“Le sette parole di Cristo” di Riccardo Muti: il dialogo con Massimo Cacciari
Di fronte alla ‘Crocifissione’ del Masaccio, al Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli, prende vita un insolito e brillante dialogo fra due personaggi d’eccezione: il maestro Riccardo Muti e il filosofo Massimo Cacciari. Il tema della conversazione? Fondamentalmente il rapporto fra umano e divino, indagato nel dipinto del Masaccio e nella composizione ‘Le sette ultime parole del nostro Redentore in croce‘ di Joseph Haydn, e ‘sintetizzato’ dai due autori «in un’unica immagine, dove la parola di Cristo si fa suono e senso universale che trascende l’immagine stessa, diventando pura astrazione: il suono vola oltre l’icona» (p. 10).
La ‘Crocifissione’ di Masaccio «ritrae Cristo nel momento in cui sta lasciando questo mondo (…) Che suono può avere quell’attimo? Come si può raffigurare il grido dell’anima, lo spalancarsi dell’abisso di solitudine e di abbandono in cui la Maddalena, in cui noi stiamo precipitando? Il pittore sembra intuire che nessuna immagine può direttamente rappresentarlo. Vuole che siamo noi a sentirlo, a far risuonare quel grido dentro di noi» (p. 9). Già, perché l’urlo di dolore che risuona dal quadro non è quello del Cristo, ma quello della Maddalena («la vera protagonista di quell’immagine»), è quello dell’umanità che si trova ai piedi della croce, in basso, insieme a lei. Soltanto stando in quella posizione è possibile comprendere il motivo per cui Gesù sulla croce ci appare in una postura anomala, senza collo: visto dal basso il petto lo nasconde.
La partitura di Haydn comprende sette sonate composte probabilmente nel 1786 per la cerimonia del Venerdì Santo celebrata nella cattedrale di Cadice. Le sette frasi pronunciate da Cristo morente secondo la tradizione dei vangeli: la traduzione in musica dello stesso dolore e amore che trasuda dal dipinto.
Ecco dunque sopraggiungere la musica, le cui tonalità configurano una ‘tavolozza sonora’ mirabilmente utilizzata, capace di dare voce al grido muto. È quello che gli autori definiscono ‘suono dell’immagine’. L’immagine non è soltanto quella dipinta. L’espressione ‘pensare per immagini’ usata da Cacciari produce un cerchio nel quale immagini e suoni generano pensieri a cui sembra al tempo stesso di ‘suonare’ e ‘dipingere’.
E il suono è anche quello delle parole, che nel loro fluire estrinsecano sempre un ritmo, un tempo, come se suonassero. Del resto l’uomo ha acquisito la facoltà di parlare dopo aver esperito il grido e il suono; progressivamente il suono si è fatto ritmo, canto, parola. Sarà in questa ‘potenza dell’origine’ che la musica affonda l’universalità del suo linguaggio, incomprensibilmente compreso anche da chi non ne conosce le regole.
Certamente esistono persone che sentono la musica e non la comprendono e altre invece squisitamente ‘musicali’ che percepiscono la musica «come combinazione ‘matematicamente magica’ di inafferrabili suoni, che mostra se stessa, al servizio di nient’altro che del proprio stesso Dio» (p. 22).
E se talvolta può accadere di rimanere senza parole in una determinata esperienza emotiva, ciò non sarà mai con la musica. Se la parola non arriva al punto è un limite della parola, non dell’anima: «Poiché la tua anima non è soltanto parlante nei limiti del linguaggio che ora parliamo. Dove non vedo posso ascoltare, dove non ascolto vedere, dove non riesco a dire dipingere, ciò che non dipingo posso cantarlo» (p. 31).
È per questo che il musicista di fronte alla Crocifissione di Masaccio, ne vede la musica facendone un tutt’uno con l’icona: egli ha uno sguardo libero davanti alla pittura, come davanti a una poesia, perché il suo animo, avvezzo al linguaggio della propria arte, pensa più alla loro musica che al significato.
Il dialogo va avanti così fino a giungere all’ ‘Exemplum’, ‘Le sette ultime parole del nostro Redentore in croce’ di Haydn. L’opera consta di un’Introduzione, di sette sonate, una per ciascuna parola di Cristo, e di una conclusione: il Terremoto. Così il maestro Muti: «Vorrei parlarne perché sono il modo con cui io ‘sento’ la musica della crocifissione. E nella ‘Crocifissione’ di Masaccio ho visto in pittura ciò che Haydn mette in musica (…) Il chiaroscuro delle note trafigge la coscienza e la pone di fronte al mistero della croce dove l’umano e il divino cadono e risorgono insieme» (p. 60).
È una cromia musicale quella che unisce l’Introduzione al Terremoto della conclusione.
Nell’Introduzione, toccante e suggestiva, una serie di battute continuamente interrotte anticipa un dolore indicibile, uno strazio senza fine. Quelle note evocano un singhiozzare, un lamento che implode, «l’equivalente sonoro di un “buco nero”, talmente potente nella sua forza attrattiva da non lasciare uscire da sé la luce che ha ‘catturato’» (p. 65). Quelle stesse note lasciano intravvedere, nella ‘Crocifissione’ del Masaccio, le dita della Maddalena tese verso Cristo; il quadro non può riprodurre alcun grido, ma chi lo guarda può ‘sentirlo’ con l’orecchio dell’anima.
La conclusione è nel Terremoto che scuote la terra. «Dopo il grido e l’ultima invocazione di Cristo rimane un suono fermo, una lunga nota di attesa… e poi il terremoto. Dio si rivela, la sua risposta palpita di un ritmo drammatico: Haydn (…) introduce strumenti dal suono “violento” a rappresentare il terremoto di brevissima durata, e che darà l’idea che tutto crolla… Non c’è più voce, non c’è più canto, non c’è più nulla: c’è puro suono». (p. 118) Nel Terremoto «tutto brucia in pochi secondi: risuonano improvvisamente trombe e timpani. È un sussulto di archi e legni, la terra si scuote, si sconquassa per ciò che è stato fatto a Cristo. Dopo le sette lunghe sonate il Terremoto è breve, di pochissimi minuti, perché deve lasciarci senza parole e senza fiato». (p. 122) Ritorna il dipinto di Masaccio: in cerca di un punto dove posare lo sguardo! Sicuramente sulla Maddalena e, al polo opposto, su Cristo.
Nel mezzo, le sette sonate, perfettamente aderenti, nella tonalità e in altri elementi, alle sette frasi pronunciate da Cristo in croce, che sembrano evocare in musica la stessa aderenza di colori che troviamo, ad esempio, nell’abbagliante sfondo dorato del dipinto di Masaccio; nell’abito viola della Madonna, nel colore dell’abito di Giovanni. Tutti colori, a loro volta, che possono essere reciprocamente espresse in tonalità. I cambiamenti maggiore-minore della prima sonata divengono chiaroscuri nel dipinto; le dissonanze struggenti della terza sonata puro ascolto dell’esclamazione rivolta alla madre; i ‘pizzicati’, gocce d’acqua e di sangue della quinta sonata diventano il grido inumano della Maddalena che non vediamo, perché di spalle.
‘Le sette parole di Cristo’ di Riccardo Muti e Massimo Cacciari è disponibile in biblioteca.