Se n’è parlato con Coldiretti Taranto
Un convegno, quello organizzato a Sava da Coldiretti Taranto, che è servito per fare il punto della situazione sull’emergenza Xylella. Un’occasione per informare gli agricoltori su quali pratiche agricole adottare per cercare di contrastarne gli effetti e su come contenerne la diffusione.
Quello di Sava, come avvenuto per altri comuni del versante orientale della provincia ionica, è stato delimitato come territorio infetto. Gli ultimi dati pubblicati indicano non solo un ulteriore avanzamento dell’epidemia verso ovest, ma anche che la stessa non è affatto rallentata.
Un’emergenza, “affrontata con grande disinformazione e con una grande incapacità di gestirla da parte del governo regionale”, ha detto il sindaco Dario Iaia.
Dagli interventi, aperti da Aldo Raffaele De Sario, direttore Coldiretti Taranto, è emerso come non esiste ancora una cura alla Xylella. Le uniche azioni, che al momento, si possono mettere in campo sono “il monitoraggio, che serve a conoscere lo status della diffusione del batterio e la prevenzione, che è prioritaria per contenerne la diffusione attraverso il controllo del vettore e l’eradicazione delle piante infette”, così come riferito dal professor Franco Nigro dell’Università degli Studi di Bari.
Monitorare, prevenire, ma anche reinvestire in quei terreni che la Xylella ha reso improduttivi. Oggi esiste un decreto ministeriale con lo stanziamento di 300milioni di euro che dovrebbero dare una boccata di ossigeno a chi da anni non raccoglie più e ai frantoi che sono in crisi. Ma non bastano. “Servono – ha rimarcato Alfonso Cavallo, presidente Coldiretti Taranto – risorse copiose e, soprattutto, una programmazione nuova, una progettualità seria per un rinnovamento e una diversificazione dell’assetto produttivo di quei terreni”. Da una parte, quindi, necessitano indennizzi per far fronte al mancato reddito, dall’altro risorse che servano a programmare una rigenerazione produttiva di quei terreni con varietà resistenti di olivo o anche con altre colture.
E, così, nell’emergenza continua la sperimentazione per verificare la resistenza di alcune cultivar al batterio. Come spiegato da Giovanni Melcarne (presidente del Consorzio di Tutela Dop Terra D’Otranto), già la sperimentazione, oltre a confermare i fenomeni di resistenza della cultivar Leccino, aveva dimostrato un’ulteriore resistenza della Favolosa al batterio. Ma ora si sta tentando la strada degli innesti e quello a corona è quello che sta dando maggiori risposte in termini di attecchimento rispetto a quello a pezza. Quello a corona garantisce una velocità di ricostruzione dell’apparato fogliare migliore. Ma si è sempre in una fase sperimentale, sono tentativi.
Se le piante sono asintomatiche c’è maggiore possibilità per la riuscita degli innesti. E la Leccino o la FS17 sono le piante più resistenti, ma non immuni dal batterio, sulle quali gli innesti ed, in particolare, quello a corona, oggi sembrano attecchire maggiormente.