lunedì 25 novembre 2024


02/02/2022 14:57:00 - Manduria - Cultura

‘Casa di Foglie’ ha un intreccio narrativo perfettamente in linea con le bizzarrie tipografiche delle pagine che lo enunciano

E se un libro fosse piacevole, intrigante, appassionante e anche ‘ergodico’? Non soltanto un’insolita modalità di lettura, ma un vero e proprio genere di letteratura quella ergodica, che prevede il coinvolgimento attivo del lettore, il quale, per comprendere fino in fondo l’oggetto della propria lettura,viene accompagnato da bizzarre contorsioni grafiche e semantiche in direzioni differenti da quelle attese.

Una anomala impaginazione grafica, infatti, fa da eclettico contenitore a ‘Casa di Foglie’ di Mark Z. Danielewski, una storia che, sviluppandosi in più di 700 pagine, dà modo di ‘sperimentare’visivamente differenti →layout di pagina←, fonts e colori diversi, note tante volte note note, pagine in cui sembra che le parole siano volate via, o che necessitano di uno specchio/oıɥɔɔǝds per essere lette, parole che sfidano la pazienza del lettore, barrate e poco leggibili, ripetute ripetute oppure da inseguire all’interno della pagina. Significanti che si prendono gioco dei significati portandoli in giro per la pagina, invitando il lettore a porre la massima attenzione e a partecipare attivamente alla risoluzione del mistero oggetto della trama.

E ogni volta è emozione!

‘Casa di Foglie’ ha un intreccio narrativo perfettamente in linea con le bizzarrie tipografiche delle pagine che lo enunciano. Premettendo che nulla nel libro è come sembra, ‘Casa di foglie’ è lo scritto che il vecchio Zampanò ha costruito attorno al film ‘La Versione di Navidson’: commenti alla narrazione del film e una sintesi dell’intero apparato critico costruitovi intorno, uso delle interviste pubblicate con i protagonisti sopravvissuti. In realtà è Johnny Truant che, avendo trovato la scatola di cartone contenente tutti gli appunti del vecchio Zampanò, decide di visionarli per pubblicarli in un libro. Ma Truantsi scontra con una moltitudine confusa di note, innumerevoli digressioni su specifici argomenti trattati nella storia: egli stesso, scrivendo note alle note di Zampanò, crea delle meta-narrazioni, si sofferma su episodi personali davvero poco attinenti alla storia che ha deciso di raccontare.

‘La versione di Navidson’ è un docu-film (mail cieco Zampanò come avrà fatto a guardarlo?) realizzato da Will Navidson, un fotoreporter che, trasferendosi in una casa di campagna con la propria famiglia ad Ash Three Lane, in Virginia, decide di installare delle telecamere in ogni stanza della casa a testimoniare piacevoli scene di vita familiare.“Ho voglia di girare un filmato su come io e Karen abbiamo comprato una casa in campagna e ci siamo andati a vivere con i bambini. Così, per vedere che ne viene fuori. Niente sparatorie, né carestie, né invasioni di insetti. Solo un bel po’ di dentifricio, giardinaggio e faccende quotidiane.  (…) Un luogo dove si possa bere limonata in veranda ammirando il tramonto”

E per qualche tempo le cose vanno bene così. Poi un giorno Navy e la moglie Karen trovano una porta nella parete del loro salotto che conduce ad un corridoio non solo mai visto prima, ma che non dovrebbe proprio esistere in quello spazio, come sembra suggerire la discrepanza tra le dimensioni interne e quelle esterne della casa:gli iniziali 7 mm sono nulla se riferiti agli enormi spazi di tenebra scoperti successivamente «spalancandosi come uno sbadiglio sull’oscurità assoluta» (p. 69).

Tutto è compiuto, «uno stupro delle leggi della fisica» (p. 61): pareti che si aprono all’improvviso e che dilatano spropositatamente le dimensioni della casa, scale a chiocciola che si aprono dove prima non c’erano e altre stranezze topografiche (come l’impossibilità di stabilire il Nord: «Lì dentro il nord sembra non avere alcuna autorità», p. 98) si riflettono sullo spazio grafico della pagina, provocando uno straniamento del lettore che, a un certo punto, non sa più cosa aspettarsi dalla storia, né come fare per continuare a leggerla.

Si incontrano pagine divise in colonne con dei riquadri al centro, entro cui sono inserite note o una storia parallela alla principale; righe scritte sottosopra, ruotate di 90° (leggibili solo capovolgendo il libro), spezzettate sulla pagina,disposte all’estremità dei margini. Pagine alienanti, agorafobiche quando contengono una sola parola, claustrofobiche quando le parole sono disposte in un fittissimo groviglio di parole: il disordine dello spazio-pagina diviene lo specchio del disordine descritto per lo spazio-casa, una casa di foglie appunto, priva di fondamenta certe.

E poii colori: il blu profondo della parola casa che si stacca dal nero abissale delle altre parole, un colore vivo, al pari della casa. Il colore rosso di alcune frasi, che sembrano incise con il bisturi sulla pagina, a segnalare parole sbagliate? o pericolose?

Come non vederci in tutto questo un’esca per farci riflettere e approdare al disordine dello spazio-tempo vita, una vita senza solide certezze, i cui confini fluttuano in un continuo divenire, risultano labili all’infinito e plasmabili da compromessi a volte opachi, che spingono l’ordine in là, sempre un passo più in là, ai confini del sogno: «Non finiva mai. Ci abbiamo buttato dei bengala ma non li abbiamo mai sentiti toccare il fondo. È assurdo, lì dentro è un deserto, fa freddissimo ed è tutto talmente immobile che potresti sentir cadere uno spillo, e invece i bengala sono stati inghiottiti dal buio, così (…)  è tipo come in un sogno» (p. 92).

‘Casa di foglie’ è un romanzo inquietante, ossessivo, caotico e a tratti incomprensibile: ma quale vita umana non lo è. Metafora dell’umana esistenza, dunque? Ogni singola pagina dell’opera porta il lettore a rincorrere il significato delle parole (con lo sguardo, con il pensiero, con l’immaginazione), alla ricerca di risposte che non arrivano, di un ordine che si ostina a rimanere caos: esattamente come accade nella dimensione umana dell’esistenza dove, quotidianamente, ognuno annaspa nel caos dei propri pensieri.

Possiamo dire con Johnny Truant che quando finirete di leggere questo libro «ovunque vi troviate, che sia un ristorante affollato o una strada deserta o al sicuro nella vostra casa, vedrete smantellata ogni certezza su cui avete sempre fatto affidamento. Vi farete da parte per lasciare il posto a un’enorme complessità che inizierà a distruggere, un pezzo alla volta, tutte le vostre elaborate negazioni, consce o inconsce che siano. E allora (…) lotterete con tutte le vostre forze per non dover affrontare ciò che più vi spaventa, che è, sarà ed è sempre stata la creatura che siete davvero, la creatura che tutti noi siamo, sepolta nell’oscurità anonima di un nome. Allora inizieranno gli incubi».

‘Casa di foglie’ di Mark Z. Danieleswki è disponibile in biblioteca.











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