L’associazione Hortus Animae, presente sul territorio dal 2019, si pone come obiettivo quello di promuovere iniziative culturali – quali concerti, dibattiti su tematiche sociali e di attualità, presentazioni di libri – e di indurre ad un coinvolgimento ed una sensibilizzazione sempre più grandi della comunità.
“Le vere domande e le vere risposte non sono fatte di parole: sono fatte di azioni, di gesti, di atti, di opere in cui possono anche essere compresse le parole. Eppure ogni cosa fatta in qualche modo la si paga in ansia, in insuccesso e, se tutto va bene, in nostalgia”.
Queste parole furono pronunciate dall’immortale artista e poeta Fabrizio De Andrè, a cui l’associazione culturale Hortus Animae ha dedicato, presso il complesso fortilizio "Il Torrione", la serata dell'8 agosto scorso.
In onore del poeta “Faber”, come veniva chiamato De Andrè dal suo amico d’infanzia Paolo Villaggio (per la sua predilezione ad una determinata marca di matite), si è esibito il gruppo musicale Hator Plectorum Quartet, insieme agli ideatori dei Canticacunti Maria Rosaria Coppola, Gianni Vico e Roberto Bascià (nonchè membro del quartetto), proponendo alcuni dei più intensi brani dell’artista.
«Originario della provincia di Genova, De André nacque in una famiglia benestante. La critica del padre nei confronti dei fascisti che controllavano l'Italia costrinse la sua famiglia a nascondersi ad Asti durante la Seconda Guerra Mondiale. L'esperienza lo segnò profondamente, soprattutto quella dello zio (fratello della madre) che riuscì a scappare da un campo di concentramento e ritornare dalla sua famiglia» è riportato in una nota dell’associazione Hortus Animae.
«Fabrizio, ancora bambino, insieme a suo fratello maggiore Mauro, stuzzicarono per diverso tempo lo zio, cercando di sapere qualcosa di quella terribile esperienza. Lo zio raccontò loro della fame e di quando, in fila per entrare nel forno crematorio, riuscì a salvarsi perché il turno delle guardie era appena finito.
Vicende che lo minarono per sempre e fecero nascere in lui un’attrazione sempre più forte verso le questioni sociali: la musica diventò, per lui, strumento di rivendicazione ideologica e capace di esprimere la sua filosofia. Rappresentante de “La scuola genovese”, frequentò gli amici Gino Paoli e Luigi Tenco, che gli aprirono la strada verso l'arte e la musica.
In gioventù visse anni sregolati, opponendosi in maniera ribelle ai “buoni costumi” che la sua famiglia avrebbe voluto inculcargli, ed entrando non poche volte in contrasto con il padre.
Faber abbracciò, da sempre, un’idea di libertà totale, aldilà dello schema classico cittadino-Stato, e di “anarchia” (non nell’ambito di “disordine” o “caos”).
La sua essenza fu nell’individuale progetto di vita, nella realizzazione del proprio desiderio, fuoriuscendo dagli schemi dettati dalla tradizione, dalla morale e soprattutto dalle religioni (nel senso classico del termine).
Essere anarchici significa riconoscere a ogni individuo la libertà negata alla maggioranza per il privilegio di pochi, credere che l’unica società veramente giusta sia quella dove la vita non è regolata da rapporti di potere gerarchici, ma dall’autonomia e dall’adesione volontaria di ciascuno a un progetto condiviso, nel rispetto reciproco dei diritti e nell’adempimento dei propri doveri.
De Andrè lo si ascolta e lo si rivede nei sottoproletariati urbani, nei tossicodipendenti, nelle prostitute ed in tutti gli emarginati ed i “diversi” dal socialmente accettabile.
Egli ebbe il coraggio di chiamarli pubblicamente “drogati” e “puttane”, senza dare a questi termini un’accezione morale negativa. Dedicò loro opere d’arte, sfidando il disprezzo borghese nel quale egli stesso crebbe, appartenendo a una famiglia altolocata di cui sempre denunciò l’ipocrisia.
Ricordiamo, appunto, brani come “Bocca di Rosa”, “La cattiva strada”, “Via del Campo”, “Nella mia ora di libertà”.
“Bocca di rosa”, oltre ad essere un inno agli emarginati, è altresì il riflesso di come il poeta intendesse la natura umana, ossia bipartizione tra le passioni terrene e la voglia di ricercare il sacro, l’eterno. Il corpo quindi non diventa solo prigione per l’anima ma parte complementare. Uno strumento attraverso cui l’anima può raggiungere la felicità (parla infatti di “amore sacro ed amor profano”).
La sua passione civile e la sua sete di giustizia per gli ultimi lo accomuna molto al poeta ed autore francese George Brassens (cantore della marginalità e della fragilità umana).
Sono tanti i temi in comune tra i due autori. Uno di questi, il tema degli amori, perduti o immaginati, è presente nella canzone “Le passanti”, una traduzione di De Andrè del testo “Les Passantes” di Brassens: si tratta di una poesia scritta da Antoine Pol, riarrangiata da Brassens.
La musica di Faber cantò, inoltre, il suo forte antimilitarismo e rappresentò un inno alla pace.
Egli ridiede voce ai cadaveri disseminati sulle strade dalle guerre: a Piero, il soldato che in un moto di pietà verso un militare nemico non osa sparargli, venendo ucciso proprio da quello stesso uomo a cui ha risparmiato la vita (“La guerra di Piero”); al corpo del protagonista della “Ballata dell’eroe”, reinterpretata anche da Luigi Tenco. O ancora, in “Girotondo”, canzone apparentemente allegra in cui il cantautore dialoga con un coro di bambini che hanno ereditato la Terra, distrutta però dalle bombe e dai carri armati. I bambini si chiedono chi li possa salvare, chi possa rimettere in sesto un mondo dove non c’è più spazio per giocare. Ai bambini, sul finire della composizione, non resta che giocare alla guerra, epilogo inquietante che rivela la corruzione dell’innocenza da parte della società.
Il tema della pace è intrinsecamente legato alla sua militanza politica, mai servile a un partito o a un’ideologia, bensì rifiuto sistematico del potere di uno Stato che opprimeva il dissenso con la violenza.
Io suo anticonformismo e il rifiuto verso gli schemi e le dottrine si ritrova anche nella sua visione religiosa e spirituale.
Nonostante molte volte si sia dichiarato non credente, De André espresse spesso una religiosità di tipo panteistico: quando parla di Dio, in effetti si rivolge al Grande Spirito, in cui si ricongiungono tutti i minuscoli frammenti di spiritualità dell’universo.
D’altronde, rielabora la dottrina cristiana in un’ottica più umana e realistica, considerando Gesù il più grande rivoluzionario di tutti i tempi. Ed è proprio a lui che dedicò l’album “La buona novella”.
La buona novella fu scritta nel 1969, in un anno famoso dal punto di vista sociale e caratterizzato dalle lotte studentesche. L’estremo realismo di questo concept si rivela nell’interpretazione che lo stesso Faber diede, accomunando le migliori istanze del movimento studentesco sessantottino con quelle di un uomo che, 1968 anni prima, proprio che contrastare gli abusi di potere, si era fatto inchiodare ad una croce, in nome della fratellanza.
In ogni caso, l’atteggiamento tenuto da De André nei confronti dell’uso istituzionale della religione da parte delle gerarchie ecclesiastiche è spesso sarcastico e fortemente critico, fino all’anticlericalismo.
La nostra associazione Hortus Animae ha voluto quindi omaggiare la serata ad un artista ed un poeta, di tutti i tempi, il cui pensiero vive tuttora ed induce a riflettere.
Il quartetto Hathor Plectrum Quartet è composto da quattro colleghi del Conservatorio di Bari. Nasce nel 2010 per studiare ed eseguire il repertorio del mandolino, attraverso nuove sonorità che spaziano dalla musica partenopea, a colonne sonore di famosi film e ad arrangiamenti del repertorio musicale di celebri cantautori italiani ed esteri».
Ricordiamo, inoltre, una recente collaborazione con Antonella Ruggiero, per la quale sono stati arrangiati molti dei suoi brani con i loro strumenti.