il commissariamento per 18 mesi corrisponde praticamente a quasi il “massimo della pena”. Il periodo può essere prolungato di altri 6 mesi solo in casi eccezionali.
Dopo il decreto di scioglimento, viene nominata una commissione straordinaria per la gestione dell’ente.