lunedì 25 novembre 2024


16/12/2021 18:24:28 - Manduria - Cultura

L’accensione del falò della vigilia nelle strade e il rito purificatorio del digiuno

In passato, la maggior parte dei riti legati al Natale avevano luogo la sera della vigilia, ed erano frutto di un profondo sincretismo culturale e religioso. Ad esempio, l’accensione del falò della vigilia nelle strade o del ceppo nel camino trovava la sua ragion d’essere negli antichi culti arborei ed agresti, secondo i quali soltanto bruciando l’albero (sacrificio) veniva liberato lo spirito silvestre, garante della fertilità. È presente, inoltre, a conferma del forte spessore simbolico sotteso all’evento solstiziale, il concetto del simile che produce il simile: nei giorni di minore vigore della luce e della forza del sole (solstizio), accendendo luci e fuochi rituali (vedi le luci dei moderni alberi di Natale, fuochi rituali ‘stilizzati’) si combatteva il terrore delle tenebre (per estensione della morte) e si cercava di rinvigorire ciò che più di tutto si teme di perdere: la luce (per estensione la vita).

Carattere propiziatorio dunque, ma anche purificatorio (come l’idea di bruciare in esso tutte le negatività) aveva, la sera del 24 dicembre, l’accensione agli incroci delle strade di un grande falò, lu fanòi. Questa operazione richiedeva la collaborazione di adulti e bambini, i quali andavano in giro ‘questuando’ sarmenti da utilizzare nel grande falò. Era abitudine riunirsi attorno al fuoco, a pregare e a cantare, inneggiando alla Madonna e a Gesù Bambino: «simintìunu tutti turnuturnu e cantàunu ‘ninna nonna ninna nonna è parturita la Matonna’» (A.A., 66 anni); pazienza se faceva freddo, ci si scaldava al calore del falò e con qualche pettola ancora calda, mentre si ballava e si cantava a suon di musica, magari ottenuta battendo l’uno contro l’altro due coperchi di pentole, a mò di piatti musicali: «tannu to tampagni ti patelli, quiddierunu li cosi ti settant’anni ottant’anni fa (…) tutti dda, lufuecuardìa e li crištianištaumu, toppu ca era Natali ca facìafriscu, ma nc’era nu fuecu, nc’era l’ampa ca tavantra casa (…) tutti ddaffori ca zzumpàunu, ballàunu, lugrammofunu ca sunava e lupiattu ti li pettulisobbra a lla banca ddaffori, ca ogni tantuunu scia e si pijavanapèttula bella cauta, cauta» (P.A., 87 anni)».

Il fuoco ardeva tutta la notte («ardìatotta la notti lufuecu ti Natali, tici ca s’era scarfariluBambinu», P.A. 87 anni) e, quando si consumava, le donne provvedevano ad asportarne un po’ di cenere: rito propiziatorio che rimanda al ‘sacrificio’ dello spirito arboreo, ma anche apotropaico nella misura in cui la cenere veniva usata per allontanare malattie, temporali o semplicemente cattivi raccolti. Essa veniva conservata in un pezzo di stoffa (pupieddu), custodito gelosamente per tutto l’anno sotto al cuscino o al materasso: «noni nui, li antenati, agnitunu si pijàvapuruna paletta ti fuecu, pirceni era binidetta [e si facìa] lupupieddu, luttaccaunu cussini (simula con le mani l’atto di avvolgere qualcosa in un pezzo di stoffa), era nabinidizioni ca tinìunu, sa la mintìunu — ticìanonnima — sotta a llicuscènuri (…) o sotta a llimatarazzi, ca eri binidetta, nabinidizioni» (B.O., 98 anni); «era comunacenniri santa (P.A. 87 anni)». Infine, i residui del falò rimasti per strada venivano spazzati e portati nei campi, dove venivano opportunamente sparsi dai contadini: «ca eri binidettaticìunu, la minàunu a lla vigna… no a nterra, no la facìunulassari cu no passàunu cu lutraìnu» (B.O., 98 anni).

Un altro momento rituale legato alla vigilia di Natale era il digiuno (rito purificatorio, praticato anche nelle società agrarie), che si protraeva fino al tramonto: «‘Soli punutu, ddasciùnufurnutu’ [letteralmente = sole tramontato, digiuno finito], quando le donne della famiglia si riunivano per preparare li noi cosi (cioè nove diverse pietanze) da consumare poi durante il cenone della sera: «A llupunìri ti lu soli poi, si riunìunu li famiglie e facìumu li noi cosi, per tradizioni sempri ti la Matonna prima cu našci Gesù bambinu» (M.A.).

Terminato il cenone, solitamente, si lasciava la tavola imbandita, nella convinzione che durante la notte le anime angelicate sarebbero scese sulla terra a cibarsi (M.A.).

Un altro momento rituale si compiva nel trattamento riservato agli animali la sera della vigilia di Natale. I padroni avevano cura che quella notte i loro animali avessero cibo in abbondanza, tale da rimanere sazi a lungo e, magari perché no!, ci andava anche un assaggio di pettole e purcidduzzi: «comu tradizioni ti la notti ti Natali, sirma li purtava [ai cavalli] li pettuli e li purcidduzzintra la mangiatora» (M.A.); per lo stesso motivo, nelle masserie, si portavano le pecore a pascolare nei campi seminati a grano o a foraggere: «li pecuri li minàumuntra li firràscini[campi coltivati a foraggere], ntra li crànuri, l’erumusiminatinticipati li crànuri, lutoppumanciariversu li dui (…) e li lassàumuddani to iori (…)perché era la vigilia ti Natali, l’animali se n’erunu sciri cu tanta ti panza» (P.A.). Questo è un altro elemento della tradizione ricondotto dai contadini alla volontà di condividere la gioia per la nascita di Gesù, estendendola agli animali di casa, pilastri che consentivano loro di lavorare e mangiare; in realtà, tale pratica sottendeva un’ideologia magica, secondo la quale gli animali, in quella notte, potevano parlare per grazia divina e … sparlare pure, se i padroni non avessero provveduto a loro in maniera adeguata. Non solo, bisognava altresì accuratamente evitare di sentirli parlare, ne andava della propria vita.

La versione a stampa dello studio sulle tradizioni natalizie effettuato sul campo a Manduria, con interviste a fonti orali, da Anna Stella Mancino è disponibile in biblioteca (foto dal web).

 











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