“Le cose da salvare” di Ilaria Rossetti, vincitrice della quarta edizione del premio Neri Pozza, è la veste letteraria di un tragico fatto di cronaca nazionale
Voce del verbo 'salvare', modo 'non finito', tempo 'mai passato'.
Salvare è uno dei verbi semanticamente più belli, trova applicazione in un ‘continuum’ evocativo molto ampio e contiene ben chiaro in sé il concetto di ‘togliere dal pericolo’ qualcuno o qualcosa.
'Le cose da salvare'... una lista di oggetti da sottrarre al pericolo, dunque! Una questione di facile soluzione, se non ci fosse, a scardinare tutto, un'estensione più intima e profonda delle cose: gli affetti, i ricordi, la vita o la sua negazione.
Nel libro di Ilaria Rossetti, l’incipit ci parla di Gabriele, colui che sembra essere il protagonista della storia, pensiamo con lui, viviamo con lui gli attimi devastanti del crollo del Ponte, ci chiediamo assieme a lui cosa fare e cosa salvare. «Gabriele pensa alle cose da salvare (…) Fatica a respirare, l’ossigeno è acido di detriti, di benzina, di fuoco (…) L’urto ha aperto nidi di crepe nelle finestre della cucina (…) Sono trascorsi alcuni minuti e Gabriele si è frugato piano nelle tasche. Ha trovato le sigarette, chiuso e riaperto gli occhi, cercando un baricentro: nel soggiorno intatto alle sue spalle, nei mobili dritti, nell’oscillazione arrestata (…)» (pp. 7-8). Gabriele, con lo sguardo fisso, ripete a sé stesso che il Ponte è crollato; gli altri inquilini scendono giù per le scale, bussano alla sua porta, lo invitano a raccogliere quel che può e a lasciare la casa, ma «il panico gli si è addensato nelle vene», capisce che forse crollerà tutto e deve andare via il prima possibile, «ma quali sono, quali sono le cose da salvare?». Lo sguardo di Gabriele corre in tutta la stanza, posandosi su ogni cosa intrisa di passato: un trofeo, una lampada, una fotografia della sua ultima terza media. «Ci sono troppe cose da salvare. Non si alzerà a evacuazione finita. Non si alzerà nemmeno all’arrivo dei vigili del fuoco, della polizia, l’intero mondo a intimargli di abbandonare la sua casa e mettersi al sicuro. Gabriele, immobile sul divano, si accenderà una sigaretta» (pp. 7- 11).
Altri personaggi fluttuano nella storia, fissati progressivamente sulla pagina da un’urgenza emotiva che li accomuna: salvare le cose per salvare se stessi.
C’è Petra Capoani, una giornalista che scrive per un giornale di provincia. È lei a raccontare la storia di Gabriele Maestrale, un professore di matematica in pensione, l’uomo che, ad un anno dal crollo del Ponte, vive asserragliato nella propria casa in totale abbandono e solitudine. Petra, rientrata da poco in Italia da Londra, è costretta a gestire a poche ore di distanza l’uno dall’altro due eventi ‘straordinari’: la morte della madre, malata terminale, e l’incarico del giornale per il quale lavora, accettato con senso del dovere ma con scarso entusiasmo. «E’ che crediamo di essere in grado di ricordare la vita com’era prima della crepa,della consunzione, della scommessa perduta (…) e avrei dovuto salvare quella meraviglia, metterla al riparo. Ma la realtà è che non possediamo questa lucidità» (pp. 13-14).
E poi suo padre Alfio che, vedovo da una settimana, acconsente a rivedere, dopo quarant’anni, la sua ex fidanzata Vanda, la quale custodisce un segreto per lui: «C’era stata la menzogna, semplice e forte della circostanza: Ho saputo del tuo lutto, condoglianze vediamoci. (…) distruggere quelle lettere non era servito a lenire la sua angoscia; credeva di averle fatte a pezzi per evitare che mio padre le trovasse, ma la realtà era che aveva agito per se stessa. (…) Scongiurare i sensi di colpa verso chi la credeva apparsa quasi per caso. L’incrociarsi fortuito di due orbite parallele: quando invece nulla, di quell’incontro tra lei e mio padre, era accaduto per caso» (p. 113).
Anche il tempo sembra perdere linearità nell’economia del romanzo.
Gabriele sentiva che il tempo era rallentato e ogni singolo minuto riecheggiava con stupore millenario su tutta la materia di quella casa (…)» (p. 22).
In una bizzarra grammatica delle emozioni, il passato remoto per Gabriele si coniuga in un presente infinito, con laceranti squarci di condizionale senza futuro, proprio come quel moncone del Ponte sul lato sud.
Per Petra, invece il presente rotea su sé stesso, in una circolarità che solo Wanda riuscirà a scardinare, rivelandole quel segreto che Alfio ignorerà per sempre: «Non so come la prenderebbe. Non sono sicura che ti vorrebbe ancora (…) E adesso è meglio che tu ci sia, credo che gli farai bene» — è la conclusione di Petra.
Alfio, invece, dopo il primo incontro con Vanda, dopo «quei secondi rarefatti» in cui ha rivolto il pensiero alla moglie «chiedendole perdono per aver acconsentito a quell’incontro, per aver così tanta voglia di rivedere quell’amore antico» (p. 45), riesce a riversare il passato prossimo in piccole porzioni di futuro.
Fra tutti, Petra è colei che non crolla, è il ponte che unisce le differenti vite, tutte ricche di solitudine, e ognuna con le proprie ‘cose da salvare’ in case impregnate di vita e di memoria.
È lei a dare senso a tutto ciò che, tragicamente, è stato. Anche a quella ‘cartelletta di plastica’ consegnatale dal professor Maestrale, contenente la lista definitiva delle cose da salvare: «E’ un po’ il mio saluto a tutta questa storia» — le dirà Gabriele. Parole sibilline, che conducono dritti al colpo di scena finale brillando sulla pagina di luce propria.
‘Le cose da salvare’ di Ilaria Rossetti, vincitrice della quarta edizione del premio Neri Pozza, è la veste letteraria di un tragico fatto di cronaca nazionale, ed è disponibile in biblioteca.