La cartedda di babbaluci
In Commissariato chi aveva a che fare con i casi di polizia giudiziaria non si annoiava mai, tanto meno l’Ispettore Di Falco che era il responsabile della squadra di polizia giudiziaria. Per lo più le questioni che trattava erano serie: indagini di mafia, omicidi, estorsioni, furti, rapine, magari anche qualche zuffa tra vicini.
Ogni tanto, però, ci usciva qualcosa di grottesco e divertente.
Di Falco stava appena entrando in Commissariato, come ogni santa mattina, quando incrociò Gerlando Cassadonia che correva come inseguito da un cane inferocito.
“Ma dove minchia corri?” chiese l’ispettore all’Assistente della Polizia di Stato.
“E’ urgente, ha telefonato Capuozza, che ha ricevuto una telefonata dal Capo di Gabinetto, che a sua volta gli ha telefonato il Questore, che gli ha telefonato il sindaco dicendo che gli hanno fatto trovare una scritta nel muro del Comune” rispose respirando con affanno Cassadonia.
“Urgente urgente non c’è niente” sentenziò Di Falco considerazione che spesso ripeteva, frutto di tanti anni di carriera nella polizia, e poi dispose “non ti agitare, avvisa Ombra, chiama Romano prepara la macchina.”
Neanche finì di dire la battuta che dalle scale del Commissariato arrivarono Ombra e Romano che se la ridevano.
“La sai la novità?” chiese Romano.
“Qual è quella della scritta sul muro del comune? chiese sorridendo Di Falco.
“Sì, sì, lo sai che hanno ristrutturato da poco l’edificio del Comune e hanno rifatto il prospetto da pochi giorni? chiese Ombra ridacchiando.
“Si, l’ho visto ieri sera passando” rispose l’ispettore.
“Non ci crederai, ma qualcuno stanotte con la vernice a spray ci ha scritto testualmente “Sindaco hai più corna tu che una cartedda di babbaluci.”
Di Falco sorrise, socchiuse gli occhi e agitò la testa e disse “Minchia! Tutta questa era l’urgenza? Manco ci fosse un morto sparato a terra. Facciamo una cosa, prima andiamo a fare colazione al Bar e poi ci passiamo dal Comune. Gerlando, nel frattempo, avvisa la polizia scientifica che viene a fare le foto e i prelievi di un campione di vernice.”
Al bar, appena entrarono, compresero che la storia della scritta era già motivo di conversazione.
Il più preoccupato di tutti era Paternò Roberto, ex consigliere comunale di Rifondazione Comunista, e titolare della libreria “La gaia scienza”. Il suo commento a voce alta era “ora diranno che è un attacco politico, che l’opposizione è passata alle invettive personali, tutto lardo che cola per il sindaco, e per almeno due mesi in città invece di parlare di cose serie, tipo piano regolatore e inefficienza dei servizi si discuterà delle corna del Sindaco. Secondo me quella scritta lui l’ha fatta fare a qualche suo galoppino.”
Il più pettegolo era Sasà Panzamodda, tassista abusivo, che si passava la giornata a farsi i cazzi degli altri e non i suoi, tanto da non sapere che se c’era un cornuto quello era sicuramente lui, considerato che sua moglie se la faceva con il medico massimalista Dottor Francesco Ciotta.
Il pettegolo commentava “Che la moglie del sindaco non fosse una santa io l’ho sempre detto, certo non posso svelare i miei segreti professionali, ma certe cose sono sotto gli occhi di tutti, e finalmente qualcuno lo ha avvisato per iscritto.”
Ci furono altri commenti ma purtroppo Di Falco non riuscì a sentirli perché arrivò puntuale la telefonata del Commissario Capo Capuozza.
“Dove siete?”
“Stiamo sbrigando una faccenda importante che non posso dirti per telefono, considerata la riservatezza dell’operazione”
“Ok, appena finite la riservata operazione al bar venite immediatamente al Comune, ci sono gli stati maggiori dell’arma dei Carabinieri e della Finanza e come al solito mancate voi.”
“No, ti sbagli capo, appena vengo ti dico tutto” concluse la telefonata Di Falco.
A telefono chiuso Di Falco diede l’ultimo morso al suo cornetto alla crema di pistacchio e lo ingozzò con grande soddisfazione.
“Era quello scassaminchia del capo che ci vuole al Comune, appena arriviamo parlo solo io se ci chiede dove siamo stati. Intesi? disse Di Falco ai suoi colleghi.
Poi prese il telefono e chiamò Tanese dell’ufficio Passaporti “Di Falco sono. Fammi una cortesia, guarda il fascicolo di richiesta per il passaporto del sindaco e dimmi come si chiama sua moglie e se ha figli.”
“Resta in attesa” disse l’interlocutore e poco dopo comunicò “Rosanna Guagenti di anni trentadue ha due figli una di tre anni Eleonora e l’altro di cinque Francesco.”
“Ok grazie” rispose l’ispettore e chiuse la conversazione.
I tre poliziotti consumarono tranquillamente la loro colazione e poi con le pance piene si presentarono al comune dove si era formata un folla composta da curiosi, giornalisti e investigatori.
Appena il loro capo Capuozza li vide la prima cosa che chiese fu: “Spiegami la riservata operazione che stavi svolgendo?”
“Ora ti faccio delle domande e tu invece di rispondermi mi dici bravo” replicò Di Falco.
“Come si chiama la moglie del Sindaco? Il sindaco è cornuto per conto di moglie, di figlia o di madre? O peggio ancora è cornuto di amante?
Queste domande non erano per nulla marginali, infatti nella tradizione locale le corna potevano provenire da svariati gradi di parentela ed affettività. Certo, le più comuni erano quelle della moglie, ma non si poteva trascurare quelle portate per conto della figlia, o della madre. In ultimo le più fastidiose: quelle portate dalle amanti o quelle più segrete ovvero quelle portate da uomini in clandestini rapporti omosessuali.
“Effettivamente non lo so” dichiarò il Commissario Capo Capuozza.
“Mentre tutti eravate qui ad interpretare la scritta, manco fosse un geroglifico egizio, noi siamo andati all’ufficio anagrafe e ci siamo tolti quasi tutti i dubbi sui nominativi e l’età delle donne collegate al signor sindaco, altro che bar” mentì Di Falco.
Capuozza fece schioccare dalla bocca un “ma” e poi chiese: “Hai tutti i nominativi?”
“Certo - replicò Di Falco - che credi che sono andato lì a certificare il mio stato di famiglia?”
“Ok, considerato che siamo in anticipo su questi accertamenti rispetto ai Carabinieri, fai subito un rapporto e invialo al magistrato di turno per fax, che io già lo ho notiziato per telefono” concluse la discussione il Commissario Capo Capuozza.
Dinanzi quella scritta posizionata in bella evidenza, sul lato sinistro del Comune, in prossimità della porta d’ingresso, c’era uno straordinario spettacolo d’umanità. Almeno sei cameraman impegnati a riprendere scritta ed investigatori impegnati a far finta di investigare. Politici che portavano false solidarietà al sindaco e che in verità se lo avessero visto morente per strada non si sarebbero neanche preoccupati di chiamare il prete per un’estrema unzione. Impiegati comunali che avevano la scusa per chiacchierare fuori dal loro posto di lavoro allegramente. Curiosi e sfaccendati che avevano trovato come occupare il loro tempo. Gli unici che si davano da fare seriamente erano i poliziotti della polizia scientifica che fotografavano e repertavano la vernice, raschiandola dal muro e campionandola in sacchetti di plastica numerati.
La storia del cesto zeppo di lumache cornute paragonate alle infinite corna del sindaco a Di Falco fecero accendere una strana voglia. La voglia di lumache cotte con il sughetto e le patate. Ultimamente le aveva mangiate in un agriturismo e il ricordo della loro bontà ancora lo assaliva. Se le ricordava quando le preparava la sua nonna e lui piccolo con lo stecchino le estraeva dal guscio per farne un gradito boccone. La moglie si impressionava a vedere i gasteropodi serviti su un piatto, per cui Di Falco le avrebbe fatte cucinare al suo amico Agostino, un vero esperto in materia di cucina povera siciliana. Ma per soddisfare il suo desiderio culinario Di Falco si dovette incamminare sino alla fine della via Roma, in una traversa della via principale, lì si sistemava lo Zio Luvici che vendeva babbaluci e asparagi selvaggi. Ci arrivò a passo veloce, temeva che lo Zio le avesse vendute tutte. Giunto non lo trovò al suo solito posto, rimase deluso.
“Minchia l’ho visto 365 giorni l’anno, con la barba bianca incolta, la coppola marrone di velluto, la giacca a coste, ormai piegato dalla vecchiaia, oggi che mi sono deciso di comprare le sue lumache non c’è. Vaffanculo” pensò con stizza Di Falco.
Ma il segugio non mollò, sapeva dove abitava in campagna e raggiunta l’auto si mise in viaggio. L’abitazione si trovava in periferia e distava qualche chilometro in linea d’aria dalla Valle dei Templi. La strada era sterrata, del resto i vincoli architettonici, non ne consentivano la bitumazione. Giunse dinanzi un cancello in ferro battuto che spezzava un muro a secco che costituiva una recinzione d’altri tempi. Non vi era campanello per cui urlò “Zio Luvici, Zio Luvici.”
Non passò molto tempo e dalla porta di un edificio vetusto a due piani, costruito con pietra bianca irregolare spuntò un giovane. Era con le spalle nude e un paio di pantaloni con taglia extralarge.
“Mio nonno non c’è che v’abbisiogna?”
“Una chilata di scataddizzi”
“Va bene, entrate avevo paura che eravate qui per conto del Commissariato.”
“E perché tu che hai fatto che ti aspettavi comunicazioni dal Commissariato?”
“No, io niente.”
“Allora ce le hai ‘sti babbaluci o no?”
“Mio nonno oggi non è andato a prenderle, da quando il sindaco gli ha vietato di mettersi a venderle non ci va più.”
“Ma ora dov’è tuo nonno?” chiese Di Falco.
“A pascere le pecore e rientra stasera” rispose il ragazzo.
“Va bene appena torna me lo saluti e gli dici che sono venuto per comprare i babbaluci” replicò Di Falco andandosene.
Fu il secondo fallimento per Di Falco e questo aveva dell’incredibile, quasi si convinse che se voleva magiare lumache, era meglio che andava a raccogliersele lui.
Intanto, le indagini andavano avanti senza sosta.
Il commissario Capo Capuozza per l’occasione convocò tutta la sezione investigativa. Lui in faccia aveva la maschera della tensione e del peso della complessa indagine. Ma gli uomini, con Di Falco in testa, avevano priorità diverse e certo la scritta ingiuriosa contro il sindaco occupava sicuramente l’ultimo dei casi su cui impegnarsi. Del resto c’erano indagini di mafia delicate da portare avanti, deleghe dell’autorità giudiziaria e diversi telefoni e intercettazioni ambientali da seguire per incastrare una banda di spacciatori, per cui quella riunione era considerata solo un fastidioso perditempo.
Capuozza esordì scaricando improperi contro chi aveva fatto le scritte e poi chiese ai suoi uomini il massimo impegno nella identificazione dei responsabili di quel caso. Del resto come aveva sottolineato più volte la credibilità del Commissariato si giocava anche in questo.
A fine riunione tutti ritornarono ai loro compiti senza commentare o interessarsi al caso delle scritte inerenti le corna del sindaco.
Il sindaco nel pomeriggio si recò in commissariato e svolse regolare denuncia e, rispondendo alle domande di Di Falco, affermò che non aveva nemici personali, non aveva avuto liti o aveva ricevuto minacce da chicchessia, di essere in buoni rapporti con la moglie, di non avere storie extraconiugali ed avere solo avversari politici, e che quelle scritte erano da attribuire alla sua azione amministrativa di grande rigore.
Le novità sul caso delle scritte inneggianti alle corna del sindaco giunsero pochi giorni dopo con una lettera anonima inviata alla locale redazione del giornale “Nuova Sicilia”.
La busta conteneva tre foto pornografiche, che in realtà erano dei fotomontaggi, dove era rappresentata la moglie del sindaco in scene di sesso sfrenato. E poi un foglio di carta bianca formato A4, con una scritta in nero effettuata con una stampante. Sul foglio era scritto testualmente “Il sindaco e i babbaluci hanno una cosa in comune le corna”.
Dopo la ricezione il capo redattore si affrettò a chiamare il commissariato riferendo della missiva ricevuta avente come oggetto il sindaco.
Di Falco giunse alla redazione prontamente assieme a Ombra e Romano. Questa volta la situazione cominciò a preoccupare l’ispettore di polizia. Mentre osservava il contenuto della missiva incriminata commentò “Certo c’è una escalation in merito al caso. Finché ci si limita a scrivere una frase offensiva e banale su un muro, anche se del Comune e contro il Sindaco è un conto, con queste foto la situazione prende una piega che mi comincia a preoccupare.”
Le foto e la busta furono affidate a personale della polizia scientifica. Gli specialisti avrebbe effettuato i necessari accertamenti, al fine di scoprire su di essi dei frammenti di impronte digitali, riconducibili agli autori di quella missiva. Quando i poliziotti della scientifica finirono la repertazione, Di Falco era rammaricato, poiché, sapeva per esperienza, che quei fogli erano stati inquinati dai redattori del quotidiano.
Risentito in merito a quella nuova diffamante missiva, il sindaco non aggiunse nulla di nuovo, mostrando una tranquillità irreale.
Romano commentò “Chiunque si sarebbe innervosito davanti a quelle foto anche se si tratta di volgari fotomontaggi.”
“Probabilmente è abituato a questo tipo di pressioni è un politico navigato o forse ci nasconde qualcosa di molto più grave” suggerì Di Falco.
Romano continuò: “con l’ultima missiva è chiaro che non era interesse dei diffamatori avvisare il Sindaco della infedeltà della moglie, ma è evidente che l’obiettivo è diffamare il Sindaco e che le corna o le lumache in qualche modo devono entrarci in questa storia.
Di Falco concordò con la tesi del collega e cominciò a trovare un nesso tra le lumache e il Sindaco.
In realtà, quel pensiero gli fece aumentare il represso desiderio di lumache cotte, con il sughetto e le patate. Pertanto cercò un allevamento di lumache per soddisfare la sua brama culinaria.
Inserì i dati “lumache allevamento sul motore di ricerca del p.c., delineò la zona d’interesse e venne fuori finalmente una serie di indirizzi e siti.
Trascrisse in un foglio di carta il recapito del più vicino allevamento, convinto di risolvere la questione definitivamente, prese l’auto, e si recò presso l’indirizzo letto sul monitor del p.c.
Non fece molta strada e dopo circa sei chilometri dalla città, lungo la statale, imboccò una traversa, che lo avrebbe condotto in contrada Minaga. La strada interpoderale lo condusse in piena campagna. I campi erano stati da poco arati ed il colore marrone scuro era predominante, interrotto solo dai confini costituiti da muretti di pietra murati a secco di colore grigio. All’indirizzo, dove doveva esserci l’allevamento di lumache, in realtà esisteva solo una centrale fotovoltaica. Da quella struttura scorse un soggetto, che con un decespugliatore stava tagliando dell’erbaccia intorno all’impianto.
“Scusi, cerco un allevamento di lumache, dovrebbe essere da queste parti.”
L’uomo si avvicinò alla vettura del poliziotto lo guardò e disse diffidente: “è questo l’allevamento ma mi scusi perché vuole saperlo. Lei chi è?”
Quella risposta che si era trasformata in una domanda insospettì il poliziotto, oltre ad indispettirlo, per cui rispose a tono: “sono l’Ispettore Di Falco del Commissariato di Polizia, e cerco l’allevamento Cuffaro e lei chi è?
L’uomo inghiottì saliva e cominciò a infastidirsi e poi con tono sommesso e sorridendo come un ladro beccato sul fatto disse “sono io Cuffaro per servirla.”
Di Falco notato il cambiamento di atteggiamento dell’uomo, ne approfittò per formulare la sua richiesta: “Senta io sono venuto per acquistare un chilo di lumache.”
“Ah!- esclamò l’altro – certo le lumache qui le coltiviamo. Certo ma – prendeva tempo Cuffaro – ora non posso servirla, abbiamo dei problemi tecnici ma se viene nel pomeriggio gli faccio trovare le lumache. Facciamo così, venga verso le cinque che le trova.”
Di Falco in parte soddisfatto e in parte deluso, andò via con la promessa delle lumache.
Alle 17,00 in punto, immancabile Di Falco si trovò presso l’allevamento di lumache che a prima vista sembrava tutto tranne che quello.
Dei pannelli fotovoltaici erano posti su travi di ferro di circa quattro metri, il resto era chiuso con del materiale plastico, tanto da formare dei capannoni di piccole dimensioni.
Cuffaro sembrava aspettarlo con ansia e appena il poliziotto scese dalla vettura, lo accolse con una sorriso. Gli strinse la mano e gli porse un sacco con dentro i molluschi tanto desiderati.
“Quanto le debbo signor Cuffaro?”
“Ma nulla, non si preoccupi, io qui vendo all’ingrosso, non faccio il dettagliante e poi per me è un piacere regalarle il mio prodotto.”
“No, insisto, lei affronta delle spese, mi sembra di approfittarmene.”
“Stia sereno, non si preoccupi, ma di che parla, sono solo una chilata di babbaluci.”
Con le lumache, dopo aver ringraziato e salutato, finalmente Di Falco si recò dal suo amico Agostino per accordarsi sulla cottura.
Il provetto cuoco gli disse: “prima di mangiarle, bisogna farle pascere con il pane e dopo alcuni giorni cucinarle.”
Il giorno di cucinare le lumache, a dispetto delle indagini sulle corna del sindaco che non decollavano, arrivò.
Di Falco, Ombra e Romano furono invitati e ospitati a cena nella sala da pranzo di Agostino. Le lumache furono servite come antipasto. Erano preparate con un delizioso sughetto e patate. Per estrarre molluschi dal guscio i quattro utilizzarono gli stuzzicadenti. A Di Falco gli venne in mente quando le lumache le preparava la buonanima di sua nonna. Con le patate e il sugo di pomidoro, per lui una vera delizia. Non faceva che leccarsi le dita col sughetto che gliele bagnava, quando prendeva le stesse dal piatto. Poi immancabile fu la scarpetta col pane. La cena fu a base di prodotti tipici come sottaceti, formaggi, tra cui: pecorino, salsiccia essiccata, salami. Una vera delizia per i quattro amici, che certo non disdegnarono un vino novello prodotto dalle vigne del padre di Romano.
La discussione in merito alle lumache ricadde sulla circostanza che Di Falco le aveva ricevute come lumache da allevamento.
“Ma che babbabluci d’allevamento sono queste, non vedi che sono di dimensioni e tipi diverse. Queste sono raccolte, altro che d’allevamento” decretò Agostino che aveva il tono dell’esperto.
“Senti, chi me le ha date ha un allevamento, perché doveva darmi delle lumache raccolte?” replicò Di Falco.
“Questo dovresti fartelo spiegare da lui” rispose Agostino.
Ma tutto quel mangiare e tutte quelle lumache non agevolarono la digestione dell’ispettore Di Falco che stette sveglio tutta la notte.
Mentre cercava di riprendere sonno si girava e rigirava nel letto e cominciò a salirgli il dubbio sul perché Cuffaro gli avesse omaggiato le lumache raccolte, spacciandole per lumache da allevamento. Del resto era convinto che Agostino aveva ragione, le lumache non potevano essere di allevamento. Ma non si spiegava quale poteva essere il motivo di quella bugia.
Tra l’indigestione e la misteriosa bugia, Di Falco non prese sonno, pertanto appena vide le prime luci dell’alba, si vestì e uscì di casa e si mise in macchina. Raggiunse il presunto allevamento di lumache poco dopo. Lì fu accolto dai latrati di due cani che lo aggredirono mentre era in auto. Il poliziotto aveva dimestichezza anche con le bestie che latravano feroci. Si ricordò che in macchina aveva una busta di croccantini che erano destinati al suo cane. Fu facile ingraziarsi gli animali a cui servì il cibo a loro molto gradito. Mentre i cani mangiavano se ne approfittò per ispezionare cosa c’era sotto i pannelli solari. Li ispezionò tutti e quattro e fece l’inaspettata scoperta, all’interno non c’era neanche un guscio di lumache, ma solo calcestruzzo e polvere.
Trascorsa circa mezz’ora, Di Falco sentì giungere una vettura. Si rammaricò di non avere con se la sua pistola d’ordinanza. Si nascose in un capannone e attese l’arrivo della vettura. Da un fuoristrada scese Cuffaro che notando la macchina di Di Falco si avvicinò alla stessa e vi guardò dentro. Mentre Cuffaro era di spalle Di Falco uscì e lo sorprese.
“Buongiorno signor Cuffaro”
L’altro fu preso alla sprovvista. Il poliziotto sapeva che a quel punto non doveva parlare ma far giustificare della sua bugia il fantomatico produttore di lumache.
Cuffaro di statura media, calvo, sulla cinquantina, robusto e rossiccio in faccia dopo essersi ripreso dallo spavento, rassicurato dalla vista del poliziotto cominciò a inghiottire saliva.
Di Falco lo guardò era sicuro che a quel punto avrebbe parlato.
L’ispettore non restò deluso e come ebbe modo di raccontare ad Ombra e Romano poche ora dopo in ufficio: “parlò senza vastunati. Mi disse che la storia dell’allevamento era solo un pretesto per impiantare la centrale fotovoltaica, senza possedere la licenza della Regione. C’è una legge, per la quale, basta dichiarare che si impianta un allevamento di babbaluci, per poter installare una piccola centrale fotovoltaica. Poi senza tante pressioni mi ha anche ammesso che aveva allungato una mazzetta al sindaco, su richiesta esplicita di un geometra dell’ufficio tecnico, e finalmente aveva costruito l’impianto fotovoltaico. Mi ha pure giurato, che avrebbe sistemato l’allevamento a giorni. Io gli ho detto che a me non me ne fregava niente delle lumache, ma che lo aspettavo per oggi per verbalizzare la storia della mazzetta al sindaco, se non voleva che gli mandavo una ispezione per fargli chiudere l’impianto e denunciarlo per truffa aggravata.
Lui mi ha assicurato che sarebbe venuto e mi ha chiesto di non rovinarlo che quella del fotovoltaico era l’ultima spiaggia e se gli andava male non avrebbe potuto dare da mangiare ai suoi figli. Io mi ci sono incazzato e gli ho detto che sarebbe dovuto venire da noi immediatamente dopo la richiesta di denaro del geometra del Comune, ma lui mi ha risposto che aveva paura.”
Alle dieci precise Cuffaro era seduto di fronte la scrivania di Di Falco e verbalizzò con dovizia di particolari l’intera vicenda della centrale fotovoltaica e della richiesta di soldi da parte del geometra. Alla fine, Cuffaro appose la firma sul verbale e con la confessione, liberata la coscienza, sembrava soddisfatto di essersi messo dalla parte giusta.
Di Falco con quel verbale, aveva finalmente il motivo che legava il sindaco alle corna delle lumache, ed era chiaro, che non erano da collegare alla infedeltà della moglie.
“Altro che corna, questo mascalzone prende le mazzette, assieme al geometra, per non vedere che mancano le corna di babbaluci negli impianti fotovoltaici. Sicuramente, qualcuno che non voleva sottostare al ricatto ha iniziato questa campagna diffamatoria contro di lui, in maniera molto esplicita. Noi non conoscendo nulla della normativa, non potevamo arrivarci mai e avremmo sempre pensato che si trattava di invettive contro il Sindaco. In realtà, probabilmente, sono messaggi chiari a lui rivolti. Il diffamatore ha pensato “tu non mi dai la licenza per l’allevamento e quindi non posso montare i pannelli fotovoltaici, allora io ti sputtano dicendoti che hai le corna, come quelle dei babbaluci.”
Con quel verbale firmato da Cuffaro per l’ispettore fu facile ottenere dal procuratore della repubblica De Magistris un mandato di perquisizione presso l’ufficio tecnico del Comune e l’acquisizione di tutti i fascicoli relativi alle istanze per la realizzazione di impianti fotovoltaici.
Si presentò l’indomani con Ombra e Romano dietro la porta dell’ufficio tecnico del Comune. Al custode addetto all’apertura, per poco non gli veniva un infarto a vederli tutti e tre messi dietro la porta ad attenderlo, spazientiti del ritardo con cui si era presentato.
“Senti ma te ‘sto cesso di ufficio lo apri quando te pare o c’è un orario?” chiese Ombra.
Il custode si incarognì e ribatté ma chi siete? E come vi permettete?
“Siamo quelli che ti rompono il culo, tu devi aprire alle otto minchione, sono le otto e mezza e ancora stai a grattarti i coglioni, invece di parlare, apri ‘sto cesso, abbiamo un mandato di perquisizione” ribatté Ombra mostrando il pezzo di carta.
“Siete della polizia?” chiese il custode.
“Sì, avvisi subito il responsabile dell’ufficio che siamo qui ed abbiamo bisogno di lui” replicò categorico Romano.
“Certo, permettetemi di entrare e lo chiamo” disse balbettando il custode.
Il responsabile non tardò ad arrivare e una volta preso coscienza del mandato di perquisizione si mise a disposizione dei poliziotti. Prese due fascicoli da uno scaffale sul cui dorso era scritto “Istanze fotovoltaico” poi li adagiò su un tavolo e disse “ecco questo è tutto quello che abbiamo. Come vedrete ad ogni istanza è allegata una concessione o un diniego con la motivazione. Io sono qui a vostra disposizione. Di Falco e Romano si divisero i fascicoli, si sedettero e cominciarono a spulciare i documenti mentre Ombra si accomodo sul tavolo ed iniziò a farsi la manicure.
Non fu difficile per i due ispettori selezionare le richieste non evase o negate. Una volta scelte chiesero maggiori dettagli al responsabile dell’ufficio, l’ingegnere Palumbo.
Trascorse tre ore di lavoro avevano individuato sei pratiche inevase o a cui era stato dato il diniego, erano poco chiare anche per l’ingegnere che non seppe dare sufficienti motivazioni. Ombra intanto ne aveva approfittato per telefonare a tutte le sue amanti, riuscendo a ricontattarne alcune che era mesi che non sentiva.
La notizia della loro irruzione dentro l’ufficio tecnico non rimase riservata e alla loro uscita si trovarono telecamere e fotografi e giornalisti assetati di notizie. Di Falco li dribblò volutamente, lasciando sulle spine Sindaco e mali amministratori che cominciarono a temere per le loro malefatte.
Di tutte le sei pratiche quella che balzò all’occhio di Di Falco fu quella dell’Architetto Cipolla. Politicamente avverso al sindaco, si era distinto per i suoi attacchi all’operato dell’amministrazione comunale anche con documenti ed esposti, ma Di Falco non lo faceva capace di bassezze di quelle proporzioni con fotomontaggi di materiale pornografico. Pertanto decise di occuparsi di una richiesta che era stata respinta senza una motivazione valida. Si trattava del geometra Sinaguglia, il cui studio era sito in via Basile n. 34. Le altre quattro erano deficitarie di documentazione ma non era mai stata chiesta ai richiedenti ulteriori integrazione.
Nel pomeriggio, Di Falco ed Ombra bussarono allo studio del geometra per maggiori ragguagli.
Sinaguglia, un trentenne alto, con la barba, li fece entrare nel suo studio e li fece accomodare. Incredibilmente senza neanche farli parlare della questione per cui erano venuti a trovarlo dichiarò: “complimenti siete stati capaci di individuarmi, non me lo sarei mai aspettato, sì sono stato io a mandare i fotomontaggi al giornale, ma era solo per costringere il sindaco a darmi una concessione che mi spettava, senza pagare la tangente, come mi aveva fatto intendere il geometra del comune Gangarossa. Ad ispirarmi è stata la notizia della scritta sul muro del Comune, quella che diceva che il sindaco era più cornuto di una cartedda di babaluci, che preciso non sono stato io a scrivere.”
Di Falco rispose severo “vede, anche lei come molti altri pensate di risolvere le questioni di malcostume e corruzione o pagando, come fanno i più, o passando dalla parte del torto usando gli stessi modi ricattatori o illegali degli amministratori corrotti.”
“Sì, ma io non ho più fiducia nella giustizia a volte è lenta e non efficace” ribatté Sinaguglia .
“Forse sarà lenta, ma è l’unico modo per risolvere una questione in modo civile, senza ricorrere ad altri atti illegali” affermò con sicurezza Romano.
Il sindaco e il geometra dell’ufficio tecnico furono tratti in arresto e condannati per concussione grazie alle denunce di Cuffaro e Sinaguglia, quest’ultimo fu rinviato a giudizio per diffamazione in merito alle foto inviate al giornale.
Ma restava ancora sconosciuto l’autore della scritta sul muro del Comune contro il sindaco. Di Falco in realtà se l’era fatta un’idea ma non aveva voglia di portare avanti quella indagine, del resto il sindaco certo non si era comportato da galantuomo, ma d’altra parte il fatto non poteva restare impunito.
Di Falco assieme a Ombra si recò nella campagna dello Zio Luvici, ma questa volta non chiese dell’anziano ma del ragazzo che anche quella mattina invece di andare a scuola mixava e componeva basi per il suo show hip hop.
Giuseppe Contino, in arte conosciuto come il Fradicio, era già diffidato come ultras della locale squadra di calcio, si presentò in perfetta tenuta R&B con collana al collo pacchiana, berretto da baseball pantaloni oversize camicia sbottonata e petto scoperto.
“Buongiorno Peppe Contino avvicina che ti dobbiamo infilare un discorso.” disse Ombra.
Il giovane che di solito era spavaldo e dai modi rudi conoscendo la fama di Ombra arrivò come un cagnolino con la coda tra le gambe.
Ombra lo guardò schifato e gli disse “vedi che carnevale è finito.”
“Mi sto preparando al mio nuovo show e mi sono vestito così”
Di Falco lo guardò negli occhi e gli disse: “mi pare che tu e i tuoi amici con lo spray siete bravi e avete imbrattato qualche muro ultimamente, vero?
“No ce lo giuro qualche graffito lo abbiamo fatto alla stazione su un vagone del treno e su un muro di cemento alla Balata, ma graffiti, niente scritte.”
“Sicuro che non hai scritto niente sul muro del comune? Tipo che il sindaco è cornuto perché non ha permesso a tuo nonno di vendere babbaluci? Stai attento Contino perché se mi dici minchiate faccio confrontare la vernice degli spray che hai usato per i graffiti della stazione e della Balata con la scritta del comune ”
Il giovane fu visibilmente preoccupato e non spiccicò una parola neanche gli avessero strappato la lingua.
Di Falco propose: “facciamo così c’è il preside della scuola materna Falcone Borsellino che sta imbiancando le aule e mi ha chiesto se conoscevo qualche bravo disegnatore per raffigurare Topolino e Mimmi che si danno la mano e con i libri vanno a scuola su una parete ed allora ho pensato a te e alla tua squadra. Presentati domani pomeriggio che io gli parlo, non c’è bisogno che porti i colori te li da il segretario della scuola.”
Il Fradicio ci pensò su, capì che non aveva alternativa, e con l’amaro in bocca acconsentì.
Due giorni dopo lo Zio Luvici si recò al Commissariato aveva con sé un sacco con dentro una chilata di babbaluci.
A Ferlisi che si trovava alla ricezione disse “Ci lassu i babbaluci pi l’ispetturi Di Falcu, sacciu ca ci piacinu assai e si li mangia cu gran piaciri.”
Il poliziotto sapeva che lo Zio Luigi non era un oratore e quelle parole avevano un gran valore.
Questa volta gli invertebrati furono cucinati presso il ristoratore di fiducia. Di Falco assieme a Lillo il titolare del ristorante e il cuoco si accordarono sulla cottura e sugli altri ingredienti cercando di rifarsi alla ricetta della nonna dell’ispettore di polizia.
Quando Lillo gli chiese come doveva chiamare quel nuovo piatto da inserire nel menù del locale Di Falco non ebbe dubbi “Le corna del sindaco in umido”.
Fabio Fabiano
(L’autore è un poliziotto siciliano, che da anni si cimenta anche in campo letterario. Nel 2008 ha pubblicato “Il Caso del Morto per fortuna” romanzo poliziesco della serie L'Ispettore di Falco della Collana “Non solo indagini”, lanciata nel 2008 dalla CSA Editrice. Sempre per la stessa serie e Casa editrice, nel 2009 ha pubblicato “Cuore di Gesù” che compendia le sue grandi passioni e le arricchisce delle competenze professionali acquisite nel corso della sua lunga carriera investigativa. Nel 2011 pubblica “46909” allarga il campo d’azione dell’investigatore Di Falco in ambiti internazionali e della tratta degli extracomunitari che sbarcano a Lampedusa. Nel 2012 da indipendente pubblico per la serie Le indagini dell'Ispettore Di Falco “Il frutto della corteccia” per Narcisus.
La foto è di Marco Scintilla, fotografo talentuoso vincitore di numerosi premi)