Il libro di Rampini ci mostra come tra Oriente e Occidente lo scambio di valori si è ripetuto molto spesso e che tra la politica di Confucio e quella di Platone non c’è poi tanta differenza
Da secoli Oriente e Occidente si guardano,in un gioco di specchi rovesciati, in cu, di volta in volta, ciascuno vede una certa immagine dell’altro. È questo gioco di specchic he Federico Rampini ricostruisce con questo libro interessantissimo, che attinge non solo alle sue esperienze di giornalista giramondo, ma alle letterature dei e sui Paesi che prende in esame.
Per molto tempo l’Oriente ha rappresentato per noi l’Altro assoluto, la cui diversità serviva, sin dalle guerre persiane, a definire noi stessi, sulla base del binomio individui vs masse. Un binomio che si è riproposto molte volte nella storia, in prospettiva ora positiva ora negativa. Per l’antica Grecia l’Impero Persiano fu l’emblema del dispotismo, dominante su masse amorfe, contrapposto alla democrazia fondata sui diritti di cittadini liberi, e pertanto su quello vincente. Di questo stereotipo l’Occidente tardò a liberarsi e certo tornò in auge nel Rinascimento, quando l’uomo divenne per noi “misura di tutte le cose”. Marco Polo però e il gesuita Matteo Ricci, due secoli dopo di lui, furono ben consapevoli della superiorità della Cina rispetto all’Europa, in ogni campo.
I Cinesi, dal canto loro, non erano allora interessati più di tanto a conoscerci, convinti com’erano della nostra insignificanza. Dopo le grandi scoperte geografiche, quando l’Occidente si lanciò alla conquista di nuovi continenti, anche grazie alla cartografia inventata dai Cinesi e venuta nelle mani di Toscanelli nel 1433, ecco che la Cina cominciò a perdere terreno rispetto a noi e le nostre scienze e tecnologie incominciano ad essere studiate e messe in pratica dalle sue élites.
L’Illuminismo poi, in una oscillazione del pendolo in senso contrario, vide nella Cina un esempio mirabile di amministrazione pubblica, grazie all’integrità dei suoi funzionari, selezionati per concorso. Nell’Ottocento, sotto la spinta della rivoluzione industriale, nacque in Europa l’orientalismo, una “visione” dell’Oriente che influenzò molti aspetti del costume, entrando anche nelle aule universitarie, ma che secondo Eduard Said, la cui opera,” Orientalismo” appunto, Rampini conosce e apprezza, non fu mai neutrale, ma al contrario funzionale alle conquiste coloniali, nel Vicino e Medio Oriente, sulla base di una presunta superiorità della razza bianca.
Nella seconda metà dell’Ottocento, l’Occidente diventa per molti Asiatici il modello da imitare: la Cina, dopo la Guerra dell’Oppio, diviene consapevole della nostra superiorità tecnologica e comincia ad aver paura di noi; il Giappone, sino ad allora fiera mente isolazionista, apre ai contatti con l’Occidente, liquidando definitivamente il suo passato feudale.
Ed oggi? Dopo il tramonto della “primavera indiana” e l’esplosione di tante tensioni inter religiose e interrazziali, nel sub continente e in tanti Paesi asiatici, dopo l’avvento del fondamentalismo islamico nel Vicino e nel Medio Oriente, dopo la pandemia, come guardiamo all’Oriente?
Nella Cina vediamo un capolavoro di efficienza ed organizzazione collettiva, da cui temiamo di essere sopraffatti. Indubbiamente, cinque secoli di dominio dell’uomo bianco si stanno chiudendo sotto i nostri occhi e la pandemia sta accelerando questo processo. Ma il libro di Rampini ci mostra come tra Oriente e Occidente lo scambio di valori si è ripetuto molto spesso e che tra la politica di Confucio e quella di Platone non c’è poi tanta differenza.
“Oriente e occidente - massa e individuo” di Federico Rampini, Einaudi StileLibero, pagg. 276 è disponibile in biblioteca.