Dopo l’ennesima sentenza del Tribunale di Taranto, il vicepresidente nazionale Anmil: «Martedì, nel mio intervento in un convegno in Senato, il mio j’accuse contro la Pubblica Amministrazione»
«Tutti i soldi del mondo non possono riportare in vita un lavoratore morto per essere stato esposto all’amianto, deceduto dopo tre anni di sofferenze indicibili, né tanto meno possono ridare il padre a una famiglia»: è lapidario il tarantino Emidio Deandri, vicepresidente nazionale Anmil, nell’annunciare l’ennesima sentenza a favore degli eredi di una morte per asbestosi.
Il 16 maggio scorso il Tribunale di Taranto, Sezione Lavoro, giudice Maria Leone, ha emanato una sentenza che ha riconosciuto il risarcimento del danno non patrimoniale “Jure hereditario” per l'importo di € 167.565,74.
Tale somma dovrà essere corrisposta dal Ministero della Difesa e da un’azienda operante nell'indotto dell'Arsenale, alla moglie ed ai due figli di F. D., difesi in giudizio dall’avv. Maria Luigia Tritto e dall’avv. Cataldo Tarricone.
F. D. è deceduto per carcinoma polmonare, dopo tre anni dalla diagnosi, patologia contratta a causa dell'esposizione ad amianto durante la sua attività di carpentiere saldatore elettrico e tubista svolta, prevalentemente, nell’Arsenale della Marina Militare di Taranto dove si occupava di lavori di manutenzione, riparazione e revisione di macchinari a bordo di navi militari.
Il nesso tra la malattia professionali e l’attività lavorativa è stato acclarato senza ombra di dubbio dal perito nominato dal Giudice, Domenico Venere, medico legale dirigente delle strutture sanitarie di Castellaneta e Ginosa.
Sin dal novembre del 1971 F. D. aveva svolto tale attività, alle dipendenze di due aziende diverse, su committenza dell’Arsenale Militare, sino al pensionamento nel dicembre del 2001.
Nell’occasione Emidio Deandri punta il dito contro il Ministero della Difesa: «Speriamo che almeno in questo caso il dicastero non continui nel suo comportamento stigmatizzabile. Come altre pubbliche amministrazioni, infatti, quando viene condannato a risarcire un lavoratore o i suoi eredi, tergiversa e si “nasconde” dietro cavilli, invece di chiedere scusa e pagare subito! Sarà uno dei punti del mio intervento che, come vicepresidente nazionale Anmil, terrò martedì prossimo nel convegno nazionale “La Sicurezza: miglioriamola insieme!” in Senato nell’Ala “Caduti di Nassirya” a Roma».
A differenza di ciò che accade con i privati, infatti, la Legge concede ben quattro mesi alle Pubbliche Amministrazioni per pagare, termine che in tutta Italia spesso non viene rispettano.
«Come Anmil sappiamo di sentenze passate in giudicato da due e persino tre anni che devono essere ancora eseguite – ha poi detto Emidio Deandri – costringendo così il lavoratore a ricorrere, attraverso i suoi legali, un “giudizio di ottemperanza” dinanzi a un Tar, un comportamento il cui proprio il Ministero della Difesa eccelle: i tempi si allungano e la macchina della giustizia si ingolfa!».