A progettare e dirigere i lavori tre architetti baresi: Lorenzo Netti, Gloria Valente e Vittorio Carofiglio
I lavori di ristrutturazione della torre d’avvistamento costiera di Torre Borraco in mostra alla Biennale di Venezia.
La struttura, che fa parte di un vecchio sistema di avvistamento efficace rispetto alle frequenti incursioni dei Saraceni (ve ne sono altre a Torre Ovo, a San Pietro in Bevagna, a Torre Colimena, a Torre Lapillo e a Porto Cesareo), fu edificata a poche decine di metri dal mare intorno al 1560/1570, costruita dunque negli anni dell’emanazione dei Capitoli della Bagliva.
Abbandonata per decenni, la torre (come si può vedere dalla foto) era sul punto di crollare: parte del tetto era andato giù e, curiosamente, dall’interno era spuntato un albero di fico. Poco meno di una decina di anni fa, i proprietari decisero di restaurarla. I lavori di restyling sono partiti nel 2011 e sono durati per oltre due anni. Grazie a questi interventi, concordati con la Soprintendenza, la torre è stata riportata al proprio stato originale e, inoltre, costruita una nuova scala.
A progettare e dirigere i lavori tre architetti baresi: Lorenzo Netti, Gloria Valente e Vittorio Carofiglio. Il loro progetto è rientrato tra i 67 studi esposti nel padiglione italiano della Biennale di Venezia, scelti su un totale di circa 500 candidature.
«Si tratta di uno stabile in “pietra di carparo” alto 12 metri» ha recentemente spiegato l’arch. Gloria Netti, «usato secoli fa come postazione di vedetta per difendersi dai pirati saraceni. Al piano superiore si accedeva tramite una rudimentale scala interna, sfruttata dai guardiani che, in caso di pericolo, accendevano dei fuochi per “avvisare” il territorio circostante. Anni e anni di abbandono l’avevano però ridotto in rovina».
Il crollo e, conseguentemente, la scomparsa della torre sono stati evitati proprio grazie all’intervento di restauro.
«Di torri del genere ce ne sono diverse in Puglia, normalmente in mano allo Stato e riadattate a casermette della Guardia di Finanza» ha rimarcato l’arch. Netti. «Nel “nostro” caso invece l’immobile appartiene a privati: le famiglie nobili D’Ayala Valva e D’Alessio, che alla fine degli anni 90 hanno finanziato la ristrutturazione con 150mila euro.
La particolarità della nostra idea consisteva nell’introdurre una nuova rampa esterna dall’aspetto contemporaneo. Un’innovazione che tuttavia si è a lungo scontrata con le certezze della Soprintendenza ai beni architettonici: secondo loro lo stabile, seppur semidistrutto, sarebbe dovuto rimanere così com’era.
Gradualmente le norme in materia di recupero sono diventate meno stringenti. Anche se siamo stati costretti a diverse modifiche in corso d’opera, soprattutto riguardo al tetto».