Manduriano trapiantato a Roma, ha posto in versi, nella lingua dialettale natìa e poi anche in vernacolo romano, le esperienze vissute a Manduria durante l’infanzia e la giovinezza
Si è spento in questi giorni Giuseppe Greco, Pino per gli amici, appassionato cultore del dialetto manduriano e autore di componimenti in questa lingua.
Nato a Manduria nel 1934 e trasferitosi a Roma, dagli anni ’70 del secolo appena trascorso ha posto in versi, nella lingua dialettale natìa e poi anche in vernacolo romano, le esperienze vissute a Manduria durante l’infanzia e la giovinezza e, ancora, quelle della sua vita successiva, svoltasi per lo più nella capitale.
Con la sua prima raccolta dal titolo “I miei sonetti”, pubblicata all’età di ottantadue anni, mette in rima fatti di politica, attualità seguendo le suggestioni che in lui evoca la poesia romanesca di Gioacchino Belli, Cesare Pascarella e Trilussa.
Seguono “Pizzichi…muezzichi e puisia”, “Storie leggende e vecchi ricordi”, “La strata ti la filicità” e, soprattutto, “Una vita controvento”, raccolte di versi e altri componimenti nella lingua di origine, in cui canta tutto l’affetto per la sua terra lontana e riflette sulle esperienze della sua vita, quali la scomparsa della moglie, le delusioni e i momenti di felicità, la giovinezza lontana e la vecchiaia ormai imminente.
A volte i suoi versi contengono alcuni tratti garbatamente maliziosi, ma sempre eleganti e ricchi di suggestioni, che rievocano i ricordi dell’esistenza povera, ma serena, dei nostri avi.
La nostra amicizia risale ad appena qualche anno addietro ed è nata e proseguita sui social media. Non ho quindi avuto il piacere di conoscerlo personalmente, ma in questi pochi anni è stato come se ci fossimo conosciuti da sempre, tanto ci accomunava la passione per la nostra terra.
In questo breve tempo ho potuto apprezzare molto le sue qualità umane, prim’ancora che quelle, pur rilevanti, in ambito letterario. Ho così ritenuto doveroso dedicargli questo breve pensiero.
Particolarmente significativi e piena espressione del suo legame con il loco natìo - ai cui abitanti non lesina però un’analisi critica delle loro virtù e, molto spesso, anche dei loro difetti - sono le parole dedicate alla sua Manduria in un post pubblicato sulla sua pagina:
Ci mueru e nascu arretu, ulìa,
cu l’aiuto t’lu Signori, scuscitatu,
cu nascu ddò ggia natu:
intr’a Manduria mia.
Un rapporto, quello del Greco, quindi difficile e spesso contrastato, in cui alla fine comunque vince l’amore per la città natale.
Riporto in chiusura alcune tra le più belle composizioni che il compianto Pino amava condividere con gli amici sulla sua pagina social: sono, a mio avviso, la migliore espressione della profondità del suo pensiero e del suo talento artistico, certo che potranno accompagnarci nel Natale ormai alle porte.
LU ICCHIARIEDDU
A ‘stu icchiarieddu, annanzi cu l’età,
mancu la saluti cchiui lu ‘ssisti
No teni cchiui tienti pi’ mancià,
puru lu pani quettu li risisti.
Li frattaji honnu spicciatu ti funziunà
e la memoria, quasi no esisti.
Ma, margradu tutti ‘sti difficurtá,
quannu lu uárdi, no pari tantu tristi.
Uàrda beatu lu soli ca tramonta
e manna a lu ggiurnu l’urtimi saluti.
La luna ca, cull’acqua si cunfronta
e, lu lucicari ti la prima stella.
Cchiui si bb’icina all’arvuli pizzuti,
e cchiui la vita a iddu li pari bella.
TRADUZIONE
Il vecchietto
A questo poveraccio, avanti con l’età
nemmeno la salute più l’assiste.
Non ha più denti per mangiare,
adesso, pure il pancotto gli resiste.
Le frattaglie hanno smesso di funzionare
e, la memoria, quasi non esiste.
Ma, malgrado tutte ‘ste difficoltà,
a vederlo non sembra tanto triste.
Guarda beato il sole che tramonta
e manda al giorno gli ultimi saluti.
Guarda la luna che nell’acqua si confronta
e il luccichìo della prima stella.
Più s’avvicina agli alberi pizzuti,
e più la vita a lui le sembra bella.
Dal libro in dialetto manduriano
“ Una vita contro corrente “
NATALE TARGATO COVID
Cittu cittu, nanzi alla frascera ,
penzu: ce sensu teni mò la vita.
Tristi, nujatu, arrìa la sera,
Ci sapi quannu spiccia ‘sta partita.
‘Gnincosia a ‘ncocchi a mmei s’è sculurita,
‘na cosa no’ la èsciu cchiui com’era,
ancora mena sangu la ferita.
Mi manca tantu e ‘stu cori si tispera !
E’ mmenzanotti, ti fronti a llu specchiu,
ticu : Bon Natali a llu riflessu,
menchia amicu mia, comu t’ha fattu ecchiu.
Curaggiu, riggistramu ‘st’urtima puntata,
-tuzzu lu bicchieri cu mmei stessu
e fazzu cin cin cu ll’aranciata.-
TRADUZIONE
Natale targato covid
In silenzio, di fronte al braciere,
penso: che senso ha, adesso la vita.
Triste, annoiato, arriva la sera,
chissà quando finisce ‘sta partita?
Ogni cosa vicino a me si è scolorita,
una ,cosa non la vedo più com’era,
mi manca, ancora sanguina quella ferita
e, il mio cuore, ancora si dispera.
E’ mezzanotte, di fronte allo specchio,
auguro buon Natale a me riflesso.
Cavoli amico mio, sei diventato vecchio!
Coraggio, registriamo st’ultima puntata.
Urto il bicchiere contro me stesso
e faccio cin cin con l’aranciata.
Giuseppe Pio Capogrosso