Presentato un progetto articolato che si basa sull’uso irriguo, sullo scarico in pozzi sperdenti per arginare la contaminazione salina e sull’eventuale stoccaggio in una cava dismessa del “troppo pieno”
Riuso in agricoltura e scarico nei pozzi sperdenti da ricavare negli strati superficiali non saturi del sottosuolo, con accumuli idrici del cosiddetto “troppo pieno” (l’eccedenza nei periodi piovosi) in una cava di oltre 400.000 metri cubi di volume.
La proposta del comitato “No scarico a mare” è approdata l’altro ieri sul tavolo della Quinta Commissione regionale, che si occupa di ambiente. Nel rispetto degli impegni assunti al termine del convegno che si è svolto in Fiera, il presidente Donato Pentassuglia ha avviato una serie di audizioni sulla ormai annosa disputa che riguarda il depuratore consortile di Manduria e Sava e, in particolare, il suo recapito finale.
Davanti ad una platea qualifica (oltre a tutti i componenti della Quinta Commissione, erano presenti anche la vice presidente regionale Angela Barbanente, il rappresentante dell’Arneo Orazio Muratore, il rappresentante dell’autorità idrica pugliese Vito Colucci, il presidente della Commissione Ambiente della Provincia Bartolo Punzi, l’assessore provinciale all’Ambiente Giampiero Mancarelli, il consigliere provinciale Mimmo Lariccia, il commissario straordinario del Comune di Manduria Aldo Lombardo e una serie di altri rappresentanti di associazioni), il docente universitario Mario Del Prete, in rappresentanza del comitato, ha nuovamente illustrato la proposta alternativa al contestatissimo scarico a mare dei reflui.
«E’ un argomento importante, che parte dalla necessità di immaginare l’obiettivo del totale riutilizzo dei reflui, adeguatamente affinati, evitando la condotta sottomarina e lo scarico a mare» è il commento del consigliere regionale jonico Donato Pentassuglia.
La proposta è quella che, in buona sostanza, è stata ribadita e motivata durante il convegno in Fiera.
«Sul riuso in agricoltura non ci sono obiezioni, fatta salva la necessità di individuare preventivamente il comprensorio irriguo e predisporre la rete di distribuzione» è riportato in una nota diffusa dalla Regione Puglia. «Il nodo principale da sciogliere riguarda la proposta dei pozzi sperdenti con la doppia funzione di arginare i processi di contaminazione salina e costituire il recapito finale per lo smaltimento dei reflui in eccesso. Bisogna fare attenzione che non si tratti di scarico diretto in falda, ma di scarico negli strati superficiali del sottosuolo».
Il prof. Del Prete ha chiarito la indubbia utilità di questa proposta.
«Sul riuso in agricoltura delle acque sanificate sono tutti d’accordo» ricorda il docente universitario manduriano. «Anche sulle altre due soluzioni da me ipotizzate, ho riscontrato molte adesioni. L’utilizzo dei pozzi sperdenti è ormai una necessità improrogabile. Sinora in agricoltura gli operatori utilizzavano i pozzi realizzati all’interno della propria azienda, dai quali attingevano l’acqua. Ora, però, l’intrusione dell’acqua salata nelle falde sta raggiungendo livelli preoccupanti: la contaminazione è arrivata, dal litorale, a tre chilometri dall’abitato di Manduria. Non c’è più acqua dolce e le coltivazioni sono sempre più a rischio: l’irrigazione presto sarà fondamentale per salvare l’agricoltura e, dai nostri calcoli, l’acqua sanificata del depuratore, quando la rete irrigua sarà a regime, potrebbe non essere sufficiente. Per non parlare, poi, del rischio di desertificazione cui questa zona va incontro, così come è riportato nella mappa delle zone a rischio redatta dagli esperti. Per il “troppo pieno”, infine, si può utilizzare una cava già esistente, evitando, quindi, la realizzazione di trincee drenanti».