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26/02/2011 08:48:31 - Sava - Cultura

La Costituzione e i suoi valori fondanti nell’impegno delle donne del CIF in un intervento della sua presidente Luigina Pedone

 
 
«Il CIF ha dato un contributo, tutto al femminile, alla storia del nostro Paese dal dopoguerra ad oggi. E’ stato uno dei protagonisti della rinascita del secondo Risorgimento, la cui Costituzione è la “Magna Charta” contenente i valori di solidarietà e di uguaglianza capaci di dare impulso alla particolare fase di transizione sociale e politica.
Nato a Roma nel 1944 come Federazione di 26 Associazioni femminili cattoliche, con la sua operosa e solidale presenza nel campo dell’assistenza a sostegno della famiglia ha sicuramente alimentato l’idea dell’Unità ed ha educato alla cultura della partecipazione responsabile al bene comune. L’idea fondante era stata infatti anche quella di creare una mediazione nel rapporto tra le donne e la nascente democrazia che, con grande probabilità, le avrebbe poi chiamate a votare.
La prima Presidente del CIF fu Maria Federici, una delle 21 donne della Costituente, rifugiata all’estero negli anni del regime che fece parte della 1° Commissione per la Costituzione (19 luglio 1946-31 gennaio 1948)
Nel 1950 fu eletta alla presidenza Amalia di Valmarana, rimasta in carica fino al 1962, che elaborò, insieme alle altre donne dell’associazione, il primo statuto redatto nel 1951, nel quale si metteva in evidenza l’indipendenza dai partiti politici.
In quegli anni il Cif accompagnò le donne italiane nella loro crescita culturale ed economica, assecondandone la richiesta di riconoscimento dei diritti, e soprattutto rivendicando una serie di realizzazioni legislative che mettessero in pratica il dettato delle parità tra uomo e donna, sancito dalla Carta Costituzionale. L’istituzione del Corpo di polizia femminile nel 1959, la legge per l’ammissione a tutte le carriere nel 1963 e poi la legge per la pensione alle casalinghe approvata nel 1963, che riconosceva il valore del lavoro domestico, sono difatti tutte leggi direttamente sostenute da esponenti del CIF.
Durante gli anni turbolenti del femminismo il Cif ebbe una qualche trasformazione abbandonando la rigida struttura corporativa e divenendo, nel 1970, un’associazione più accessibile alla quale potevano aderire anche singole donne.
Negli anni ’90 ha guidato il Cif nazionale una donna pugliese, Maria Chiaia, che ha continuato a svolgere un’azione capillare di organizzazione e di tutela delle donne sul territorio: consultori, case per ferie, centri di ascolto, formazione professionale, promozione politica. Lo scopo principale era quello di integrare ed allargare le iniziative dello Stato sociale, che apparivano decisamente insufficienti, sia a fronte dell’ampliarsi dei bisogni che per la ristrettezza delle risorse economiche. Di pari passo, da un punto di vista più  filosofico-culturale, sul tema della donna si andava affinando più il concetto della differenza che dell’ uguaglianza.
Negli anni della presidenza Chiaia il Cif ha ritrovato in pieno il senso e la dimensione della “centralità” delle origini, svolgendo un ruolo di raccordo e di incontro, soprattutto culturale, tra le organizzazioni femminili più significative in Italia. Maria Chiaia è partita da un’ osservazione di base: quella di una condizione femminile apparentemente equiparata a quella maschile, ma in realtà ancora arretrata e in grande difficoltà, soprattutto per quanto riguarda la partecipazione politica.
Il tema generale dell’emancipazione femminile è stato oggetto di uno studio attento con un’attenzione particolare anche al quadro internazionale. Durante la Conferenza Internazionale ONU di Pechino infatti si parlò per la prima volta di differenza di genere che da allora è divenuta una sorta di parametro antropologico su cui far convergere l’ orientamento delle scelte politiche dei diversi Paesi del mondo. In particolare l’Unione Europea ha fatto sue le conclusioni della Conferenza di Pechino, approvando un Programma di azione per la parità di opportunità tra le donne e gli uomini.
Nel libro di Maria Chiaia “Sulle orme di Antigone”-Emancipazione femminile e laicità cristiana” (edizioni Studium Roma) l’immagine della donna, sensibile alle istanze sociali ed etiche, diviene in qualche modo paradigma universale dell’umanità nella figura mitologica di Antigone: una ‘donna libera, che pensa, decide ed opera in piena autonomia, in piena contrapposizione con il potere e la tradizione degli uomini’.
La figura di Antigone, ci suggerisce M. Chiaia, può aiutare a superare la dualità dell’ uomo-donna concepita come antinomia tra Polis e Pietas, giacchè nel dramma di Sofocle avviene l’incontro drammatico tra la dimensione etica personale tipica del femminile e la presenza pubblica propria del maschile. Antigone, al contrario della sorella Ismene, non obbedisce al re di Tebe che la costringeva a non dare sepoltura a suo fratello. Ismene si sente costretta dalla sua natura di donna ad obbedire al re: “Siamo donne, non fatte per batterci contro gli uomini; costrette dai più forti(…). Io obbedirò a chi sta al potere.” Antigone ribatte con fierezza rivendicando libertà: “Tu vivi come credi, io a lui darò sepoltura. Compiendo quest’ azione mi piacerà di morire”. La distanza tra le due donne è uno spazio incolmabile: due modi inconciliabili di essere e di porsi nei confronti dell’ uomo, del potere e del pensare comune.
La sfida di Antigone al potere e allo Stato rappresenta il ripensamento dei ruoli tradizionali e l’invito ad un’interpretazione più nuova e creativa. Mentre la sua vocazione all’amore e alla priorità delle relazioni interpersonali segna una straordinaria consonanza con una visione della donna soggetto strategico del cambiamento.
La partecipazione politica femminile ai livelli decisionali rimane, com’è noto, uno dei punti più neri della nostra democrazia. Sessant’anni di voto alle donne non sono ancora riusciti a colmare un vuoto di presenza, che appare ormai gravemente penalizzante non solo nei confronti delle altre democrazie europee, ma anche di quelle extraeuropee.
Il rapporto tra le donne e la politica è ancora un “ tabù del potere”
Il Cif ha contribuito, negli anni, alla crescita della coscienza politica delle donne, ma ancora molto occorre fare. Maria Chiaia ha parlato di una “cittadinanza incompiuta” che richiede riforme istituzionali in grado di rimuovere nella legislazione e nel diritto quelle incompatibilità che ancora frenano la piena realizzazione di una democrazia paritaria.
Noi donne dovremmo essere come Antigone che è una donna libera, che pensa decide ed opera in piena autonomia, in contrapposizione con il potere e la tradizione degli uomini.
La coscienza etica in Antigone è affidata alla fede in un ordine interiore di valori e alla responsabilità personale: le leggi più accessibili e usuali della convivenza quotidiana in una prospettiva personalistica propongono il rapporto tra individuo e organizzazione socio-politica fondato sul rispetto della libertà e dei diritti della persona, sull’idea di unità dell’umanità, che si ribella a qualsiasi forma di razzismo e di casta, come al disprezzo per lo straniero o alla negazione dell’ avversario politico. Si fonda cioè su un principio di uguaglianza che secondo l’ espressione di Mounier “…consente di non sopravvalutare il potere della ragione personale e di dare spazio all’ originalità della Pietas (Antigone) che nella polis costruisce quel tessuto di sentimenti e di valori che cementano in termini di giustizia eterna i rapporti tra le persone e tra i cittadini e le istituzioni».
 
 
Riflessioni della presidente del CIF
Luigia Gabriella Pedone










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