domenica 08 settembre 2024


17/04/2022 09:30:06 - Manduria - Cultura

Il simbolo dell’uovo e la derivazione del termine “scarcedda

Intanto a Manduria… I cambiamenti progressivamente intervenuti  in seguito all’introduzione della Riforma si evincono nel racconto delle fonti con la distinzione fra il tempo della tradizione e quello della contemporaneità («prima si facìa, moni so ni faci cchjùi» = “prima si faceva, adesso non si fa più”).

Attualmente, il tempo della Veglia Pasquale è la sera del Sabato Santo, quando, qualche ora prima della mezzanotte, il canto del Gloria e il suono a distesa delle campane annuncia al mondo la Resurrezione di Cristo. Nella Settimana Santa del passato, il giorno della Resurrezione era la mattina del Sabato Santo, «Prima la Messa si facìa il Sabato a mezzogiorno, ora invece si faci il Sabato notte» (E.G). Lo scampanìo glorioso si diffondeva  in tutto il paese, fin nelle campagne: momento di preghiera, «li crištiani si inginocchiàunu e ticìunu “pace, pace, pace!, è risorto Gesù”» (T.E.), ma non solo. In quel momento, si compivano alcuni riti di liberazione dalla presenza del maligno, usando a tale scopo la strategia del rumore: «Lu Sabbutu Santu a mezzogiorno sunàunu li campani, nui ni nginucchiàumu tutti mmienzu casa e puei tuzzàumu ca si n’era assiri lu tiàulu (…) Gesù risortu ai cu la bandiera no, e dicìumu “mena, mena, Gesù Crištu, Gesù Crištu» (C.C.). I gesti potevano essere diversi: coloro che erano nei campi battevano sulla zappa, i fabbri percuotevano sull’incudine; coloro che erano rimasti a casa picchiavano sui mobili o aprivano l’uscio per permettere l’uscita del maligno («ca si n’era assiri lu tiàulu», G.A.), qualcuno scuoteva la palma benedetta sul letto: «quannu è štatu ma pijata la Palma Benedetta e l’èrumu dari sobbra a llu liettu e si n’era fùciri lu tiàulu» (D.G.), altri buttavano delle pietre nel pozzo per scijari (=scomporre) l’acqua: «li zii mia si tàunu ta fari a tuzzari a lli porti e ticìunu: “minàmu na petra ntra lu puzzu cu si nnessi lu tiàulu” e ju ntesi cussìni e inveci ti petri piccinni ni pijài una cchjù granni, pinsava ca era cchjù forti a ncapu a llu tiàulu e la minai ntra lu puzzu» (A.M.); «quando suonavano le campane per la Resurrezione, allora si usavano li pozzuri ti l’acqua, cu l’acqua cu lu sicchiu, e “tira lu sicchiu ti l’acqua, scija l’acqua, scija l’acqua… cu si ni ai lu tiàulu, si ni ai lu tiàulu”…(T.E.). Il maligno, che era entrato nel mondo con la morte di Cristo, era così cacciato via.

Il suono del Gloria significava anche la fine di un digiuno che si era fatto sempre più rigoroso in seguito all’intensificarsi dei riti religiosi nel corso della Settimana Santa. L’espressione popolare «Osci so li Cruci, tumenica li Parmi e all’otra è pani e carni» (“Oggi sono le Croci [la settimana precedente quella Santa], domenica saranno le Palme, e all’altra [domenica], successiva alla Palme, sarà pane e carne”) fa riferimento, pur nella drammatica sequenza degli avvenimenti svoltisi in quel tempo sacro che fu, ad un elemento che più volte ritorna nelle interviste, quello del cibo: la tavola di Pasqua riccamente imbandita (ma non per tutti) dopo il digiuno quaresimale.

Nonostante l’astinenza alimentare, i primi giorni della Settimana Santa (tra Lunedì e Mercoledì e comunque prima del Triduo Pasquale) erano tradizionalmente dedicati alla preparazione di ‘scarcedde’ e ‘puddiche’, in quantità sufficiente a riempire alcune ceste da portare in chiesa e distribuirne ai fedeli bisognosi. Le ‘scarcedde’ e le ‘puddiche’ erano realizzate con un particolare impasto, rispettivamente dolce o salato, alla cui base era posto un uovo.

Simbologia dell’uovo — Come elemento simbolico, l’uovo è fortemente presente nei riti di primavera in tutte le culture e in tutte le epoche. In molti riti pagani, le uova erano legate al ritorno della primavera, stagione di rinascita di tutta la natura, ritorno alla vita e alla luce dopo i freddi mesi di buio invernale. Storicamente, l’uso di regalare uova per celebrare l’inizio della primavera (il dono delle uova avveniva in occasione del relativo equinozio) è molto antica e risale a prima del cristianesimo. Era un’usanza invalsa già presso gli antichi persiani, cinesi, egizi e successivamente anche presso i greci; i romani usavano colorare di rosso le uova e sotterrarle nei campi per propiziarne la fertilità e l’abbondanza del raccolto.

Relativamente alla simbologia cristiana, l’idea ancestrale del guscio in cui risiede il germe della vita è passato a significare il sepolcro dal quale Cristo è risorto, quindi non solo la rinascita primaverile della natura, ma di Cristo e dell’uomo stesso. A questo proposito, la tradizione orale tramanda una leggenda (risalente ai vangeli apocrifi) secondo la quale Maria Maddalena si recò dall’imperatore Tiberio presentandogli un uovo, per annunciare la Resurrezione di Gesù; all’incredulità di Tiberio circa la possibilità di risorgere dai morti, la stessa possibilità per quell’uovo mostratogli di diventare rosso, quell’uovo assunse improvvisamente proprio quel colore, a simboleggiare il sangue versato  da Cristo per la redenzione dei peccati dell’umanità.

Il cadere della Pasqua cristiana all’inizio della primavera ben si è prestato, nel corso dei secoli, ad assimilare tutto il simbolismo associato alle uova e ai riti legati a questa festività.

Il termine ‘scarcedda' deriva infatti dalla necessità di ‘scarcerare’, di liberare (quindi ‘rinascere’) le uova ‘intrappolate’ tra le strisce di pasta. La ‘liberazione delle uova’ avveniva proprio allo scampanio che annunciava la Resurrezione: «lu Sabbutu Santu ca scapulàunu li campani, stàunu cu li uei a manu li crištiani e ticìunuO sona o ma la mmoccu” (= o suona o la metto in bocca).

Intanto ci si era già fatti un’idea dell’andamento del raccolto durante l’annata. Infatti, nel calendario contadino tradizionale, la Pasqua è un giorno di marca, ossia uno di quei giorni che consentivano alle comunità rurali di trarre presagi meteorologici leggendo e interpretando determinati fenomeni naturali. Alcuni modi di dire, riferiti alla Pasqua, ne sono esplicita testimonianza: «Pasca marzòtica, o murtalitati o famòtica» (se la Pasqua cade di Marzo, sarà un’annata di morte o di carestia); «Ci uèi na bbona annata, Natali assuttu e Pasca mmuddata» (se vuoi una buona annata — in termini di raccolto — il tempo a Natale deve essere buono, piovoso a Pasqua).

L’articolo integrale si trova in Anna Stella Mancino ‘La Settimana Santa a Manduria’, in QuaderniArcheo, N. 9, maggio 2018, disponibile in biblioteca. In foto ‘Resurrezione’, olio su tela commissionata a Napoli nel 1724, autore Andrea D’Aste (?) presente nella Chiesa Collegiata di Manduria. La foto è tratta dal volume ‘Iconografia sacra a Manduria’ di Massimo Guastella, consultabile in biblioteca.

 











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