Iconografia di una lucerna paleocristiana da Manduria
Un piccolo oggetto, umile ma significativo,fu molto in uso nel mondo antico: la lucerna.
Ad essa le religioni hanno attribuito sempre un duplice valore, pratico e simbolico. Nell’universo cultuale precristiano, essa era posta nella mano del morto per illuminargli il cammino verso l’oltretomba, mentre nell’ambito del cristianesimo è stata spesso considerata immagine stessa della fiamma della fede. In questo senso, è emblematica la parabola evangelica delle vergini sagge e delle vergini stolte, in cui assume un valore centrale appunto la “lampada”( lucerna).
In età paleocristiana, anche le lucerne, analogamente a tutti gli altri manufatti prodotti in quest’ambito culturale, si arricchiscono di elementi simbolici, il cui significato rimanda quasi sempre agli attributi di Cristo.
Nel nostro breve contributo vogliamo prendere in considerazione un’interessante lucerna, tra le cinque finora ritrovate nel territorio di Manduria. Esse sono state pubblicate da due differenti studiosi, vale a dire R. Jurlaro e C. D’Angela. In queste note ci occuperemo della lucerna rinvenuta nei pressi della cappella di San Pietro Mandurino, depositata per diversi anni nelle teche della Biblioteca Comunale “Marco Gatti”.
Il manufatto, delle dimensioni di cm. 11x6,5x3, è di argilla rosso corallino, ed è stato edito da R.Jurlaro [Cfr. R. Jurlaro, Lucerne Cristiane dal Salento, in ”Ricerche e Studi”, 3 (1967), pp.7 e 19-20]. Sul dischetto di questa lucerna è rappresentata una lepre in corsa, soggetto molto usato nell’iconografia dei primi secoli del cristianesimo. La lepre era per i pagani simbolo di fertilità, mentre per i Giudei si connotava di un valore negativo: considerata animale impuro, essi non ne mangiavano la carne.
Il cristianesimo assegna invece all’animale un significato positivo, riabilitandolo, e facendolo diventare l’immagine stessa dell’uomo timoroso di Dio.Sant’Ambrogio fa di questo piccolo animale l’emblema stesso della Resurrezione, poiché il suo manto cambia colore secondo la stagione, e, mentre nel protocristiano “Physiologus” latino esso non trova posto, nella redazione bizantina del testo (sec.XI) la lepre “di solito fugge, presa dallo spavento. Se corre verso il basso viene presa, ma se si dirige per vie alte e strette i cani e i cacciatori non riescono a seguire la strada e la perdono. Di qui l’esortazione al cristiano a tendere verso l’alto, i monti di David, cioè le virtù e la cittadinanza divina per non essere preso dal cacciatore, il Maligno” [Cfr.A.Quacquarelli, Spigolature paleocristiane nel Salento, in “Puglia paleocristiana e altomedievale”, VI (1991), pp.110-111].
E la metafora non è proprio peregrina, se pure il Salmo 103, v.18 , recita “la roccia (Dio) è rifugio per lepri e ricci”. Sulla base di questi riferimenti, dunque, l’animale ha finito per incarnare, nell’immaginario degli uomini dei primi secoli della cristianità ma anche del Medioevo, l’idea stessa del timor di Dio [Cfr. M. P.Ciccarese, Animali simbolici. Alle origini del Bestiario cristiano (Bologna 2002) p.49].
Tra l’altro, la studiosa Chiara Musatti ha avuto modo di verificare concretamente la funzione del simbolo all’interno del mosaico medievale dell’Abbazia di Pomposa (FE), risalente al IX secolo.
Per poter svelare il significato più plausibile dell’immagine della “lepre che fugge ”, essa è naturalmente partita dal significato del programma decorativo complessivo del mosaico, ma soprattutto dalla considerazione fondamentale che la simbologia è originariamente una “rivelazione esistenziale dell’uomo a se stesso” e che “il mistero che l’uomo percepisce nella contemplazione della natura non è tanto quello del cosmo in sè, quanto quello del suo proprio riflesso nel cosmo”, secondo le indicazioni di Guglielmo di Champeaux [Cfr. C. Musatti, ricerche sull’iconografia del pavimento musivo dell’Abbazia di Pomposa”, tesi di laurea A.A.2004/2005, Università Cattolica-Sede Brescia, p.47].
La studiosa, dopo aver condotto un’attenta disamina sul significato attribuito alla lepre in vari ambiti culturali del mondo antico,conclude che, nel mosaico medievale dell’abbazia di Pomposa, l’immagine della lepre in fuga appare giustificabile immediatamente come simbolo della condizione umana: “l’uomo, avviluppato nelle spire di un’esistenza segnata dalla fugacità e dal male, in bilico sull’innocenza che ancora regge il mondo (rinnovata e garantita dall’infinita bontà divina con il sacramento del battesimo) spaurito e inseguito ovunque e in ogni momento dalla ferocia e dal peccato, non trova alcuna via di salvezza nel contesto terreno e umano. La “salus” dell’uomo risiede in una dimensione esterna, oltre tutto ciò che riguarda le cose terrene” [Cfr.Ibidem, p.47].
Anche la lucerna manduriana, secondo noi, esprime lo stesso significato. Per i pagani la lepre era un simbolo dal valore tendenzialmente negativo, anche a causa della stranezza del suo apparato riproduttivo. Il cristianesimo la riabilita, attribuendole un significato positivo, e facendola diventare, come già detto, immagine stessa di una vita spirituale attiva,che tenga anche conto della necessità di sfuggire al Maligno e alle occasioni “prossime”di peccato. Di tutto questo immaginario resta traccia nell’anonimo manufatto manduriano, sfuggito anch’esso, chissà come, alle ingiurie del tempo e degli uomini.
Nicola Morrone
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E’ in rete la quinta puntata del “Prudenzano News”
“L’incontro con la sezione di Manduria dell’Associazione Nazionale Bersaglieri