L’intervista alla direttrice del carcere di Milano Bollate e dell’istituto minorile Beccaria, recentemente insignita dell’Ambrogino d’Oro
«Carcere come luogo di speranza, ogni oltre stereotipo»
E’ la visione innovativa delle strutture penitenziarie di Cosima Buccoliero, savese di origini, ma da anni a Milano, città in cui da 16 anni dirige il carcere di Milano Bollate (circa 1.300 detenuti) e l’istituto minorile “Beccaria” (altri 35 reclusi minorenni). Un impegno costante, che ha letteralmente rivoluzionato il carcere lombardo e che le ha fruttato un prestigioso e ambito riconoscimento: l’Ambrogino d’Oro, che il Comune di Milano assegna, ogni anno, a coloro che, in città, si sono maggiormente distinti.
In questi lunghi e proficui anni, Mimma (come è conosciuta da tutti gli amici) ha avviato, tra le sbarre, un asilo nido aziendale frequentato sia dai figli dei dipendenti, sia dai figli delle detenute, sia ai bambini della zona; poi ancora il ristorante “InGalera”; la Cisco Networking Academy per preparare informatici; attività miste per liberi e reclusi nei laboratori di falegnameria, sartoria e giardinaggio.
Con i minorenni del “Beccaria”, ha proposto uno Shakespeare riveduto e corretto: “Shakespaere al Bekka”, con un Romeo adolescente dei giorni nostri, giudicato secondo il Codice del processo minorile.
Un’attività che non è passata inosservata e che le è valsa la medaglia d’oro del riconoscimento “Ambrogino d’Oro” (nella foto, Mimma Buccoliero con il sindaco e il presidente del Consiglio comunale di Milano).
«Alla guida del carcere di Bollate e dell’istituto minorile Beccaria, dimostra ogni giorno quanto moderno e innovativo sia il suo modo di intendere la direzione di un istituto penitenziario» si legge nella motivazione del riconoscimento. «Nel carcere lavora a diversi progetti, tra cui l’avvio dell’asilo nido per i figli del personale, aperto al territorio e ai figli delle detenute.
E nei mesi di emergenza sanitaria, attiva un impianto per la produzione di mascherine da destinare alla Protezione Civile. Convinta che ogni giovane recuperato sia una vittoria per tutti, si batte affinchè la chiesa e il teatro del Beccaria vengano entrambi aperti alla città.
Le sue iniziative sono esempio di condivisione e integrazione. Il suo lavoro è improntato al civismo e al recupero di ogni detenuto. Promotrice della cultura della legalità e ispirata dal dettato costituzionale sulla funzione rieducativa della pena, incoraggia la conoscenza del carcere oltre stereotipi e pregiudizi».
La pandemia rischia di vanificare molti suoi risultati.
«È vero» ha avuto modo di dichiarare Mimma Buccoliero. «Per noi è stato come aver fatto cento passi indietro. Questo ha ripercussioni nella vita dei detenuti che è difficile comprendere per chi sta fuori. Perché in carcere già solo l’atto di immaginare una seconda vita, una seconda chance dopo aver sbagliato, richiede impegno, volontà. Fantasia, anche. Se poi persino quello stretto pertugio verso l’esterno, aperto a fatica, viene chiuso, si rischia di non crederci più».
Mimma Buccoliero si sofferma poi su una storia di riscatto di un suo detenuto.
«Avevamo un detenuto non più giovanissimo, che aveva rotto i legami con la famiglia. Il figlio maggiore non voleva più sentirlo. Però in carcere quest’uomo ha fatto un percorso molto bello. Ha studiato, lavorato, ha stretto amicizia con altri. Così, quando è morto, sono stati i suoi compagni di detenzione che mi hanno chiesto di incontrare la sua famiglia. Volevano mostrare — soprattutto al figlio grande — i lavori del padre, le sue lettere, i suoi progressi. Per raccontargli chi è stato davvero».
Tante le gratificazioni per Mimma Buccoliero, che presto sarà chiamata a dirigere il carcere di Opera, sempre a Milano.
«La gratificazione più bella? Il saluto degli ex detenuti quando mi incontrano per strada a Milano. Se si ricordano di me e, attraverso me, del carcere, qualcosa di buono, per loro, abbiamo fatto».