Il ‘compare’ e il ‘figlioccio’ costruiscono un rapporto speciale e indissolubile, assimilato a quello della parentela
Dall’episodio evangelico del battesimo di Gesù nel fiume Giordano, ad opera del cugino Giovanni (detto per questo il Battista), scaturisce un particolare tipo di rapporto, storicamente istituzionalizzato dalla Chiesa cattolica in alcuni eventi sacramentali: il rapporto di comparatico (o padrinato), presente nei sacramenti del Battesimo (oggetto del nostro interesse), della Cresima e del Matrimonio.
San Giovanni Battista, primo ‘compare’ della storia cristiana, è stato preso a modello sia per la sacralità del rito compiuto a suo tempo sia perché la sua figura è associata ad un’indole rigida e disciplinata, votata al sacrificio e alla penitenza. L’espressione ‘Dio perdona, San Giovanni no’ rispecchia il sentire comune al riguardo, almeno in passato. Attualmente l’impegno del compare è inteso in modo semanticamente più leggero rispetto al passato, un sereno affiancamento del compare al genitore nel percorso educativo religioso del battezzato.
Nei primi secoli della cristianità, il battesimo era riservato agli adulti, i quali vi partecipavano attivamente, accompagnati da due garanti della loro fede (‘sponsores’). L’istituzione del ‘comparatico’ si rese necessaria a partire dal V secolo, quando a essere battezzati furono i bambini, per i quali, non avendo essi capacità di parola, ci si avvaleva di adulti (‘compari’, dal latino tardo ‘compatre(m)’, composto di ‘cŭm’ ‘con’ e ‘patĕr’ ‘padre’) per rispondere alle domande rituali poste dal sacerdote, a garanzia di una corretta educazione alla fede cristiana. In questo modo, il ‘compare’ e il ‘figlioccio’ costruiscono un rapporto speciale e indissolubile, assimilato a quello della parentela.
È la cosiddetta ‘parentela spirituale’ o ‘cognatio spiritualis’.
Storicamente, la figura del ‘compare’ non comporta fin da subito la nozione di parentela spirituale, almeno non nell’accezione di un sistema strutturato e rigidamente codificato quale diventerà in seguito. La necessità di una simile evoluzione si ha fra il V e l’VIII secolo ed è da ricercare nella volontà di neutralizzare in un orizzonte protetto non solo le conflittualità eventualmente presenti nei rapporti sociali e familiari, ma anche e soprattutto le relazioni amoroso-passionali nate nell’ambito di tale parentela, regolamentandole nell’ordine del sacro.
L’ ‘incestus spiritualis’ infatti, è già presente come impedimento al matrimonio nel Codice di Diritto Civile di Giustiniano nel 530. La ‘ratio’ di tale divieto trova la sua ragion d’essere nella relazione di ‘paterna adfectio’ che unisce il padrino (susceptor) e il battezzato (susceptus), laddove ‘susceptor’ sta per ‘colui che riceve il neofita/bambino dopo il battesimo’ e ‘susceptus’ per ‘colui che è stato ricevuto’. Era proprio quest’atto a configurare il vincolo battesimale al pari di quello familiare. Come nel mondo romano il ‘pater familias’ affermava la paternità sul neonato ‘ricevendolo’ direttamente dal grembo materno, così il padrino riaffermava la paternità spirituale sul battezzato ‘ricevendolo’ immediatamente dopo il battesimo. Tale legame è più forte di quello di sangue, perché il padrino genera il battezzato alla vita spirituale, al cospetto di un’entità superiore che è Dio.
Questo è il primo di una serie di regolamentazioni dei legami venutisi a creare con l’istituto del comparatico, che definiranno infine il sistema di parentela spirituale: ‘paternitas spiritualis’ (legame padrino/figlioccio); ‘compaternitas spiritualis’ (legame padrini/genitori dei padrini); ‘fraternitas spiritualis’ (figli dei padrini/figliocci). A questi legami diretti ne conseguivano altri indiretti, riguardanti i congiunti delle parti coinvolte, accrescendosi nel tempo anche il numero di padrini e madrine presenti al rituale del Battesimo (fino a 17 padrini e 10 madrine).
In questo modo, l’istituto del padrinato, introdotto per risolvere tecnicamente un problema rituale, viene strumentalizzato a fini socio-relazionali, creando (almeno fino al Concilio di Trento) una rete di parentela spirituale strategicamente selezionata in differenti categorie sociali, fino a configurarsi in un’ottica prevalentemente clientelare. Le modifiche introdotte dal Concilio di Trento, che stabilirono la presenza di un solo padrino o di una sola madrina (oppure di entrambi), portarono ad una loro selezione tendenzialmente verticale (almeno nei ceti sociali più bassi, i quali puntarono ad uno status sociale più elevato), mentre in quelli più alti si assistette ad una sorta di ‘endogamia spirituale’ (espressione di G. Alfani) come dire che i ‘signori’ sceglievano per i propri figli padrini del loro stesso livello. Un’ulteriore fase evolutiva del padrinato, quella contemporanea, si ha agli inizi del 1800, con il superamento di entrambi i modelli del passato (clientelare e verticale) e una sistemazione nell’ambito familiare (generalmente consanguineità o affinità).
Per approfondire l’argomento, Guido Alfani, ‘I padrini: patroni o parenti? Tendenze di fondo nella selezione dei parenti spirituali in Europa (XV-XX secolo)’; Italo Signorini (a cura di), ‘Forme di comparatico italiano’, in ‘L’uomo – Società Tradizione Sviluppo’ – Volume XI, n. 1, 1987. In Foto, ‘Battesimo di Cristo’, Giotto, Cappella degli Scrovegni - Padova. Tutte le opere menzionate sono disponibili in biblioteca
E dell’ ‘incestus spiritualis’ ne vogliamo parlare? L’argomento sarà oggetto di un post in pubblicazione domani, insieme all’audio e alla trascrizione di un racconto riferitoci dalla signora My Immacolata, relativo al noto proverbio ‘San Giovanni non vuole inganni’, naturalmente in dialetto manduriano.