Nel 1710 fondò il monastero delle Servite e l’annessa chiesa dello Spirito Santo, inaugurati dal vescovo Labanchi nel 1726. A tale scopo, Maria Giulia utilizzò la sua dote insieme alla corposa eredità lasciatele dallo zio materno D. Angelo Felice Giustiniani
Nella saletta Michele Greco della Gattiana, il ritratto della nobildonna Maria Giulia Troiani, collocato in alto, accanto a una delle due finestre presenti nella stanza, ci invita,sommessamente, a raccontare qualcosa di sé.
La vicenda umana di Maria Giulia esige una comprensione che travalica le cifre del suo tempo per attingere a quei valori universali di dignità, di umanità e di profonda fede che, più di ogni altra cosa, permisero a una nobildonna di essere una donna ‘nobile’ nell’animo e nelle azioni.
Nata in Casalnuovo il 23 gennaio 1669 da Francesco Antonio e Caterina Giustiniano, divenne moglie, a diciannove anni, dell’allora castellano di Casalvuovo, Tommaso Corcioli dei marchesi di Trepuzzi, nonché madre di una bambina, Camilla Maria Antonia, morta a pochi giorni dalla nascita. Rimasta vedova a quarantacinque anni, riuscì a dare senso ef orma alla propria sofferenza avviando, con fervore e dedizione,un progetto di monachesimo femminile alternativo a quello esistente in Calsanuovo. Il risultato del suo impegno non fu da poco: nel 1710 fondò il monastero delle Servite e l’annessa chiesa dello Spirito Santo, inaugurati dal vescovo Labanchi nel 1726.A tale scopo, Maria Giulia utilizzò la sua dote insieme alla corposa eredità lasciatele dallo zio materno D. Angelo Felice Giustiniani.
Definita dal Tarentini «donna di gran senno, cuor generoso di gravità e modestia, di destrezza e prudenza negli affari, sincerità e fermezza nelle parole, ed altre belle virtù di cui a gran dovizia dotolla Iddio», Maria Giulia Troiani era per le novizie Mamma Giulia, alla quale ricorrevano talvolta perché intercedesse presso la superiora, quando questa le puniva, ad esempio.
Una figura attualissima quella di Maria Giulia, le cui doti di ‘problem solving’, le ottime capacità organizzative e di management, unite a una innata autorevolezza ne fecero una donna in grado di affrontare e risolvere qualunque problema le si presentò nella gestione del monastero, sia di natura economica che strettamente religiosa.
Maria Giulia donna imprenditrice del suo tempo. In un momento storico dominato dalla grande proprietà fondiaria, il cui elemento catalizzatore era, nella maggior parte dei casi, la masseria, Giulia, imprenditrice accorta e lungimirante, scelse proprio tale forma di investimento per la costituzione della dote da assegnare alla comunità religiosa da lei fondata, investendo altresì cospicue somme di denaro per il miglioramento dei fabbricati insistenti nelle masserie, al fine di renderle più funzionali. Le masserie dotali erano ‘Paduli’, ‘Torre’ e ‘Cicella’, le quali costituivano la parte più cospicua dei beni patrimoniali del monastero, valutati complessivamente 22.453 ducati. Inoltre, la scelta del sistema a conduzione diretta anziché quello del fitto, per dette proprietà, si rivelò vincente: la loro rendita annua complessiva era di 1477 ducati e 50 grana di contro ai 1090 ducati che avrebbero reso in affitto. L’oculata gestione patrimoniale dei beni del monastero ebbe benefiche ricadute anche sullo sviluppo dell’economia locale, con l’introduzione dell’allevamento dei bovini (fino ad allora trascurati a vantaggio di ovini e caprini) e l’incremento della coltivazione della vite(all’epoca ancora poco praticata, a causa di alcune malattie che colpivano i vitigni).
Altrettanto sviluppate e apprezzate furono le sue qualità umane e la sua profonda religiosità. Amata e stimata da tutti, a donna Giulia fu concesso di trascorrere gli ultimi quindici anni della propria vita, come laica, nel convento da lei fondato. Commovente l’affetto che le religiose le riservarono, adoperandosi, ad esempio, per applicare delle rotelle ad una poltrona per facilitarne gli spostamenti; infine, ad ‘ospitarla’ nel monastero per l’eternità, dandole degna e onorevole sepoltura al suo interno (come era costume per i religiosi dell’epoca), quando Maria Giulia morì nel 1741.
Donna immensa Maria Giulia Trojani «a cui Manduria si vanta d’aver dato i natali e ne ha ragione», scrive il Tarentini compiaciuto e allo stesso tempo amareggiato, perché nessun concittadinosi è fatto mai carico di tramandarne la memoria alle generazioni successive intitolandole una via o dedicandole una lapide.
Bibliografia sull’argomento disponibile in biblioteca: Antonio Pasanisi, ‘Maria Giulia Troiani e il monastero delle Servite di Manduria’; Antonio Pasanisi, ‘Civiltà del Settecento a Manduria’; Pietro Brunetti, ‘Manduria tra storia e leggenda’; Leonardo Tarentini ‘Cenni storici di Manduria’; Leonardo Tarentini, ‘Manduria sacra’; Giambattista Arnò, ‘Manduria e manduriani’.