lunedì 25 novembre 2024


14/04/2022 08:21:03 - Manduria - Cultura

Del suggestivo rito è rimasta traccia nella memoria del popolo mandurino, sebbene con alcune varianti

Il rito dell’“Officium Tenebrarum” o “Tenebrae” non è più in uso nel breviario moderno: esso appartiene ai riti soppressi in seguito alla Riforma Liturgica seguita al Concilio Vaticano II, che ha voluto dare maggiore risalto al messaggio cristiano evitando la spettacolarizzazione della liturgia.

Nella tradizione popolare, l’Ufficio delle Tenebre veniva vissuto come una suggestiva rievocazione del tradimento di Gesù da parte di Giuda Iscariota, nonché un momento di riflessione su quanto avvenuto nei drammatici giorni della Passione e della Croce.

L'Ufficio delle Tenebre consisteva nel solenne Mattutino (che si recitava subito dopo la mezzanotte in ricordo dell’ora in cui nacque Gesù. Ulteriori precisazioni sono contenute nell’articolo integrale) recitato  nei giorni del Triduo Pasquale (Giovedì, Venerdì e Sabato Santo).

A partire dal XIV secolo il Mattutino del Triduo Pasquale venne anticipato alla sera precedente, verosimilmente per rendere più agevole la partecipazione dei fedeli. In particolare, in ogni giorno di “Tenebrae” (a Manduria è attestato solamente il Mercoledì) venivano accese, in un candeliere di forma triangolare (con evidente allusione alla Santissima Trinità) chiamato saettia, 13 candele (il numero poteva variare fino a 15).

La funzione si svolgeva alternando la lettura di tre salmi alla volta a tre letture salmodiate, prima dalle Lamentazioni di Geremia, poi dalla lettura dei Trattati di Sant’Agostino, infine dalle epistole di S. Paolo ai Corinzi. Il rito proseguiva poi con le laudi, fra cui il ‘Miserere’ e il ‘Benedictus’ che chiudeva l’Ufficio; tutta la funzione veniva recitata e cantata esclusivamente in latino, ed era modulata sul suono di un particolare organo, l’ ‘harmonium’.

Dopo ogni cantico o salmo, le candele venivano progressivamente spente una alla volta, lasciando accesa solamente quella posta alla sommità del candeliere (emblema di Cristo). Ma mano che si procedeva nell’Ufficio, la chiesa veniva oscurata dallo spegnimento delle candele; rimaneva la sola luce della candela ancora accesa che veniva posta accanto all’altare (‘in cornu epistolae’ = sulla destra guardando l’altare) per tutto il tempo in cui si cantava il ‘Benedictus’.

Con la recita del ‘Miserere’, la candela veniva celata dietro l’altare, lasciando la chiesa nella completa oscurità finché, recitato nuovamente il ‘Miserere’, si avvertiva un gran fragore (‘strepitus’) a rievocare il terremoto con cui la natura espresse il suo sdegno per quanto accaduto sul Golgota: i fedeli battevano il messale sul banco oppure si utilizzavano raganelle, campanelli e altri strumenti rumorosi. Finito il terremoto, la candela nascosta veniva rimessa sull’altare, per annunciare con la sua luce la speranza di salvezza per ogni cristiano: l’Ufficio delle Tenebre era terminato.

Eloquente la correlazione con i drammatici eventi della Passione. Giuda che tradisce Gesù, gli apostoli  che lo abbandonano, Pietro che lo rinnega sono simboleggiati dalle candele che si spengono. La Sua luce rimane da sola, ancora per qualche tempo: è sulla Croce. L’ultima candela nascosta dietro l’altare: il tradimento è compiuto. Un rumore confuso si ripercuote nella chiesa divenuta oscura: la natura partecipa delle sorti di Cristo. La candela riappare: l’umanità è stata redenta.

Del suggestivo rito è rimasta traccia nella memoria del popolo mandurino, sebbene con alcune varianti. Il ricordo della celebrazione delle ‘Tenebrae’ (‘lu piccia e štuta ti li canneli’ = ‘ l’accendere e lo spegnere delle candele’), da parte delle fonti intervistate, riguarda la chiesa di San Francesco e il Convento dei Passionisti. Il rito si svolgeva la sera del mercoledì della Settimana Santa. In chiesa veniva sistemato il candeliere triangolare, in cui erano inserite le tredici candele e si dava inizio alle letture dei salmi; alla fine di ogni salmo una candela veniva spenta e così fino all’ultima: «s’incominciava lu mercoledì a San Francesco, scìumu lu mercoledì la sera ca nc’era lu sacerdoti e ppicciaùnu tritici canneli e allora si facìunu li funziuni. Comu si facìa la funzioni, ca si liggìa, lu sacerdoti cussì štutava na cannela, èrunu tritici canneli, l’Apoštuli cu Crištu, ticìunu l’otri preghieri e štutàunu n’otra cannela. Tantu ca a unu a unu, li štutàunu tutti li canneli e ni lassàunu una sola, quedda ti Crištu (…) ca pregava all’albero dell’ulivu» (E.G.).  Era allora che i fedeli, nel buio sopravvenuto nella chiesa, intravedevano la sagoma di un uomo, il quale muovendosi tra i banchi raggiungeva la luce rimasta: era la personificazione di Giuda che cercava Gesù per tradirlo: «e allora la chiesa a llu scuru totali, nc’era Giuda ca girava ntra lu disiertu (…), allora comu eddi la cannela sola sciu ddo Crištu e lu tradìu» (E.G.). A quel punto, il tradimento era compiuto: i fedeli picchiavano forte ovunque, simulando un terremoto, rievocazione di quello che scosse la terra quando Gesù fu posto sul Golgota: «quannu rumanìa na cannela solamenti, ca era Crištu, fannu lu terremotu ca tannu lu šta tradìa Giuda (…) tuzzàunu a tutti li parti, ca dda a llu Cumentu nc’erunu li bancuri retu no, e si sintìa tu-tu-tu, comu na cosa ti terremotu, eccu» (E.G.).

L’articolo integrale si trova in Anna Stella Mancino ‘La Settimana Santa a Manduria’, in QuaderniArcheo, N. 9, maggio 2018, disponibile in biblioteca. Le foto sono prese dal web.

 











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