Il volume consigliato in occasione del centenario della nascita e a 47 anni dalla tragica morte di Pasolini
A chi, in occasione del centenario della nascita e a 47 anni dalla sua tragica morte, volesse seriamente confrontarsi con l'opera e la figura di Pier Paolo Pasolini, risulterà molto utile la lettura di questo testo di Antonio Tricomi, a lui dedicato. Lettura impegnativa, diciamo subito, per la messe di dati e riferimenti critici, nel mentre le notizie biografiche si limitano all'essenziale. Il libro fa parte di una collana, intitolata "Sestante", dedicata da Salerno Editrice ai principali autori della letteratura italiana e straniera, in cui trovano posto, tra gli altri, i contributi di studiosi quali Marziano Guglielminetti (“Pirandello”), Giulio Ferroni (“Ariosto”), Mario Pazzaglia (“Pascoli”).
Tricomi, saggista, critico letterario e cinematografico, giornalista, docente a contratto presso l'Università di Urbino, si dedica da tempo allo studio di Pasolini, cui ha fornito già in passato importanti contributi, muovendo dalla constatazione che, malgrado il trascorrere del tempo, la cultura italiana non ha mai smesso di fare i conti con lui. Ed infatti, nel ripercorre puntualmente le tappe del suo intenso lavoro intellettuale, a partire dalle iniziali prove poetiche, e poi, via via, prendendone in esame tutta la sterminata produzione, in versi, in prosa e cinematografica, l'autore non tralascia mai di confrontarsi con quanti, letterati, critici, intellettuali, di Pasolini hanno detto e scritto (Contini, Fortini, Salinari, Trombadori, Sciascia...),né dimentica di fare cenno alle numerose polemiche di carattere letterario in cui fu coinvolto, una fra tutte, quella con Eugenio Montale.
Poco spazio si dà invece alle vicende giudiziarie in cui Pasolini fu impegnato per tutta la vita, a partire dagli anni giovanili di Casarsa, a causa della sua omosessualità e del carattere, considerato blasfemo, di alcune sue opere.
I tratti salienti della sua complessa psicologia e il costante lavorìo interiore che li accompagna vengono restituiti principalmente attraverso le lettere private. Vediamo così venire alla luce il complicato rapporto col padre, l'assolutizzante affetto per la madre, il costante ricordo del fratello Guido, partigiano ucciso da partigiani, lo sconforto per le nozze di Ninetto Davoli, amico di una vita.
Troviamo in queste lettere confermato quello che è poi l'assunto critico fondamentale di Tricomi: l'essere tutto il lavoro intellettuale di Pasolini non altro che un incessante dialogo con sé stesso, nel ripensare e rivedere tanto il proprio ruolo di autore impegnato, all'interno della società italiana, quanto le proprie opere, messi, l'uno e le altre, al vaglio degli esiti che l'evolversi di quella società, dal dopoguerra in poi, offriva, di volta in volta, al suo sguardo critico. Se dunque Pasolini ha inizialmente pensato sé stesso, gramscianamente, come coscienza critica e cantore della classe degli sfruttati ed emarginati, vittime della modernità borghese, ma di cui è possibile il riscatto se divenuti consapevoli del valore della propria cultura (posizione che si riflette nelle opere del primo periodo romano, “Ragazzi di vita”, “Una vita violenta”...); se in seguito, e per tutta la vita, considererà una missione segnalare e combattere “la mutazione antropologica” del popolo italiano, il “genocidio delle culture marginali” ed uno “sviluppo senza progresso” (posizione che lo porrà in contrasto col PCI, cui per altro aderiva, anche se in posizione critica); alla fine, prenderà atto che anche le classi popolari si sono adeguate alla modernità consumistica e che “i ragazzi di vita” si sono a questa perfettamente omologati, perdendo ogni originaria innocenza. A questo esito perverrebbe dunque il lungo lavorìo di ripensamento, concretizzato nell'opera incompiuta “Petrolio”, che Tricomi definisce un “testamentario autoritratto intellettuale”, in cui Pasolini, pur ribadendo la propria irrinunciabile vocazione civile, ma consapevole di non poter cambiare le cose, non si rivolgerebbe ormai più ai contemporanei, ma alle generazioni future, senza tuttavia illudersi di venire ascoltato.
A tanti anni dalla sua morte, la fortuna critica di Pasolini è sempre crescente, come se si avvertisse il bisogno di rintracciare in lui un modello di intellettuale civile, o per trovarlo superato o per vederlo incarnato in qualcuno. Inattuale, nella crisi generalizzata della modernità, che non permette più alcun progetto di emancipazione collettiva, o precursore dell'odierno opinion-maker, post-ideologico ma pur sempre politico, assiduo frequentatore dei media, eclettico sperimentatore? Rispetto a queste alternative l'autore non prende posizione, ma gli sembra indubitabile che Pasolini appartenga all'ultima schiera di poeti e letterati che, nel '900, ancora credettero che la letteratura, la tradizione storico-culturale e la loro opera, di conseguenza, avessero un ruolo nella costruzione di una società più giusta. In questo senso sarebbe lecito affermare che Pasolini fu l’ultimo degli umanisti.
Termina così il libro di Antonio Tricomi, che ci lascia col desiderio di interrogare più a fondo la figura e l'opera di questo instancabile testimone del suo tempo che fu Pier Paolo Pasolini. Una interrogazione per cui si fa stimolo e guida l'eccezionale apparato bibliografico che chiude il volume.
Il volume “PASOLINI” di ANTONIO TRICOMI è disponibile in biblioteca.