Saggi di scavo condotti dalla Soprintendenza Archeologica di Taranto hanno confermato la valenza del sito, portando alla luce, nei pressi della chiesetta, alcuni tratti murari di una fattoria romana, con recupero, tra l’altro, di una moneta del 270 d.C.
La chiesetta di S. Maria di Bagnolo si colloca nel territorio a sud-ovest di Manduria, a due chilometri, circa, dalla frazione di Uggiano Montefusco, e si pone in posizione leggermente elevata, all’interno di un contesto territoriale fertile e pianeggiante, frequentato da epoche remotissime.
Ricerche antiche e recenti documentano, in zona, resti di un villaggio neolitico (VI/V-IV/III millennio a.C.) ubicato nei terreni a ridosso della vicina masseria La/e Fiat(t)e (a 200 metri, circa, a nord della chiesetta), mentre presenze di impianti rurali di età ellenistico-romana, sviluppatisi (in continuità o in sovrapposizione) tra il IV-III sec. a.C. e l’epoca imperiale, caratterizzano il podere occupato dalla chiesetta. Altri reperti di superficie conducono ad epoca tardo-antica (lucerna paleocristiana: IV-V sec. d.C.) ed altomedievale (moneta dell’Imperatore Leone VI: 886-912 d.C.).
Segue l’età medievale matura e tarda, documentata dai tanti frammenti vascolari rinvenuti nei poderi della zona, associabili a classi ceramiche di ampia diffusione tra il XII-XIII ed il XIV-XVI secolo.
Tra queste, ben rappresentato risulta il pregiato vasellame da mensa (in protomaiolica e/o invetriata policroma) utilizzato durante l’età di Federico II di Svevia (Puer Apuliae), fautore della ripresa insediativa ed economica dei nostri territori. Saggi di scavo condotti dalla Soprintendenza Archeologica di Taranto negli anni 1990-91 e 2000 hanno confermato la valenza del sito, portando alla luce, nei pressi della chiesetta, alcuni tratti murari di una fattoria romana, con recupero, tra l’altro, di una moneta del 270 d.C. Si aggiunge un antico sepolcreto, scoperto a nord dell’edificio sacro (poi ricoperto), datato in età tardo-medievale.
I ritrovamenti risalenti al Medioevo sono logicamente riferibili al casale con adiacente edificio di culto (Oppidum Balneolorum et sacra aedes) tradito dalle fonti; casale segnalato, altresì, in documenti redatti tra il XIII e XIV secolo, che lo indicano in territorio di Oria, ma dipendente dall’Abate del Monastero dei SS. Pietro ed Andrea di Taranto; casale occupato, all’ epoca, da un numero di abitanti superiore agli ottanta della vicina Pasano, dichiarato infine ”disabitato” in documenti del XVI secolo.
Di questa lunga storia resta, oggi, la sola chiesetta, modificata e rimaneggiata, che notizie di fonte tradizionale collegano con un monastero di Monaci Basiliani, fondato, sul posto, intorno al X-XI secolo. Notizia purtroppo priva di documentazione probante, che tende a relazionare le origini della chiesa di Bagnolo (come di altre chiese o luoghi sacri del Salento) con la presenza, nel nostro Mezzogiorno, di questi monaci greci o italo-greci dediti a vita ascetica, particolarmente attivi tra l’VIII e l’XI secolo, organizzati in piccoli nuclei insediativo-religiosi (cripte, cenobi, lauree) intorno ai quali si svilupparono, pian piano, varie aggregazioni umane (villaggi, casali, chiese).
Tralasciamo, per ora, tale ipotesi o memoria monastica (che pare comunque conservarsi nella denominazione di “Abate/Abazia/Badia di Bagnolo” o “Bagnolo de Abbate” riportata in atti e documenti dal XIV secolo in poi) e soffermiamoci sulla chiesetta.
Essa presenta un’unica aula di forma rettangolare (m. 10,70x4,95), orientata in senso E-O, coperta da due volte (la prima a crociera, all’ingresso, l’altra a croce, sul vano altare), sorrette da sei pilastri addossati ai muri laterali. La porta d’accesso, priva di protezione, è rivolta ad ovest ed immette su una passerella metallica che si arresta a breve distanza dall’altare; tale passerella, realizzata a seguito degli scavi archeologici operati in zona (anno 2000), consente di osservare, alla base, alcuni blocchi di fondazione attribuiti al precedente impianto romano.
Molto evidenti, all’interno, gli atti vandalici compiuti dai soliti clandestini alla ricerca di “tesori”. Sino ad alcuni anni fa (1974-75) la chiesetta presentava solo lesioni leggere ed era dotata di qualche arredo sacro e di alcuni sedili di legno; vi era anche una balaustra di pietra, rialzata di un gradino, che separava i fedeli dal presbiterio.
Oggi la parete d’altare appare in gran parte abbattuta. La superficie risparmiata presenta, in alto, una piccola nicchia con cornice aggettante; in basso, al centro, si osserva parte di un’altra nicchia simile, più grande, profilata d’azzurro, in cui si segnala una tela dipinta (poi trafugata) raffigurante la Madonna delle Grazie col Bambino; a destra di tale nicchia si pone una cornice “a medaglione” (anch’essa profilata d’azzurro) recante la figura di un Vescovo benedicente (con animali ai piedi), in cui si è soliti identificare S. Eligio, protettore di bovini ed equini.
Un’altra cornice simile compariva sul lato sinistro del muro, poi abbattuto, con immagine non riconoscibile nel personaggio raffigurato. La parziale demolizione di tale parete e dell’altare in tufi attribuito al Settecento (che conserva ancora, nella parte superstite, l’originaria decorazione in color oro ed azzurro), ha messo a nudo un muro retrostante, affrescato, ovviamente di epoca precedente.
Qui si osserva, in alto, la deposizione di Gesù dalla croce e, in basso, nel riquadro centrale, l’immagine alquanto danneggiata del Bambino in grembo alla Madonna; nei riquadri laterali vi erano due figure maschili, una scomparsa, l’altra visibile dal tronco in giù.
Lungo le pareti poste a sinistra ed a destra dell’altare, al disopra di due sedili in pietra in parte danneggiati, si notano altri affreschi abbastanza rovinati (due a destra ed uno a sinistra) datati al XIV o agli inizi del XVI secolo, circa, ispirati al tema della Vergine con Bambino. Un altro affresco, senz’altro coevo, si scorge sulla parete a destra della porta d’accesso, accanto ad una grande nicchia arcuata (intuitivamente di pari epoca) con tracce di decorazioni pittoriche. Molto interessante il bel campanile a vela posto sul terrazzo, ingentilito da motivi a merletto, con terminazione triangolare caratterizzata da tre cavità, forse destinate a contenere coppe decorative in terracotta, recanti il disegno della croce.
Difficile stabilire le fasi cronologiche della chiesetta e le modifiche strutturali intervenute nel corso dei secoli. Originariamente era, forse, a più navate, come ipotizzato, tra l’altro, dalle fonti storiografiche precedenti. Probabilmente il tetto originale era a spiovente (con travi ed embrici), poi a terrazza.
Alla struttura antica appartengono certamente le due finestre monofore visibili nei muri volti a Nord ed a Sud, sostituite, poi, da finestroni più alti.
Ad interventi forse finali possiamo attribuire la fascia di azzurro (colore piuttosto ricorrente in questo edificio) che percorre, alla base, i muri perimetrali, nonché la calce e le picchiettature sugli affreschi dei muri laterali; affreschi che, a ben osservare, costituiscono un insieme stilisticamente e cromaticamente omogeneo, distinguendosi dalle immagini retrostanti la parete d’altare, forse successive. Lo stesso campanile a vela, per il quale si propongono raffronti di XIII e XIV secolo, pare slegato dalla restante struttura e recuperato da un impianto precedente.
Molti dei rifacimenti interni, unitamente ai muri di contenimento esterni, possono risalire al 1743, probabilmente realizzati a seguito del terremoto del 20 Febbraio che tanti danni produsse ad altre chiese della zona (vedi i contrafforti esterni nella chiesa della Madonna di Pasano, in agro di Sava). Altri interventi (purtroppo privi di documentazione probante) sono attribuiti, dalle memorie locali, alla nobildonna Marianna Giannuzzi, la grande benefattrice della fine del Settecento, che tanti beni elargì a Manduria ed alla vicina Uggiano.
In questo stesso secolo, in data 21 giugno 1788, il re deliberò essere mere “cappellanie laicali” la Badia di Santa Maria di Bagnolo con quella vicina di S. Anastasio ed il possesso di esse fu concesso dal re Ferdinando IV al Cardinale Diomede Carafa (26 Agosto). Altre notizie riferite al Settecento indicano che l’Abate di S. Maria di Bagnolo vantava diritti su prodotti agricoli nel feudo di Bagnolo (con relative masserie) e di S. Anastasio; aveva anche il diritto del curativo del lino presso la fonte di Borraco, in condivisione sol Principe Imperiali di Manduria. L’ultimo Cardinale che possedette Bagnolo, nel 1867, fu Girolamo d’Andrea. Tolto il beneficio ecclesiastico, le due abbadie (di Bagnolo e di Sant’Anastasio) divennero beni temporali vendibili, non assorbite dallo Stato con Decreto del 4 giugno 1873.
La nostra chiesetta, frequentata, un tempo, dagli abitanti delle masserie vicine e dai villeggianti estivi, sarebbe stata officiata, per l’ultima volta, nell’anno 1962; poi un lento ed inarrestabile declino. In epoca recente (anni 1999-2000, circa), divenuta di proprietà comunale, è stata interessata da interventi di recupero rimasti purtroppo sospesi. L’edificio versa, oggi, in condizioni di estremo degrado, esposto a furti e vandalismi, con lesioni sempre più gravi e “minacciose” nelle volte. Miserevole sorte per un monumento antico, ricco di fede e di storia.
In attesa di un recupero completo, si auspicano, quanto meno, adeguati interventi di tutela e consolidamento statico … con una certa urgenza, però, prima che tutto crolli.
Paride Tarentini