Il futuro, il dopo? Difficile da immaginarsi, forse un incubo perenne, forse un’eterna diretta dal cimitero per raccontare la storia della ragazza che visse solo quindici anni.
C’era una volta Avetrana, un punto nello spazio sconosciuto ai più, una scatola dei lego formato gigante simile a tanti altri, senza molte attrattive.
Una storia con un prima, al momento con un durante sui generis, un futuro da punto interrogativo. Lì, tutto era la suo posto, un presepe esposto per 365 giorni a cielo aperto, governato dalle legge del cercare il futuro altrove, come spesso al sud.
L’ebbrezza del brivido, un capriccio, un lusso in dissonanza con la concretezza del vivere quotidiano, sconsacrato dall’arrivo di una palestra, segno dei tempi che si evolvono, in cui i pettorali scolpiti dai bamboccioni disoccupati contaminano la stantia realtà di provincia, di sicuro poco invidiabile.
Il mercato e la chiesa, il rispetto delle tradizioni e la sacralità dei rapporti, l’unico open space della vita di relazione, dalla n'giuria più potente del cognome. L’orco cattivo abitava nella favole dei bimbi di una volta, imprigionato nella fantasia dello storyteller di famiglia o nel libro dell'asilo, prima che le Winx celebrassero l’inizio del terzo millennio e la rivoluzione copernicana della modernità.
La televisione, posta nel living room il passatempo low cost della famiglia, oggetto di spolvero e da gustare con la puzza sotto il naso per gli scandali all’orizzonte. Un giorno, però, il materializzarsi del male porta le creature innominabili in casa, aprendo il varco all’invadenza dei media che raccontano della storia della bella e la bestia, apparentando Avetrana a qualsiasi altro posto.
La vita in diretta tv h 24, diffonde il marcio di questa isola pedonale, lo sdogana dall’anonimato, gli impone la maschera della vergogna, porta una volta tanto la città dentro al paese sovvertendo la naturale legge del pesce grande che mangia quello piccolo.
La cronaca nera scorre nei fiumi di parole e di cavi elettrici a colpi di scoop, colpi di scena, confessioni choc, assedi mediatici sparsi tra le due vie teatro di un omicidio, particolari torbidi che arricchiscono lo scarno vocabolario della gente del posto che conosce la pedofilia, i depistaggi, le forze dell’ordine per gradi e specialità sempre a portata di naso, Caronti tra il carcere e la vita reale, addetti al trasporto di un fattaccio del giallo del secolo.
Si è dentro la televisione, opinionisti improvvisati pro e contro gli assassini, bagnati dalle lacrime per la morte di una ragazzina cresciuta a pane e parenti, sbranata dal lupo di Cappuccetto Rosso, sotto le mentite spoglie di un uomo qualunque.
La catarsi è collettiva, come l’orrore, troppo grande per un piccolo centro, troppo assurdo per essere vero, e stupratore di una vita normale non più gestibile, lontana da quella routine da paura compulsiva, improvvisamente e stranamente desiderata.
Il prima ed il durante di Avetrana diventano la tesi e l’antitesi di un tempo e di uno spazio condiviso, tanto diversi, come le realtà a cui si rifacevano, nello scorrere di un venerdì di passione dilatato all’inverosimile dalle mille facce dei suoi protagonisti.
Il futuro, il dopo? Difficile da immaginarsi, forse un incubo perenne, forse un’eterna diretta dal cimitero per raccontare la storia della ragazza che visse solo quindici anni.
Mimmo Palummieri