domenica 08 settembre 2024


28/03/2022 10:17:04 - Manduria - Cultura

Le sue origini si legano al ritrovamento di un’immagine sacra che, secondo la tradizione, sarebbe stata casualmente scoperta, all’interno di un sotterraneo, da un “tagliamonti” impegnato in una cava limitrofa. La chiesetta appare, oggi, in buono stato di conservazione, ben curata e tutelata

Tale chiesetta si colloca nel contado a sud di Manduria, a tre chilometri, circa, dal centro abitato, leggermente internata rispetto all’arteria diretta a Maruggio.

Le sue origini si legano al ritrovamento di un’immagine sacra che, secondo la tradizione, sarebbe stata casualmente scoperta, all’interno di un sotterraneo, da un “tagliamonti” impegnato in una cava limitrofa.  Siamo nell’anno 1720, ed il proprietario del posto, Barone Claudio Primiceri, “[…] tanto pio, se ne curò subito e prima cosa che seppe e poté fare fu di cavar fuori con ogni cura l’affresco e ripararlo in una grande nicchia che si osserva ancora in fondo all’attuale cappella che a suo tempo fece edificare. Quell’Immagine tanto sbiadita dagli anni fu quasi assolutamente cancellata dai baci e dallo strofinio di panni per trarne il sudore che i devoti credevano venisse fuori: e si tentò a richiamare le linee principali ritoccandola, ed in quell’occasione si aggiunse ai lati S. Domenico e S. Antonio. Fu ancora rovinata dal tempo e dallo strofinio, ma niuno più si curò di rinnovarlo ed ora altro non si vede di quell’affresco che i contorni sbiaditi: però a norma di quel che si poté copiare si costruì la statua che ancora esiste in quella cappella”. Sono queste le notizie che tramanda il sac. L. Tarentini, nel suo volume dedicato a Manduria Sacra, edito nel 1899. 

L’autore evidenzia il forte legame popolare, all’epoca, con tale edificio, segnalando le “regolari funzioni e la bella festa che nel dì 8 Settembre di ogni anno aveva luogo”. Dal suo racconto apprendiamo che tale “chiesolina” veniva visitata spesso dai devoti e nei casi disperati si prometteva di onorare la Vergine che fu chiamata “Concedi Grazie” con la “devota pratica dei quindici sabati” in ognuno dei quali vi si accedeva a piedi, recitando il S. Rosario. Dopo un periodo di relativa “trascuratezza” la cappella (danneggiata dall’alluvione del 1882) fu recuperata,unitamente alle funzioni sacre, nell’anno 1897, ad opera della Confraternita degli Operai Cattolici (vedi L. TARENTINI, Manduria Sacra, ovverostoria di tutte le chiese e cappelle distrutte ed esistenti dei monasteri e congregazioni laicali dalla loro fondazione fino al presente, Manduria -ristampa anastatica dell’edizione del 1899, A. Marzo Editore, 1981, pp. 70-73, 153).

Ho visitato il luogo, alla ricerca di riscontri oggettivi del racconto tradizionale.

La chiesetta appare, oggi, in buono stato di conservazione, ben curata e tutelata, come segnalato, tra l’altro, in recenti pubblicazioni (vedi B. PERRETTI, Testimonianze cristiane nel territorio rurale di Manduria. Architettura spontanea popolare, Manduria, Barbieri, 2000, pp. 110-114; G. BECCI, Via Lunga. La periferia, Manduria 2015, pp. 35-50).

All’interno si nota, a sinistra dell’altare, una grande teca di vetro contenente la statua della Vergine col Bambino; a destra si apre una profonda nicchia (già “osservata” dal Tarentini), con, sulla parete di fondo, un affresco molto deteriorato e tracce di altre pitture poco comprensibili sulle pareti laterali. Tale nicchia (o, meglio, piccolo vano-cappella voltato a botte), sporge esternamente dal muro di fondo dell’edificio sacro, proponendosi, su questo margine settentrionale della cava, come un ambiente originariamente a sé stante, inglobato, poi, dall’attuale chiesetta; non ho elementi per confutare la data del 1720, attribuita, dalla tradizione, a questa originaria cappella; difficile verificare, però, la veridicità dei dati leggendari concernenti il ritrovamento miracoloso dell’affresco. 

Ci si accosta con grande rispetto a tale dipinto. L’immagine della Vergine con in grembo il Bambino è resa in una composizione iconografica toccante ed umanissima, riscontrabile, fin dal Medioevo, in tante chiesette ipogee o sub divo del nostro territorio; stabilire, però, senza accurate analisi scientifiche, una cronologia precisa del dipinto (che consentirebbe, tra l’altro, una corretta valutazione dei dati tradizionali) appare del tutto aleatorio.

La stessa circostanza del rinvenimento di tale affresco (all’interno di un sotterraneo), collega questo luogo con altre chiese del Salento (La Madonna di Pasano – Sava; la chiesetta della SS. Trinità – Torricella; S. Lucia ad Erchie, ecc.) alle cui origini vi sarebbero ritrovamenti di immagini sacre scoperte all’interno di cripte basiliane o in anfratti e luoghi nascosti, lì custodite per preservarle dalla furia iconoclasta dell’Alto Medioevo (VIII-X sec. d.C.); tradizione, questa, ampiamente diffusa e radicata (espressamente riferita, a volte, alla nostra cappella),difficilmente valutabile, però, nelle sue effettive componenti storiche o leggendarie (vedi L. TARENTINI, Cenni storici di Manduria antica – Casalnuovo - Manduria restituita, ristampa anastatica dell’edizione di Cosenza del 1931, Manduria, A. Marzo ed., 1984, p. 96).

Sarà stata, in origine, la nostra chiesetta, una semplice cappella affrescata (forse funzionale alla cava) “nobilitata”, poi, dalla “leggenda” del ritrovamento miracoloso; sarà stata effettivamente la “nicchia” della tradizione sorta a protezione dell’affresco (nicchia ampliatasi poi, per fama e diffusa frequentazione, nell’attuale edificio sacro),resta comunque, a fronte di tali problematiche di tipo strutturale, cronologico ed identificativo, forse irrisolvibili, il forte e duraturo legame devozionale verso tale chiesa. Legame ancora oggi documentato dalla cura, esterna ed interna, riservata all’edificio, dalla frequente visita di devoti e, in particolare, da un piccolo quaderno presente, in tempi non lontani, sull’altare, contente confessioni, suppliche e toccanti preghiere di fedeli; consuetudine, questa, che rimanda alla chiesetta litoranea di Madonnina dell’Alto Mare (Maruggio), ove quadernetti simili sono stati da me osservati, in più occasioni, all’interno del tempietto, ricchi anch’essi di profonda e trepidante umanità.

Tornando alla chiesetta “Concedi Grazie” ed al suo spazio esterno, qui si osservano, in parte occupati da ulivi, i tagli di cava (profondi oltre un metro) segnalati dal racconto tradizionale; non si scorge, certo, la cavità  (o sotterraneo) del ritrovamento dell’affresco; cavità messa in relazione, spesso, con la lunga galleria (per ora solo narrata e non documentata) che si racconta partisse dalla Manduria messapica, per sfociare, poi, in contrada Pozzi, a non eccessiva distanza dalla nostra chiesetta.

Ed il mondo messapico richiamato da tale galleria (descritta finanche carreggiabile), appare ben documentato, in zona, nella non distante contrada Maserinò, a 2 chilometri, circa, a SE della nostra cappella; poco oltre si erge Monte dei Castelli (proteso verso la Manduria-San Pietro in Bevagna) sede di una grande città messapica, con resti di mura, abitato e necropoli (vedi P. TARENTINI-R. SCIONTI, Manduria.Gli impianti rupestri di Maserinò e Castelli tra storia, tradizione e viabilità, Manduria, Filo, 2005).

Ma, a ben riflettere, anche il territorio più a ridosso della nostra chiesetta “Concedi Grazie” conserva testimonianze antiche.

A NE si erge la masseria fortificata denominata Torre Bianca Grande, con struttura a torre e grande caditoia a protezione da assalti di pirati e briganti piuttosto frequenti, lungo i nostri tratti costieri, dal Medioevo in poi; e nei dintorni della masseria, resti ceramici di superficie conducono ancora più indietro nel tempo, evidenziando un remotissimo utilizzo dell’area, forse in epoca preistorica, certamente in età ellenistica e romana (IV-III sec. a.C. – I sec. d.C., circa).

 Interessanti dati provengono anche dal territorio posto a NO della nostra cappella, poco oltre la Manduria-Maruggio.

Qui si colloca contrada Colaio, ove notizie locali tramandano l’esistenza di una cripta con affreschi. Notizia invero “intrigante”, riferitami con una certa insistenza dai vecchi contadini del posto, in un’area archeologica interessata da presenze di epoca greco-romana, inquadrabili tra il IV-III sec. a.C. ed il III-IV sec. d.C. (cfr. R. SCIONTI-P. TARENTINI, Manduria. Emergenze archeologiche tra Preistoria e Medioevo, in AA. VV., Emergenze e problemi archeologici. Manduria-Taranto-Heraclea, Manduria, Regione Puglia-C.R.S.E.C. TA/55, 1990, pp.150-151).

Tale area è altresì raggiunta dalla strada vicinale S. Moro, proveniente dalla Manduria-Uggiano, nel cui toponimo si identifica un casale medievale tradito dalle fonti (P. BRUNETTI, Manduria tra storia e leggenda - dalle origini ai tempi nostri, Manduria, Barbieri Selvaggi Editori, 2007, pp. 160-161).

In zona vi era anche una masseria denominata Torre Bianca Piccola, poi scomparsa (ma segnalata nelle piante topografiche), a conferma di sviluppi insediativi tra epoca greco-romana (impianti rurali), medievale (probabile cripta e casale) e moderna (masserie), agevolmente riscontrabili in altri luoghi storici del nostro contado.

 Interessante anche la viabilità che lambisce la nostra chiesetta, proveniente da Uggiano Montefusco e diretta a raggiungere la Manduria - S. Pietro in Bevagna. Viabilità oggi asfaltata, a volte affiancata, però, da solchi carrai profondamente tracciati nella roccia affiorante, a conferma delle origini antiche di tali percorsi,destinati anche al collegamento tra le masserie o i siti antichi dell’area (cfr. G. BECCI, Origini e sviluppo di Uggiano Montefusco, vol. II, Manduria 1996, pp. 66-70; P. TARENTINI-R. SCIONTI, vol. cit., pp. 90: nota 45; 95- 97).

Un bel viaggio nel tempo e nella storia, quindi, partendo da quella che, a prima vista, appare una semplice chiesetta rurale, fortunatamente conservatasi nel corso del tempo, in un contesto territoriale molto antico, da tutelare e valorizzare.   

 

Paride Tarentini











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