Il ‘Codex Gigas’ ( = Libro Gigante) è un manoscritto medievale. Detto così sembra un rispettabile testo antico, il cui titolo lascia intravvedere originalità e dimensioni fuori dagli standard, ma ciò che lascia presagire l’altro nome con cui è conosciuto, ‘Bibbia del Diavolo’, porta con sé un alone di mistero e profanità, debordante nel diabolico
Se è vero che dietro a ogni leggenda c’è una storia vera, quella che ha portato alla realizzazione del ‘Codex Gigas’è così sorprendente da far vacillare i confini tra leggenda e realtà storica.
Il ‘Codex Gigas’ ( = Libro Gigante) è un manoscritto medievale. Detto così sembra un rispettabile testo antico, il cui titolo lascia intravvedere originalità e dimensioni fuori dagli standard, ma ciò che lascia presagire l’altro nome con cui è conosciuto, ‘Bibbia del Diavolo’, porta con sé un alone di mistero e profanità, debordante nel diabolico.
Definire il ‘Codex Gigas’ un libro ‘pesante’ è davvero un eufemismo, visto il suo ragguardevole peso di 75 chilogrammi; probabilmente anche l’aggettivo ‘gigante’ non rende appieno le sue effettive dimensioni, che raggiungono 92 centimetri di lunghezza, 50 di larghezza e 22 di spessore. Completano il suo aspetto una copertina di legno ricoperta di pelle, con alcuni elementi in metallo.
Intricate le vicissitudini attraverso cui il manoscritto è giunto nel XXI secolo. La sua creazione si deve a un monaco benedettino del monastero di Podlažice (attuale repubblica ceca), Herman il Recluso. Gli studiosi, in base ad una serie di riscontri storici, assumono come data ‘post quem non’ per il suo completamento il 1229. Da allora, la sua ingombrante presenza è segnalata nel monastero cistercense di Sedlec, poi in quello benedettino di Brevnov; successivamente custodito in un monastero di Broumov (1477-1593), venne poi trasferito a Praga presso la biblioteca di Rodolfo II d’Asburgo. Attualmente (e fin dal 1649) il ‘Codex Gigas’si trova nella Biblioteca Reale di Svezia a Stoccolma (qui il manoscritto è conservato in una teca adeguatamente predisposta, mentre le singole pagine possono essere virtualmente sfogliate su un maxi-schermo).
Il manoscritto, interamente redatto in latino, contiene, tra l’altro, una trascrizione completa della Bibbia (tratta quasi interamente dalla Vulgata), la ‘Etymologiae’ di Isidoro di Siviglia (considerata la prima enciclopedia della cultura occidentale), le ‘Antichità giudaiche’ e la ‘Guerra giudaica’ di Giuseppe Flavio, una storia della Boemia di Cosma Praghese, vari trattati (di storia, di etimologia, di fisiologia), formule magiche e svariati altri documenti.
Attualmente il volume risulta composto da 310 pagine, mancandone alcune, verosimilmente andate perdute nei fortunosi trasferimenti di cui è stato oggetto. Oltre all’accuratezza e alla perizia nella calligrafia, sorprendentemente uniforme dall’inizio alla fine, il manoscritto presenta al suo interno varie miniature; anche i capilettera, spesso di dimensioni pari alla pagina, sono miniati in maniera accurata e precisa.
Un volume certamente fuori dagli schemi, ma perché inquietanti interrogativi e malcelati misteri accompagnano da secoli il Codex? In primo luogo, l’uniformità della calligrafia, che farebbe supporre un tempo di composizione relativamente breve da parte di un unico scrivano, cosa ragionevolmente improbabile dato che il tempo stimato dagli studiosi per il lavoro viaggia nell’ordine di un ventennio e oltre; inoltre, la presenza di una sinistra ‘gigantografia’ di Lucifero, preceduta da un gruppo di fogli di pergamena inspiegabilmente anneriti.
A dare affascinanti risposte interviene la leggenda. Si narra che il monaco Herman fosse stato condannato a essere murato vivo per espiare la colpa di aver infranto i voti monastici (in passato trascrivere testi sacri era una forma di redenzione). Per salvarsi, egli chiese clemenza ai superiori assicurando loro di riuscire a scrivere in una sola notte un libro speciale che rendesse onore e gloria al monastero e trasmettesse il sapere umano. Per rispettare l’impegno, Herman fu costretto a barattare la propria anima con l’aiuto che Lucifero gli propose per completare il manoscritto nel tempo previsto. A suffragare l’ipotesi interviene il Folio 290 recto, in cui la raffigurazione del diavolo alta 50 cm è giustapposta alla rappresentazione del regno dei cieli (Folio 289 verso) creando così una contrapposizione tra il Bene e il Male. L’interrogativo di fondo è se sia stato il monaco a realizzare il ritratto (magari su richiesta dell’aiutante, in segno di gratitudine) oppure se si tratti di un autoritratto.
Il diavolo appare frontale all’osservatore, leggermente rannicchiato e con le braccia sollevate. Indossa una pelle di ermellino (simbolo di regalità). Le mani e i piedi hanno quattro dita terminanti con lunghi artigli. La testa, di colore verde scuro (in ricordo del peccato mortale dell’invidia), presenta delle corna rosso sangue, capelli ricci, occhi piccoli abitati da grandi pupille rosse. Dalla bocca, disseminata di piccoli denti, esce una lingua biforcuta.
Compiuta l’opera, pare che il monaco sia stato preso dal rimorso, invocando e ottenendo l’aiuto della Vergine Maria, e comunque morendo poco prima di poter perfezionare il patto diabolico. Si narra di avvenimenti inquietanti e forieri di sventura riferiti al manoscritto messi in atto da Lucifero per rivendicare le proprie pretese non soddisfatte ed essere in qualche modo ripagato.
Ad alleggerire un po’ il carico e a riportare il discorso nell’alveo della razionalità, sopraggiungono studi successivi, secondo i quali il termine ‘Inclusus’ è da intendere non nel senso di ‘essere murato vivo’, ma di ‘recluso’: Herman si sarebbe ritirato volontariamente nella sua cella, rinunciando al mondo esterno e alle sue tentazioni, consegnando all’umanità la conoscenza oltre ad una rappresentazione dell’eterna lotta fra il Bene e il Male (iconicamente fissata nelle pagine 289 e 290) intesa come opportunità di scelta, attraverso la quale il monaco sarebbe passato per redimersi. In passato, era frequente che un monaco vivesse in isolamento in un monastero per motivi religiosi o a causa di una penitenza. Dopo un periodo di prova nel monastero, il vescovo poteva rinchiudere il monaco in una cella; questa talvolta veniva addirittura murata e, a simboleggiare un funerale, veniva altresì celebrata una messa funebre.
Storie suggestive, accadimenti per noi incomprensibili, che meritano tutto lo stupore e la curiosità di un’epoca tanto lontana dal loro verificarsi. Tuttavia, nella razionalità globalizzata serpeggia, legittimo, un ultimo interrogativo: perché, nonostante i riferimenti diabolici contenuti nel volume, esso non è mai stato bandito dall’Inquisizione?
Oggi è possibile sfogliare in versione digitale il Codex Gigas nella Biblioteca Nazionale della Svezia.
Per eventuali difficoltà di accesso al link ci si può rivolgere in biblioteca per una consultazione guidata sui computer ivi presenti.
Sitografia:
https://fontistoriche.org/codex-gigas/
https://www.miracubi.it/percorsi-tematici/codex-gigas-la-bibbia-del-diavolo/
https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/2017/09/il-codex-gigas-la-bibbia-del-diavolo.html?m=1
https://ichi.pro/it/la-verita-su-la-bibbia-del-diavolo-91303526135820
http://portaledellamagia.altervista.org/codexgigas/