Biblioteca Live - La Gattiana racconta a cura di Archeoclub Manduria: aspettando il Natale (parte 1)
La ritualità del Natale vive di alcuni tra gli aspetti più importanti del mondo contadino tradizionale, in quanto ultimo appuntamento festivo del ciclo calendariale, quale si presentava nel secolo scorso, anche a Manduria
«Il Natale è la festa che più commuove e consola il popolo» scriveva Giuseppe Gigli in “Superstizioni pregiudizi e tradizioni in Terra d’Otranto”, riferendosi al popolo mandurino del secolo scorso. Alla carica affettiva di questa affermazione fa seguito la considerazione che la ritualità del Natale vive di alcuni tra gli aspetti più importanti del mondo contadino tradizionale, in quanto ultimo appuntamento festivo del ciclo calendariale, quale si presentava nel secolo scorso, anche a Manduria.
La tradizione del Natale infatti, è fortemente impregnata della ritualità connessa al tempo naturale, cui si conformava il mondo contadino tradizionale: tempo scandito dai ritmi ciclici e ripetitivi delle stagioni, del cielo e dei suoi fenomeni, del continuo sorgere e tramontare del sole, ma anche tempo magico popolato da eventi misteriosi, credenze ataviche e dal continuo ricorso a soluzioni rituali e simboliche necessarie a garantire la sopravvivenza di esistenze precarie e drammatiche. Accade così che la festa più suggestiva e simbolica dell’anno conservi ancora qua e là, seppur all’interno di un tempo ormai non più naturale, ma fortemente ‘addomesticato’ alle moderne esigenze della società complessa, e ancora un po’ magico, antichi retaggi folclorici rurali ed agresti.
In primo luogo, come festa di fine anno, il Natale rappresenta il passaggio annuale dal solstizio d’inverno, con la sua notte più lunga e fredda dell’anno, al periodo in cui il sole comincia nuovamente ad avere forza e vigore, prendendo il sopravvento sull’oscurità. Questo concetto di rinascita legata al solstizio, intesa come rigenerazione fisica della Natura e come vittoria della luce sulle tenebre, tradisce le lontane radici pagane del nostro Natale (vedi i Saturnali: 17-24 dicembre; il culto del Sol Invictus: 25 dicembre), le quali sono state progressivamente storicizzate all’interno della tradizione cristiana, da quando nel 376 la Chiesa fissò al 25 dicembre la rievocazione storica della nascita di Gesù. È avvenuto così, storicamente, l’inestricabile intreccio fra la ricorrenza più sentita e commovente del calendario liturgico cristiano (la nascita di Gesù) e alcune manifestazioni tipiche degli antichi culti rurali ed agresti, di tipo propiziatorio (fuochi rituali), purificatorio (digiuno), apotropaico (conservazione della cenere dei falò). Il risultato di ciò è la presenza, nella tradizione natalizia mandurina, di residui simbolici pagani all’interno di momenti rituali riportati, dalla tradizione contadina, nell’alveo della convivialità e dei festeggiamenti gioviali per la nascita del Bambino Gesù.
Per il calendario liturgico cristiano è l’Avvento a dare l’avvio al periodo natalizio, nelle quattro settimane che precedono il Natale, durante le quali sugli altari l’attesa viene scandita dall’accensione settimanale di una candela collocata sulla ‘corona dell’Avvento’, fino al raggiungimento della massima luce con la quarta candela nell’ultima settimana prima della Santa ricorrenza. Ecco nuovamente il tema della luce che ripropone con forza la vittoria sulle tenebre, inneggiando a Cristo vera luce e vera vita: la corona come simbolo del sole e del ciclo annuale che sempre si riproduce, ma anche simbolo del mistero di Cristo che, allo stesso modo, si riproduce senza possibilità di esaurirsi mai.
Nella tradizione popolare mandurina le prime suggestioni del Natale si avvertivano la sera della vigilia dell’Immacolata quando, dopo il digiuno della giornata (vedi post del 7 dicembre scorso) si preparavano ‘pettole’ e ‘purcidduzzi’: «ti la Mmaculata, la prima mpittulata» (lett. ‘dell’Immacolata la prima pettolata’). L’8 dicembre era anche il giorno dedicato all’addobbo dell’albero o all’allestimento del presepe: qualche pupazzetto (eccetto Gesù Bambino che veniva collocato la notte di Natale, pregando e cantando ‘Tu scendi dalle stelle’), un po’ di muschio e una candela preparata in casa, mettendo in un bicchiere, contenente un po’ d’acqua e dell’olio, una canna intagliata in modo da sostenere un batuffolo di ovatta a mo’ di stoppino: «chiù motu lubrisebbiu ti l’alburu, mintìunu to lampatini, li canneli cu luuèju (…)» (B.O., 98 anni). Dall’andamento della fiamma della candela si presagiva la buona o la cattiva sorte, oltre all’andamento dell’anno a venire.
Il 13 dicembre ricorre la festività di Santa Lucia, protettrice della vista: si narra che Lucia e la sua amica Irene fossero due pastorelle e che Lucia un giorno, insidiata in un bosco da un uomo innamoratosi dei suoi occhi, per distoglierlo da lei, se li strappò offrendoli al suo spasimante. Miracolosamente, sul suo volto comparvero altri due occhi, ancora più belli dei precedenti. Nella cultura popolare contadina, il giorno di Santa Lucia veniva identificato con il solstizio d’inverno (a causa delle imprecisioni del calendario giuliano, il 13 dicembre era considerato giorno solstiziale, che in realtà è il 21 dicembre): era diffusa la convinzione che le ore di buio della notte del 12 fossero uguali alle ore di luce della giornata del 13 dicembre (‘Santa Lucia quantu è la notti tanta è la dìa’) e che da allora in poi il giorno si allungasse ‘quanto un occhio di gallina’: «Ti tannu in poi zziccunu a lunghiri [le giornate] nu uecchi ti jaddina» (A.A., 66 anni). Stesso significato è espresso in: «Santa Lucia, llea la notti e menti la dia», cioè diminuiscono le ore di buio e aumentano quelle di luce.
Legato al giorno di santa Lucia era il cosiddetto “presagio delle calende”, ossia una sorta di pronostico meteorologico basato sull’attenta e ragionata osservazione delle condizioni climatiche nei dodici giorni che andavano dal 1 al 12 dicembre (oppure dal 13 al 24) e, di ritorno, per ulteriore verifica (non si sa mai!) dal 14 al 25 dicembre (oppure dal 26 al 6 gennaio). In particolare, dal 1 dicembre si traeva il presagio meteorologico relativo al mese di gennaio, dal 2 dicembre quello relativo al mese di febbraio e così via…; ciò avveniva fino al 12 di dicembre (il giorno 13 era escluso dal calcolo), mentre dal 14 al 25 dello stesso mese avveniva la controprova, ossia veniva correlata la situazione meteorologica del 14 dicembre a quella futura dell’ultimo mese dell’anno: se in entrambe le direzioni (crescente e decrescente) la situazione meteo coincideva (ad esempio quella del 1 e quella del 25 dicembre), nel mese relativo a quei giorni (nel caso in esempio = gennaio) si sarebbero ripetute le stesse condizioni. Nel linguaggio contadino tradizionale, quest’operazione veniva chiamata trènuri (pronuncia verosimile, in quanto di un solo informatore): «li trènurizziccàunu del primu fino a giorno 12 (…); giorno 13, ti Santa Lucia, no si cuntava, pueizziccàunu, a scenniri però, dicembri, novembri, ottobri e s’erunuconfrontari» (M.O., 80 anni).
Si arrivava così al 16 dicembre quando aveva inizio la liturgia di preparazione al Natale: una novena, da seguire la mattina presto fino al 24 dicembre, in attesa dei riti religiosi della sera: nel pomeriggio della vigilia, anticamente e fino agli anni ’20 del secolo scorso, è attestata una processione della statua della Madonna della Nova (presente nella chiesa di Santa Lucia) che si snodava per le vie del paese, transitando davanti le principali chiese (Sant’Angelo, Santa Maria, in ultimo la chiesa Matrice). La processione (alla quale partecipavano numerosi bambini che cantavano e pregavano per la nascita di Gesù, recando in mano delle lampade ad olio o la ‘trènula’, la raganella per fare rumore, usata anche durante la Settimana Santa) aveva inizio verso le 18 del pomeriggio della vigilia e terminava all’alba del giorno successivo: «quannu era versu li sei la sera ni facìa assiri (…) e ni ccujumu la matina a lucišciutu, quannu sta facìaarbi, agnuni moti (…) e scìumu Sant’Anciulu, Santa Maria, puei a lla Chiesa Madri si spicciàva (…) era la Matonna ti la Noa, quedda era la mamma (…) e štava a Santa Lucia. Allora quedda la pijàumu e la purtàumu a giru, allora la prucissioni, nc’erunuquiddi (…) cu luueiu [le lampade ad olio]), nc’erunuquiddi ca purtàunu la trènula (…) ca našcìaCrištu, era na gioia» (B.O., 98 anni). Naturalmente, a mezzanotte, veniva celebrata, in tutte le chiese del paese, la solenne messa per la nascita di Gesù Bambino, alla quale accorrevano tutti i fedeli. Coloro che abitavano nelle masserie, erano soliti, laddove vi era una cappella (ad esempio nella masseria di ‘Bonsignore’), accompagnarvi un sacerdote affinché celebrasse la santa messa di mezzanotte: «a Bonsignori, nc’erana bellissima chiesa (…) l’erumu sci pijarinui li Passiuništi, cu lušciarabbai, inìa qua a Manduria, pijavalu padri Passiuništa e inìa, dicìa messa e pueilunnùšcìaarretu a Manduria» (P.A., 87 anni).
La versione a stampa dello studio sulle tradizioni natalizie effettuato sul campo a Manduria, con interviste a fonti orali, da Anna Stella Mancino è disponibile in biblioteca.
Nella foto a corredo del post (tratta dal web), a sinistra il Sol Invictus, a destra Gesù Cristo il Salvatore.