La storia di una festa che ricorda un orribile episodio
Siamo abituati ad etichettare tutto con precisione, dando connotazioni regolari agli avvenimenti, date, scadenze e ricorrenze che popolano la nostra vita, con riferimenti rassicuranti che ci possano restituire certezze.
Abbiamo sempre attribuito all’8 marzo una sua origine ben precisa facendo riferimento ad un orribile episodio che, nella leggenda, riguarda la morte di un numero imprecisato di operaie americane che nel 1857 furono rinchiuse in fabbrica dal loro datore di lavoro, certo Mr Johnson, affinchè non partecipassero ad uno sciopero indetto per rivendicare i propri diritti. Nell’edificio divampò un incendio, qualcuno sostiene che venne appiccato volontariamente il fuoco, mietendo più di un centinaio di vittime tra le donne presenti che non trovarono vie di fuga poiché porte e finestre erano barricate.
Secondo altre versioni, la festa dell’8 marzo è da collegare all’incendio del 1911 nella fabbrica tessile Triangle Shirtwaist Company di Manhattan in cui morirono 146 operaie, quasi tutte immigrate di origine italiana ed ebraica. Dalla documentazione negli archivi statunitensi, non emergono dati precisi corrispondenti che possano suffragare gli episodi: l’incendio di Manhattan non trova conferma nella datazione, il numero delle vittime e le circostanze variano a seconda dell’interpretazione e dell’informazione circolata nei vari Paesi del mondo. Nessuna certezza, quindi. I fatti certi, invece, riguardano alcune date importanti per comprendere come sia nato il “Woman’s Day”, la Giornata della Donna.
Nel 1975 le Nazioni Unite proclamarono l’8 marzo giornata da dedicare a tutte le donne e lo stesso anno “Anno internazionale delle donne”. Ma aldilà della storia reale o degli aspetti leggendari che contornano la Festa della Donna, è importante mantenerne il significato per ricordare le conquiste in ambito culturale, politico e sociale ma riconoscere anche che rimane molto da fare per contrastare violenze e discriminazioni ancora evidenti.
Questo giorno non sarà solo il tripudio delle mimose e dei cioccolatini a forma di cuore ma un riconoscimento autentico di quanto le donne abbiano dovuto lottare per ottenere quanto hanno raggiunto.
Non si dimentichi, soprattutto oggi, che ogni anno, cento donne sono vittime di femminicidio. Vuol dire che ogni tre giorni una donna muore per mano del proprio uomo.
Una strage che si consuma nel civile Occidente, dove le donne non portano un velo, ma gli uomini sì: quello che gli obnubila la coscienza per un frustrato senso di controllo e potere. Una società in cui le parole l‘autodeterminazione e parità non dicono più niente e sono finite in soffitta come i sessantottini dischi in vinile. Dove la soglia del dolore comune si è abbassata, rendendo l'odio e il sopruso due accidenti con cui convivere.