Fondato un gruppo di protesta denominato “Comitato contro la riforma dei concorsi nella PA” e che su Twitter è presente una protesta con l’hashtag #ugualiallapartenza
«Da qualche giorno mi sento davvero avvilito ed umiliato per quanto sta accadendo nel mondo dei concorsi pubblici. Era ormai da qualche tempo che, archiviata la mia precedente esperienza professionale da praticante avvocato, avevo deciso di dedicarmi allo studio per affrontare dei concorsi pubblici. Le materie erano tante e difficili: logica, diritto costituzionale, diritto amministrativo, motivo questo che mi aveva portato ad acquistare libri e supporti didattici per prepararmi ad affrontare al meglio queste prove. Il concorso per me rappresentava una sorta di sicurezza, una garanzia di merito ed eguaglianza: tutti uguali alla linea di partenza, vincono i migliori, quelli che sanno dimostrare la loro bravura, il loro valore.
Ma da un anno a questa parte la politica ha pensato bene di mettere mano a questa materia e di “riformare” l’accesso con argomenti poco chiari e pretestuosi. Ci hanno detto che serviva l’accertamento delle soft skill e dell’inglese: così ancora una volta ho messo mano al portafogli, ho comprato libri per capire cosa fossero le soft skill e per rinfrescare l’inglese delle superiori.
Ma pare che tutto ciò non sia bastato, perché il Ministro Renato Brunetta ha ben pensato di modificare ancora con un decreto legge adottato nel consiglio dei ministri del 31 marzo scorso - un decreto d’urgenza non discusso in Parlamento - la materia dei concorsi con una linea diversa e tutt’altro che ispirata al principio d’eguaglianza: non più tutti uguali alla linea di partenza, perché ai concorsi puoi partecipare solo sei hai i titoli come master, dottorati, certificazioni varie acquistate in qualche diplomificio o se hai esperienze professionali particolari.
Per lui vanno fatte scremature con un computer: il computer sceglie chi è degno di portate il pane in tavola in base a qualche titolo dichiarato.
Credo che per tante persone, soprattutto quelle che vivono in aree economicamente depresse dove il mondo del lavoro privato non ti dà opportunità alcuna, o per tutti coloro che da poco laureati o diplomati si sentono dire “mi dispiace serve esperienza”, sia davvero arrivato il momento di fuggire da questo Paese.
Chi avrà i danari per acquisire attestati forse andrà avanti, chi avrà avuto esperienze lavorative e quindi ha da dichiarare qualche esperienza da precario qua e la potrà osare, per gli altri no, nessuna speranza di sconfiggere il mostro della disoccupazione.
Ma la cosa che davvero mi lascia sconvolto è il carattere retroattivo della norma: si cambiano le carte in tavole anche per le selezioni già bandite. Così ci viene data dallo Stato una pacca sulla spalla e, se abbiamo gettato soldi in libri di logica e diritto, corsi e tasse concorso sono solo affari nostri.
Credo vivamente che una politica che ragiona in certi termini in un paese economicamente distrutto dal covid e che presenta il record della disoccupazione giovanile, non possa essere definita la politica “dei migliori”. Questo atteggiamento da un mio punto di vista rappresenta solo il cinismo di una classe dirigente improntata a quella che Papa Francesco definisce “cultura dello scarto”, di chi vivendo nelle sue torri d’avorio pensa di sfamare la “vile plebe” con delle brioches».
Riccardo Desantis