Il Politecnico di Milano ha pubblicato sul proprio portale un’intervista a Francesco Tomaselli, che vi proponiamo
Francesco Tomaselli, 20 anni, è studente di Ingegneria Gestionale al Politecnico di Milano, ma anche campione di tiro con l’arco paralimpico.
Quello che era il sogno di un bambino, oggi è diventato realtà per Francesco, che è entrato nella nazionale giovanile e si sta allenando con costanza e passione con l’obiettivo delle prossime Paralimpiadi di Parigi. Costanza e passione che mette anche nello studio, nel suo percorso in ingegneria gestionale al Politecnico.
Per conciliare carriera sportiva e universitaria può contare anche sull'aiuto del programma Dual Career, che aiuta gli studenti del Politecnico che praticano sport ad altissimi livelli a portare avanti con serenità e profitto sia l'attività sportiva sia quella didattica.
Ecco l’intervista (Per le foto dei campionati italiani indoor 2022 © Fausto Ercoli - Sport - Politecnico di Milano)
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Francesco Tomaselli, 20 anni, originario di Sava, è campione di tiro con l’arco paralimpico e studente al secondo anno di ingegneria gestionale al Politecnico di Milano. È lui il protagonista della nuova puntata di Atleti Polimi: lo abbiamo incontrato al rinnovato Centro Sportivo Giuriati per questa intervista.
Ciao Francesco, com’è avvenuto il tuo primo incontro con lo sport?
È iniziato tutto quando avevo nove anni e frequentavo la quinta elementare. Nella mia scuola venne organizzato un corso di tiro con l’arco a cui tutti, ovviamente, volevamo partecipare. I miei genitori erano perplessi sulla possibilità che io potessi praticare uno sport del genere a causa della mia tetraplegia. Nonostante ciò mi accompagnarono alla riunione di presentazione.
Invece, con loro sorpresa, ho potuto partecipare a quel corso come tutti gli altri miei amici. L’unica accortezza fu che l’allenatore mi procurò un arco un po’ più piccolo, ma per il resto fu una bellissima esperienza, che si concluse con una gara finale e un attestato.
E, come sappiamo, non è stata la fine della tua carriera sportiva…
Esattamente. Era il 2012, e quell’estate si sarebbero svolti i Giochi Paralimpici di Londra. Dopo questa mia prima esperienza iniziai a seguirli con partecipazione: mi rendevo conto, in quei momenti, come tante persone in sedia a rotelle praticassero sport. Ero concentrato soprattutto sul tiro con l’arco, di cui a quel punto ero già appassionato.
Quell’estate era proprio un tiratore d’arco il portabandiera della nostra nazionale. Si trattava di Oscar De Pellegrin, che oltretutto vinse a Londra l’ennesimo oro. Lo feci d’impulso: accesi il computer, trovai il suo recapito e gli scrissi una mail, in cui mi complimentavo e gli raccontavo della mia passione.
A quel punto anche i miei genitori, che mi sono sempre stati vicini nelle mie scelte, mi hanno comprato l’attrezzatura e fatto iniziare con gli allenamenti. Dalla felicità che mi si leggeva in viso ogni volta che andavo a tirare con l’arco, era chiaro ormai che quella fosse la mia strada.
Quale fu il destino di quella mail?
Un pomeriggio ero a casa a studiare, quando arriva una chiamata. Risponde mia madre. “È un certo Oscar…”. Non era un certo Oscar, ma era lui, il mio “idolo”, che aveva letto la mail e chiedeva di me e di come stessero andando i miei allenamenti. Fu un’emozione molto forte, e l’inizio di una bellissima amicizia.
Oscar in quel momento era ancora atleta, ma si stava ritirando, e sarebbe diventato di lì a poco consigliere federale. Stava sviluppando “Arco senza Barriere”, un progetto pilota per il vivaio di giovani che ambivano alla nazionale.
Quindi hai continuato ad allenarti con il sogno della nazionale?
Sì. La mia categoria è la W1 compound, ovvero gareggio con un arco da caccia, dotato di carrucole che aiutano a scaricare il peso.
Poi è arrivata la prima convocazione. Nel 2014 sono iniziati i primi raduni giovanili con le prime trasferte: alla nazionale maggiore erano affiancati quattro giovani, tra i quali io. Da allora ho fatto due campionati italiani all’anno, poi tutte le interregionali. Fare più gare possibile è importante, per abituarsi alla pressione di questi eventi.
È un’esperienza molto importante, quella del primo raduno: al nostro ritorno eravamo diventati una squadra unica, grazie ai rapporti che si erano creati. Ero molto contento anche perché miei compagni avevano avuta una buona impressione di me.
L’Italia è stata così la prima nazione in Europa ad avere una nazionale giovanile. A giugno 2019 ero ufficialmente in squadra, come riserva al mondiale. A luglio sono stato poi impegnato nella Coppa Europa, che si svolge in 3 tappe. E il calendario si fa sempre più fitto: pensa che quest’anno sarò impegnato in 5 o 6 trasferte.
L’ultimo traguardo che mi ha reso molto felice sono i risultati degli ultimi campionati italiani indoor di fine gennaio: ho raggiunto punteggi pari a chi è partito per l’ultimo mondiale di Dubai. Sono quindi molto fiducioso nelle prossime gare per le quali mi sceglieranno per rappresentare la nazionale.
Che cosa rappresenta per te lo sport? Che cosa pensi ti abbia insegnato?
L’attività sportiva è straordinariamente importante nella mia vita.
Se devo essere sincero, prima di praticare sport non avevo ancora accettato completamente la mia condizione fisica. Dopo aver scoperto il tiro con l’arco, mi sono reso conto che anche su quattro ruote si può andare avanti, ovunque e comunque, e si possono raggiungere grandi obiettivi.
Ho sfruttato questa mia nuova consapevolezza anche per ampliare gli ambiti di autonomia nel mio privato. Prima i miei genitori mi aiutavano in tanti momenti della mia vita quotidiana. Oggi vivo da solo a Milano, ed è proprio grazie all’arco che fisicamente e mentalmente sono riuscito a fare questo miracolo.
Un’altra caratteristica forte del tiro con l’arco è l’inclusività. Infatti si gareggia tranquillamente tutti insieme, indipendentemente dalla disabilità. Non è un caso se è stato il primo sport paralimpico inventato.
Perché hai scelto di studiare ingegneria gestionale? Perché proprio al Politecnico di milano?
Volevo fare l’ingegnere fin da piccolo. Il Poli mi è sempre sembrato un posto dove c’è molto dinamismo, quindi il posto miglior per iniziare i miei studi di ingegneria. L’unione di un’università come il Politecnico e di una città come Milano mi hanno convinto per questa scelta.
Sei soddisfatto di aver fatto questa scelta?
Devo dire di sì. Purtroppo, non tutte le università organizzano servizi dedicati alle persone con disabilità. Al Politecnico ho trovato informazioni complete sul sito e un ufficio dedicato a cui sottoporre i miei dubbi anche in anticipo.
Il campus, inoltre, è pensato per essere accessibile, e quando ho ad esempio avuto problemi per il parcheggio, si sono subito attivati per risolverli.
Sappiamo che, nonostante i corsi di gestionale siano al campus di Bovisa, vieni spesso qui ad allenarti al giuriati…
È vero… Il nuovo Giuriati l’ho anche tenuto a battesimo: sono stato molto felice di aver partecipato all’inaugurazione del centro sportivo rinnovato, insieme agli altri atleti del Poli.
Qui sto ricevendo veramente un grosso aiuto per i miei allenamenti. Infatti una delle mie paure più grandi al momento del mio trasferimento a Milano era che non avrei trovato nessuno disposto ad aiutarmi, magari con quelle macchine dove io obiettivamente ho bisogno di una mano. Al Giuriati, invece, ho conosciuto Alessia Verza, che vorrei ringraziare di cuore perché dal primo momento si è dimostrata molto disponibile e pronta a capire quali fossero le mie necessità, e ad aiutarmi quando ne ho bisogno. Questo per me è molto importante, perché mi permette di lavorare ai miei obiettivi con più tranquillità.
Come riesci a conciliare sport e studio?
Per il momento sembra riuscirmi abbastanza bene. Quest’anno sarà più duro, perché è quello in cui avverrà il passaggio alla nazionale maggiore, e dovrò quindi dedicarmi ancor di più allo sport.
Il Dual career mi sta aiutando molto. Gran parte delle mie trasferte per i raduni sono durante le sessioni d’esame, ma poterle organizzare serenamente grazie a questo programma mi fa stare più tranquillo.
Riesci a trovare tempo anche per la tua vita privata? Quali sono le tue passioni?
Devo ammettere che mi sto concentrando molto su studio e sport, tanto che posso contare su poche serate libere. Di solito è il lunedì sera quello in cui posso rilassarmi un po’. Quando sono a casa, mi piace molto leggere articoli di giornale, soprattutto approfondimenti sulla tecnologia.
Cosa ti piace di Milano?
Non me lo sarei aspettato, ma Milano mi sta piacendo molto, e mi trovo molto bene in questa città.
Nel panorama italiano è una città avanti come mentalità e attenzione alle disabilità, anche se ovviamente c’è ancora un ampio margine di miglioramento, dallo scivolo mancante ad alcuni tram ancora inaccessibili.
Quali sono i tuoi obiettivi e sogni per il futuro?
Ovviamente il grande sogno sarebbe Parigi con i giochi del 2024. Quest’anno si sta facendo la squadra e… incrociamo le dita!
Per quanto riguarda il mio futuro accademico, vorrei continuare qui al Politecnico con una magistrale rivolta al settore assicurativo-finanziario.
Vuoi fare un saluto ai nostri lettori?
Vorrei mandare un saluto soprattutto ai bambini. Sono sempre contento di fare interviste, perché è fondamentale che gli atleti facciano conoscere questo mondo ai più piccoli. È importante che sappiano che con la passione e l’impegno tutti possono raggiungere grandi obiettivi.
Una delle frasi che mi tocca di più, è quando sento qualcuno di loro dire: “Voglio fare quello che fa Francesco”. In quel momento sono veramente contento di aver trasmesso loro il mio amore per quello che faccio.