La storia della devozione per san Gregorio Magno nelle opere di Leonardo Tarentini e Mario Annoscia
Il culto per il santo patrono trova espressione già nei tempi più antichi e fin nei luoghi più remoti d’Italia, una manifestazione della religiosità popolare in cui trovano spazio differenti livelli di comprensione. Nella sua forma più genuina, la devozione al santo patrono si sostanzia con la preghiera e con la partecipazione alla messa e alla processione, intesa quest’ultima come percorso di spiritualità che avvicina il fedele a Dio proprio tramite il culto del santo. Generalmente, la scelta da parte di una comunità del santo patrono non è mai neutra, ma legata a sentimenti di protezione ad esso attribuiti contro malattie, carestie, fino a ipotizzare un parallelo emozionale con il patrocinio esercitato dal ‘patronus’ romano nei confronti dei suoi ‘clientes’.
Il patronato di san Gregorio Magno (540 ca - 604) su Manduria risale, secondo la tradizione, ai primi secoli della chiesa, quando avvenne la proclamazione dei santi protettori, e comunque non oltre l’ultimo decennio dell’XI secolo (quando si ebbe la riedificazione della chiesa collegiata da parte di Ruggiero il Normanno), perché — come dice il Tarentini — non si può pensare che fino al 1580, anno in cui si ha notizia documentata di un legato all’altare del santo «principal protettore della città», Manduria non abbia avuto nessun protettore o abbia onorato un altro patrono. Sempre nel XVI secolo, una antica memoria di solennità si ha il 12 marzo (‘dies natalis’ di san Gregorio) con la celebrazione di una messa cantata e l’accensione di alcuni ceri presso l’altare del santo nella Collegiata; ‘solennità semplice’ dunque, un ossimoro che era costume di vita religiosa per i fedeli dell’epoca, la cui devozione trovava conforto nei Sacramenti e nella partecipazione alla messa, rifuggendo da qualsivoglia sfarzo ed ostentazione.
Nei secoli successivi tuttavia, nonostante la sincera e continua devozione del popolo mandurino a san Gregorio, l’attenzione dei fedeli venne maggiormente rivolta al culto di san Carlo Borromeo (canonizzato nel 1610), patrono dell’intera diocesi di Oria e ufficializzato co-patrono di Manduria. Accadde così che i fedeli — come ci informa il Tarentini — «s’infervorarono pel Protettore Diocesano S. Carlo, a segno di stabilirgli delle vere feste, nelle quali vi soccombeva perfino la stessa cassa comunale».
Fu la profonda devozione verso san Gregorio di un predicatore quaresimale, probabilmente gallipolino, a ‘riattivare’ il culto cittadino verso l’antico illustre patrono, affievolitosi nel tempo: la sua energica azione di predicazione portò alla celebrazione, con tutti gli onori dovuti, di due solennità, il 12 marzo e il 3 settembre (data dell’ascesa al pontificato del santo). In questo rinnovato slancio devozionale, tanto merito ebbero due illustri personaggi manduriani: Marianna Giannuzzi e il Canonico D. Giuseppe Micelli. In questi anni, venne commissionata una statua lignea raffigurante il santo ai fratelli Trillocco, scultori napoletani (giunta a Manduria nel 1786, benedetta e portata in processione dal vescovo Kalefati con grande sfarzo e con gioia di tutto il popolo dei fedeli); ebbe inizio la costruzione di un cappellone nella Collegiata dove collocare la statua (compiuto nel 1792), al quale contribuirono numerosi fedeli con il proprio lavoro, anche nei giorni festivi — con dispensa dello stesso mons. Kalefati); furono realizzate cinque grandi tele (uno di un pittore romano, gli altri dei pittori manduriani Pasquale Bianchi e Vincenzo Filotico).
Siamo nel 1785. La festa è “Rinovata con tutta solennità, e con generale Processione”: è scritto proprio così nella prima pagina del Registro degli Introiti ed Esiti per la festa di S. Gregorio Magno di quell’anno. Inoltre, dallo stesso registro, nel Regolamento per l’organizzazione della festa: «Che la Festa principale del suddetto nostro Santo Protettore prefissamente stabilita in ogni anno per li 3 di Settembre (…) si facci colla possibile solennità, e con pompa di Cere, Spari, Suoni, Processione generale, e tutt’altro che sembrerà confacente ad un giorno di allegrezza».
Probabilmente, a ‘rinovare la festa’ sopita contribuirono anche altre circostanze. La città non era più sotto il governo degli Imperiali, e questo può aver creato un terreno più adatto a un evento religioso di più ampia portata, quale poteva essere ad esempio una processione per le vie cittadine. Inoltre, la città proveniva da decenni difficili, funestati da calamità naturali (terremoti, gelate, siccità, invasione di locuste), per alcune delle quali si organizzarono processioni penitenziali; da epidemie di peste reali o scampate (l’ultima, scampata, proprio nel 1785), per le quali si nutrivano sentimenti di gratitudine verso il santo patrono per lo scampato pericolo.
Qualunque siano state le celebrazioni in onore di san Gregorio negli anni precedenti, è un fatto che nel 1785 e per tutti gli anni a venire ‘la festa rinovata’ fu ben altra cosa: l’intera comunità contribuiva all’allestimento della festa del santo patrono, sostanziando in denaro o in natura la questua alla quale erano preposti i deputati per la festa: si accettavano, per essere poi successivamente venduti, uova, animali, grano, cotone, mosto, olio, fichi, legumi, ma anche oggetti preziosi e capi di vestiario.
Nei giorni immediatamente precedenti la festa, i banditori avvisavano i cittadini di rendere decorose, pulite e illuminate le vie interessate alla processione del santo, anche in vista della cosiddetta ‘cavalcata’. La tradizione della cavalcata consisteva nel disporre, bardati a festa per la processione del Santo, cavalli, muli e asini, gestiti da un “comandante”. Fino al 1790 la statua del santo venne portata in spalla da bastasi (così si chiamavano i ‘facchini’), ricompensati per la loro prestazione; dal 1791 e fino al 1904 farà la sua comparsa uno scenografico carro (di cui si scriverà nella II parte del post, domani 3 settembre). Era altresì previsto un accompagnamento musicale di trombe, tamburi, grancassa e pifferi. La musica di genere religioso allietava i fedeli lungo il percorso segnato dalla processione, ma anche dentro la Collegiata durante le sere che precedevano la festa e nello spazio antistante la stessa. La banda si esibiva anche nell’attuale piazza Garibaldi sistemata sul tosello, un palco a gradini di semplice fattura. L’esecuzione dei brani musicali divenne via via più ricercata negli anni fino a ricorrere a vere e proprie bande musicali provenienti dai paesi vicini (Francavilla, Erchie ma anche Neviano e Lecce). Oltre alla musica, a dare lustro alla serata vi erano giochi pirotecnici, progressivamente affidati ad esperti dei paesi vicini; negli anni 1830-40 si ha notizia di piccoli palloni aerostatici, di un albero della cuccagna issato davanti palazzo Imperiale e nel 1849 di un Giuoco della Caldara e un Giuoco della Corsa. Qualche anno più tardi compaiono le ‘luminarie ad olio’, archi di legno poggiati su pali fissati ai lati delle strade, lavorati e traforati in vario modo, ai quali erano appesi decine di piccoli lumini a olio per rallegrare e illuminare il passeggio dei cittadini.
Per le notizie riguardanti il patronato di San Gregorio fino al 1785, Leonardo Tarentini, ‘Breve compendio della vita di S. Gregorio Magno, Massafra 1898; per la ‘Festa rinovata’, Mario Annoscia, ‘La festa di S. Gregorio Magno, Patrono di Manduria nella cronaca e nelle tradizioni popolari’.
Entrambe le opere sono DISPONIBILI IN BIBLIOTECA.