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23/02/2010 06:51:41 - Provincia di Taranto - Attualità

Elezioni Regionali - Legambiente Puglia lancia la sfida ai candidati: potenziare le rinnovabili, investire nel trasporto pendolare, combattere le ecomafie, ottimizzare la gestione dei rifiuti

 
 
Il 2010 è l’anno in cui si vota nella maggior parte delle regioni italiane ed è, dunque, un’ottima occasione per fare un check del loro stato di salute ambientale. “Vogliamo riempire di contenuti concreti la prossima campagna elettorale. Altro che schieramenti e posizionamenti, le Regioni hanno responsabilità enormi per disegnare la qualità dello sviluppo nei territori per uscire dalla crisi”. Questo l'assunto di Legambiente Puglia che, in Ambiente Italia 2010, l'annuale rapporto sullo stato di salute del Paese, quest'anno ha voluto aggiungere ai tradizionali indicatori una significativa analisi delle sfide ambientali che le Regioni devono affrontare per promuovere uno sviluppo più moderno e pulito, sviluppando la Green economy, creando nuovi occupati in settori strategici, modernizzando il Paese e puntando sulla qualità e la vivibilità concreta. Otto gli ambiti strategici per la situazione ambientale: energia e fonti rinnovabili, dissesto idrogeologico, trasporti e pendolarismo, cave, consumo di suolo, aree protette, acque e rifiuti. Una cosa è certa: le Regioni hanno oggi grande responsabilità non solo nella gestione dell’esistente, ma nel promuovere e governare un futuro possibile e possono svolgere un ruolo positivo e innovativo, di valenza nazionale, in molti settori delle politiche ambientali. Presentato questa mattina a Roma, Ambiente Italia 2010vuole costruire la fotografia dell’esistente e quanto si potrebbe e dovrebbe fare per aiutare i territori a compiere un salto di qualità.
“I temi scelti quest’anno da Ambiente Italia –dichiara Francesco Tarantini, Presidente di Legambiente Puglia–sono quelli più importanti per spingere la green economy, creare posti di lavoro in settori innovativi come le rinnovabili e il recupero inerti in edilizia e avviare uno spostamento del prelievo fiscale verso il consumo di risorse, come chi cava, chi imbottiglia acque e chi consuma suoli. L’insieme di queste proposte, se applicate, può dare alle regioni una visione del proprio futuro, quello che serve è coraggio da parte della politica.”
 
L’industria italiana delle fonti di energia rinnovabile (Fer) mostra un elevato grado di dipendenza tecnologica importando circa i tre quarti dei componenti per gli impianti di generazione da fonti rinnovabili. Eppure uno scenario dello Iefe-Bocconi evidenzia le potenzialità di sviluppo del settore al 2020: se l’industria nazionale riuscisse a coprire almeno il 70% della quota di mercato domestico, potrebbe creare 175 mila nuovi posti di lavoro, realizzando un fatturato di 70 milioni di euro (5,6 milioni di euro all’anno nel periodo 2008-2020). Questi impianti non li hanno messi gli enti pubblici. Tuttavia, sia la Regione Puglia (con quest’ultima amministrazione) sia il Trentino Alto Adige (da qualche decennio) hanno fortemente promosso l’uso delle fonti rinnovabili. Per quanto riguarda il fotovoltaico, su un totale di ormai poco meno di 60 mila impianti e 709 MW installati, con il primo e secondo conto energia, solo il 33% della potenza è installata nelle regioni del Sud (e di questo, il 40% è concentrato in una sola regione, la Puglia). In Puglia, dall’eolico si ricavano 1.316,9 GWH di energia, 23,7 dal fotovoltaico, 38,5 dai rifiuti, 695,8 dalle biomasse e 66 dal biogas per un totale di 2141 GWH. Di questo passo, al 2020 si avranno 3720 GWH di eolico on-shore, 2200 di eolico off-shore, 750 di solare fotovoltaico, 450 di solare termodinamico, 250 di biogas, 150 di rifiuti, 450 di biomasse per un totale di 7970 GWH. Quest’energia al 2020 sarà ripartita in 350 Ktep nel residenziale e terziario, 150 nell’industria e nell’agricoltura.
 
Cambiando tema, la spiegazione delle difficoltà nello spostarsi in treno quotidianamente verso le principali città italiane, le ragioni dei pochi treni a disposizione nelle ore di punta e della scadente qualità dei convogli appaiono scontate guardando i dati sugli investimenti da parte di Stato e Regioni. I finanziamenti da parte dei governi che si sono succeduti in questi anni hanno premiato per il 67% gli investimenti in strade e autostrade e solo per il 13% le linee ferroviarie e per il 20% le linee metropolitane. Anche le regioni hanno privilegiato con i propri investimenti le infrastrutture stradali rispetto a ferrovie e metropolitane. In Puglia l’estensione della rete ferroviaria è di 1.508 km, i pendolari sono 80mila al giorno e gli abbonati 9.793. La nostra Regione ha investito solo 20 mln di euro nelle ferrovie contro i 170,07 mln spesi dalla Lombardia, che ha utilizzato in più altri 87,94 mln di euro nelle metropolitane. Un altro scenario per i pendolari italiani è possibile, ma dipende fortemente dal ruolo che le regioni vorranno dare al trasporto su ferro, alla sua integrazione con le altre forme di mobilità e nelle scelte urbanistiche. Il tema del trasporto pendolare deve entrare nell’agenda delle politiche regionali, e occorre farlo ponendosi un obiettivo all’altezza della sfida lanciata dall’Unione europea al 2020 in termini di riduzione delle emissioni di CO2. Per Legambiente è necessario puntare a far crescere il trasporto ferroviario pendolare in modo da arrivare a 4 milioni di cittadini trasportati nel 2020; aumentare i convogli e le risorse per il servizio ferroviario.
 
La regione è una protagonista importante per la gestione dei rifiuti. Il ruolo di pianificazione, programmazione e indirizzo della Regione, infatti, è fondamentale per abbandonare il vecchio modello basato sostanzialmente sull’uso della discarica e per rivoluzionare il ciclo dei rifiuti fondandolo sul principio gerarchico delle 4 R (riduzione, riuso, riciclaggio e recupero energetico). Ma qual è la “medicina” usata dalle regioni per curare la “malattia” dello smaltimento in discarica, che purtroppo continua a contraddistinguere la gestione dei rifiuti di almeno due terzi del nostro paese? Un’iniziativa assolutamente condivisibile che per certi versi ricorda quella intrapresa nella Regione Puglia da Nichi Vendola che nel piano commissariale approvato nel 2005 puntò su importanti obiettivi di riduzione e raccolta differenziata, privilegiando per lo smaltimento finale delle quote residue il recupero energetico del combustibile derivato da rifiuti (Cdr) e penalizzando la combustione dei rifiuti tal quali. In Puglia, nessun comune centra gli obiettivi minimi di legge, ma per la prima volta possiamo parlare di esperienze virtuose e positive, a dimostrazione che un’inversione di tendenza nella nostra regione è possibile. Monteparano (TA) al 31.08.2009 ha raggiunto l’obiettivo del Piano Regionale fissato per il 2008. Per aver avviato nel 2009 un nuovo sistema di raccolta, registrando percentuali mensili ben al di sopra del 40%, meritano di essere citate Erchie (dallo 0,9% di RD di gennaio al 60,4% di settembre 2009), Candela (dal 2% di aprile al 48,2% a settembre 2009), Ceglie Messapica (dal 3,8% di gennaio al 38,8% di settembre 2009), Latiano (dal 4,5 di gennaio al 52,9 di settembre 2009), Oria (dall’1,3% di gennaio al 46,7 di settembre 2009), Villa Castelli (dal 5,4% di gennaio al 28,8% di settembre 2009). Legambiente consiglia l’aumento del costo di smaltimento in discarica, il porta a porta in tutti i comuni e l’attivazione di un Osservatorio ambiente e legalità sul ciclo dei rifiuti speciali.
 
Sul fronte delle ecomafie, in Italia si contano 25.766 ecoreati accertati nel 2008, quasi 71 al giorno, 3 ogni ora. Circa metà dei quali (più del 48%) si è consumato nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Calabria, Sicilia e Puglia). “Sul fronte del ciclo illegale dei rifiuti, la nostra regione –commenta Tarantini nel 2009 peggiora passando al secondo posto in classifica con 355 infrazioni accertate, 15 arresti, 416 persone denunciate e 271 sequestri. I numeri confermano che i controlli ci sono ma purtroppo c’è chi pensa di lucrare a danno della salute dei cittadini e del territorio e di farla pure franca”. In Puglia, dal 2002 ad oggi, ci sono state ben 25 inchieste contro attività organizzate per il traffico illecito dei rifiuti, cioè il 20,7% circa delle inchieste su tutto il territorio nazionale. In 12 di queste la Puglia è stata la regione di partenza dei traffici, nelle altre 13 regione di transito. Nella classifica dell’illegalità nel ciclo del cemento, la Puglia quest’anno scende dal podio e si piazza al quinto posto con 567 infrazioni, 746 persone denunciate e 276 sequestri.
 
Sono circa 6 mila le cave attive in Italia e si stimano in quasi 8 mila quelle dismesse nelle regioni in cui esiste un monitoraggio. Ai primi posti ci sono Puglia, Lombardia e Lazio, che da sole raggiungono il 50% del totale estratto ogni anno con 68 milioni di metri cubi. La Puglia estrae 25.000,00 m3 di materiali, per 617 cave attive. Inoltre, in Valle d’Aosta, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna l'estrazione è completamente gratuita. Se si considera il peso che le ecomafie hanno nella gestione del ciclo del cemento e nel controllo delle aree di cava nel Mezzogiorno è particolarmente preoccupante una situazione in troppe aree del paese praticamente priva di regole.
 
Le regioni giocano un ruolo fondamentale anche per la tutela della risorsa idrica sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo attraverso la redazione, l’approvazione e l’applicazione del Piano di tutela delle acque (Pta), strumento di attuazione del Dlgs 152/1999 che, in analogia con quanto prevede la direttiva quadro 2000/60/Ce, ha il compito di definire obiettivi di qualità per i diversi corpi idrici e prevedere misure atte a raggiungerli entro il 2015. Altro punto importante del Piano è la conoscenza degli aspetti quantitativi su cui basarsi per raggiungere gli obiettivi di mantenimento o riequilibrio del bilancio idrico. La Puglia ha approvato il suo Pta e, perchè gli obiettivi di qualità e quantità siano rispettati, è necessario che il Pta sia concepito come strumento innovativo, non semplice programma di opere di depurazione, ma un piano strategico, articolato in azioni che coinvolgono diversi attori (pubblici e privati) puntando sull’integrazione di misure volte a ridurre i prelievi (misure che nei piani adottati finora appaiono ancora decisamente troppo deboli) e a ridurre i carichi inquinanti; non solo classiche (fognature e depuratori), ma anche innovative ed efficaci nei confronti del carico di origine diffusa (riqualificazione del reticolo di bonifica per “trattenere” gli inquinanti, fitodepurazione ecc.).
 
L’Italia inoltre vanta il record internazionale del consumo di acqua in bottiglia che con 196 litri pro capite all’anno è al primo posto in Europa e al terzo nella classifica mondiale, dopo Emirati Arabi Uniti (260 litri pro-capite all’anno) e Messico (205). L’impatto ambientale del settore delle acque minerali è “penalizzato” con dei costi affrontati dalle aziende imbottigliatrici a dir poco risibili. Non esistendo una legge nazionale, ciascuna regione decide da sé e i canoni risultano estremamente variabili, non solo nel costo ma anche nei criteri di definizione. Ci sono regioni che fanno pagare in base agli ettari dati in concessione, come la Puglia, che comunque, dopo numerose battaglie di Legambiente è finalmente passata dall'irrisorio 1,033 euro a 50 euro nell'aprile scorso. Legambiente chiede comunque che la legge venga rivista perchè il canone sia proporzionale ai volumi emunti o imbottigliati, per garantire la tutela delle falde dagli sprechi e dallo sfruttamento.
Le performance regionali in ogni campo confermano il drammatico ampliamento del divario tra Nord e Sud del Paese. Il Pil pro capite è sempre molto più alto nelle regioni del Nord, con la Valle d'Aosta in testa (33.683 euro), seguita dalla Lombardia (33.474), dal Trentino Alto Adige (32.515) e dall'Emilia Romagna (32.165). Chiude la classifica la Campania con 16.864 euro, preceduta dalla Calabria con 17.004, dalla Sicilia (17.429) e dalla Puglia (17.513 euro).
 
Il tasso di motorizzazione (mezzi per abitante) è massimo in Valle d'Aosta con 1.093 auto e 110 motocicli ogni mille abitanti e minimo in Puglia (543 e 65). La mortalità stradale più elevata si registra in Friuli Venezia Giulia (89,4 morti nel 2008 per milione di abitanti), nel Lazio (87,6) e in Puglia (86,5) mentre la minore in Liguria (53,9), Campania (56,6) e Basilicata (59,3).
 
Per quanto riguarda le attività di protezione civile e la gestione delle emergenze, in Puglia, su 48 comuni considerati ad alto rischio idrogeologico dal Ministero dell’Ambiente e dall’UPI, 44 sono a rischio frana, 1 a rischio alluvione e 3 a rischio frana e alluvione. Nel 88% dei comuni pugliesi monitorati sono presenti abitazioni in aree a rischio idrogeologico, nel 53% interi quartieri, nel 71% fabbricati industriali e nel 35% strutture ricettive. Il 65% dei comuni ha previsto nei propri piani urbanistici vincoli all’edificazione nelle zone esposte a maggior pericolo mentre il 100% dei comuni ha realizzato opere di messa in sicurezza del territorio. Migliore è la situazione per quanto riguarda l’organizzazione del sistema locale di protezione civile, fondamentale per salvare la popolazione ad evento già in corso. Il 76% dei comuni si è dotato di un piano d’emergenza e il 65% lo ha aggiornato negli ultimi due anni. Solo nel 12% dei casi sono state organizzate attività di informazione rivolte alla popolazione e il 59% dei comuni dispone di una struttura di protezione civile operativa h24.
 
La Puglia si è distinta per aver istituito negli ultimi anni un numero significativo di aree protette dotandole anche di risorse finanziare. In meno di venti anni l’Italia, con una percentuale doppia rispetto alla media europea (del 5%), è diventata una delle nazioni leader del continente per superficie protetta passando dal 3% a oltre il 10%. La legge quadro 394/1991 è stata sostanzialmente ben applicata e le sue previsioni sono state ampiamente rispettate, contribuendo a creare un sistema di aree protette a tutela della biodiversità estremamente importante. La Puglia conta 218.352,3 ettari di aree protette, l’11% delle riserve di tutta Italia. Sono 2 parchi nazionali, 3 aree marine protette, 16 riserve statali, 18 aree protette regionali e 77 siti di interesse comunitario.
“La Puglia è la regione che più di altre ha recuperato il suo ritardo storico nelle politiche per le aree naturali contando oggi una superficie regionale di 13,8% di parchi commenta TarantiniPerò non basta solo istituire nuove aree protette, ma occorre metterle in rete e affrontare le questioni gestionali per farle partire davvero e valorizzarle turisticamente. È importante non deludere le aspettative della popolazione che vede nell’istituzione delle aree protette l’occasione di reali cambiamenti”.










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