«A Taranto servono soprattutto investimenti massicci per il ripristino di condizioni ambientali più accettabili»
Nella serata dell’altro ieri, presso il Salone degli specchi di Palazzo di città a Taranto, l’associazione Siderlandia e il Centro Sociale Cloro Rosso hanno presentato il convegno “Città d’acciaio. Insediamenti siderurgici e contesti locali in Italia”.
Un viaggio nella siderurgia da un punto di vista storico, economico e sociologico. E’ intervenuto il prof. Ruggero Ranieri dell’Università degli studi di Padova, che ha affrontato il tema dell’evoluzione degli insediamenti siderurgici in Italia dal secondo dopoguerra ad oggi.
Il prof. Michele Capriati, dell’Università degli studi di Bari, ha poi affrontato da vicino il caso Taranto, mentre la prof.ssa Annalisa Tonarelli, dell’Università degli studi di Firenze, ha concentrato il suo intervento sul caso Piombino.
In apertura Salvatore Romeo, di Siderlandia, ha ricordato una provocazione del patron dell’Ilva Emilio Riva, secondo il quale nel suo stabilimento “si fa acciaio e non cultura”. Quasi a sottolineare che l’industria non è legata al contesto socio-culturale della città dove sorge. È un’entità a sé.
Il primo degli interventi è del prof. Ranieri. Si delineano le fasi della nascita dell’industria dell’acciaio in Italia, e le condizioni che portarono all’apertura del quarto centro siderurgico a Taranto nel 1960. Entro i primi anni ’70 ci fu “il raddoppio della capacità produttiva dell’Italsider” e secondo Ranieri, ma non solo, “fu un errore” che ha portato “conflitti sindacali” e “problemi ambientali” in quanto si tratta “di uno stabilimento a ciclo integrale”.
Il prof. Capriati pone due quesiti alla base della sua analisi: “Cosa si impara dall’Ilva?”. “Cosa si può fare per Taranto?”.
“Si impara la differenza tra crescita e sviluppo, poiché Taranto non è un’esperienza di sviluppo”. “La crescita dell’occupazione, del reddito, è solo un mezzo per arrivare allo sviluppo”. “Lo sviluppo del territorio porta a investire sulla salute, sulla sicurezza dei lavoratori, sulla sostenibilità e sulla partecipazione democratica dei cittadini. Significa investire sulla cultura, sulla scuola e l’Università”.
“Si impara la differenza tra sviluppo esogeno e endogeno”. “A Taranto si è puntato sull’Italsider perché si credeva portasse sviluppo, ma il ciclo integrale non genera indotto, non genera un sistema locale di sviluppo”.
Terzo punto analizzato riguarda le “aggregazioni sociali e politiche”. “Il blocco sociale della classe operaia e politica ha voluto fortemente il raddoppio del siderurgico. Questo blocco è naufragato durante la crisi degli anni ‘80”.
“Per Taranto servono soprattutto investimenti massicci per il ripristino di condizioni ambientali più accettabili e i cittadini devono pretendere investimenti dell’industria sul territorio, perché manca ancora una pressione della società civile in questo senso. Gli imprenditori devono partecipare al bene pubblico”.
Infine la dott.ssa Tonarelli parla delle contraddizioni del caso di Piombino, “dove si cercava lo sviluppo del turismo ma si rimaneva soffocati dall’industria”. “A Piombino c’è la fabbrica ma non c’è la cultura della fabbrica”. “La strategia della diversificazione che puntava su turismo e agricoltura di qualità non ha generato occupazione”.
Il futuro per Taranto non sembra diverso se persiste immobilismo e rassegnazione.
Nicola Sammali