La decisione dell’azienda dopo lo stop all’uso dell’altoforno 2 imposto dai giudici. Il Mise impugnerà la sentenza
I sindacati metalmeccanici se lo aspettavano, ma la mazzata è di quelle pesanti. ArcelorMittal, immediatamente a ridosso della decisione del tribunale di Taranto di rigettare la richiesta di proroga presentata dai commissari dell'Ilva sull'uso dell’altoforno 2, ha comunicato ai sindacati di voler fermare in cassa integrazione straordinaria 3.500 dipendenti. Nei giorni scorsi il colosso franco-indiano aveva richiesto cassa integrazione ordinaria per 1.273 lavoratori; adesso si tratta di Cig straordinaria, quella per crisi strutturali, che colpirà ben 3.500 persone, ovvero poco meno della metà degli 8.200 dipendenti complessivi dello stabilimento di Taranto. Una decisione che viene considerata da Fiom-Fim-Uilm una sorta di provocazione di ArcelorMittal, che viene «rigettata». In una nota congiunta le organizzazioni sindacali affermano che «è giunto il momento da parte del governo e di Ilva in amministrazione straordinaria, al momento unici proprietari dello stabilimento siderurgico, di fare chiarezza sul futuro ambientale, occupazionale e industriale di un sito di interesse strategico per il Paese».
Lo spunto per l’iniziativa dell’azienda che per adesso gestisce l’acciaieria è stata la decisione del giudice di Taranto Francesco Maccagnano di respingere la richiesta di altri 16 mesi di tempo rispetto alla scadenza del 13 dicembre per effettuare gli ulteriori lavori di sicurezza all’altoforno 2, un impianto sequestrato e dissequestrato più volte nel quadro dell'inchiesta sulla morte dell'operaio Alessandro Morricella, investito da una fiammata mista a ghisa incandescente proprio mentre misurava la temperatura del foro di colata dell’«Afo 2». Il Tribunale all’epoca aveva concesso 3 mesi per ottemperare alle prescrizioni di sicurezza, poi allungati a 12; ma dopo 4 anni non è ancora stato risolto nulla.
Una notizia che ha gettato nell’imbarazzo governo e ministero dello Sviluppo economico, impegnato nel tentativo di negoziare - anche ipotizzando una presenza pubblica nella nuova compagine azionaria del gruppo - con ArcelorMittal e i commissari Ilva un piano industriale e societario in grado di dare un futuro al gruppo e all’acciaieria tarantina. Il Mise e i commissari Ilva hanno deciso di impugnare al Tribunale del Riesame il provvedimento del giudice; ma prima del pronunciamento della magistratura passerà almeno un mese. Il che significa che la Procura nel frattempo procederà a un ulteriore sequestro dell’altoforno 2, e a rimettere in moto il cronoprogramma di spegnimento dell’impianto.
Mentre l’azienda informava i sindacati della decisione di ricorrere alla Cigs, sempre ieri mattina si è tenuto un incontro tra ArcelorMittal e Ilva in amministrazione straordinaria, presente il negoziatore scelto dal governo, il presidente di Saipem Francesco Caio. Una discussione tecnica, che ha affrontato anche la possibilità di caricare gli altiforni con il «preridotto» di ferro, un materiale che riduce l’impatto ambientale. Certamente in quella sede il governo ha fatto pressioni perché il colosso franco-indiano rinunciasse a misure drastiche sull’occupazione almeno prima del pronunciamento del Tribunale del Riesame; ma senza successo. Oggi pomeriggio i commissari saranno al Mise per incontrare i sindacati insieme al ministro Patuanelli; in seguito è previsto un vertice con i rappresentanti di Mittal. Una settimana fa al Mise ArcelorMittal presentò un piano che prevedeva 4700 esuberi entro il 2023, respinto sia dai sindacati che dal governo; se la richiesta formulata ieri dall’azienda dovesse andare in porto, Taranto avrebbe un numero complessivo di 5100 lavoratori in cassa integrazione straordinaria.