Il caso Scazzi, insomma, continua a far discutere a sei anni di distanza dall’omicidio della 15enne di Avetrana
Sarà la corte d’assise d’appello di Taranto a dover decidere il prossimo 15 ottobre, a sei anni dall’arresto di Sabrina Misseri, se la giovane di Avetrana condannata in primo e secondo grado all’ergastolo per aver - in concorso con la madre Cosima Serrano - sequestrato e ucciso la cuginetta Sarah Scazzi, potrà tornare libera per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare, fissati appunto in 6 anni dall’articolo 303 del codice di procedura penale. Oppure se nel calcolo complessivo della durata della carcerazione preventiva, dovranno essere aggiunti anche i 360 giorni complessivamente chiesti e ottenuti in primo e in secondo grado dalle corti per il deposito delle motivazioni (termini peraltro non rispettati sia dalla corte d’assise che dalla corte d’assise d’appello).
La questione si giocherà in punta di diritto, tenendo sullo sfondo il dettato della Costituzione secondo la quale «la compressione della libertà personale dell’indagato o dell’imputato deve essere contenuta nei limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari riconoscibili nel caso concreto» e dunque non si può escludere che gli avvocati Franco Coppi e Nicola Marseglia giocheranno anche la carta dell’attenuazione delle esigenze cautelari, vista il decorso del tempo dal fatto.
Il caso Scazzi, insomma, continua a far discutere a sei anni di distanza dall’omicidio della 15enne di Avetrana.
«Quanto sta avvenendo - dice la criminologa Roberta Bruzzone, per un periodo consulente della difesa di Michele Misseri prima di diventarne controparte in un processo che vede alla sbarra il contadino di Avetrana per calunnia - lascia l’amaro in bocca. Capisco e comprendo gli impegni a cui i magistrati devono far fronte tutti i giorni ma in questo caso, con una sentenza d’appello che nel dispositivo è praticamente identica a quella di primo grado, credo che francamente 13 mesi per il deposito delle motivazioni, ancora non avvenuto, siano proprio tanti. Francamente mi dispiace, è un aspetto che si poteva risparmiare alla famiglia e alla memoria di Sarah».
«Non conosco la vicenda e non so quali possano essere - dice l’avvocato Egidio Albanese, presidente della Camera Penale di Taranto - i motivi del ritardo nel deposito della sentenza. È una situazione particolare che riflette quella in cui si trova la sezione di Taranto della corte d’appello di Lecce, rimasta con pochi magistrati in organico e con tanti processi da trattare, nel disinteresse del governo e della classe politica nazionale e locale. Con un pizzico di cinismo, spero che questa vicenda serva a far accendere i riflettori sulla situazione in cui si trova la corte d’appello di Taranto».