«Dov’era il Calvario, andava qualche domestica, in quel martedì, ad aprire ponendo l’olio nella serratura del cancello che chiudeva il recinto del monumento come l’abside di una chiesa, come l’esedra di un teatro antico»
Il cammino cominciato deve continuare, ma il tempo naturale assume una connotazione differente durante la Settimana Santa: è un tempo mitico e rituale eppure concreto e operativo. Con l’approssimarsi dei giorni del triduo pasquale, il popolo dei fedeli tesse una trama temporale sempre più complessa, ponendo in essere un tempo qualitativo, vissuto in funzione di un tempo altro, divino: l’eternità.
L’articolato e solenne apparato rituale religioso introduce nell’orizzonte temporale tradizionale un sistema di valori, simboli e significati profondamente sentiti, quasi introiettati, da quanti vivono con autentica devozione l’evento fondante della cristianità: il mistero della Passione, Morte e Resurrezione del Cristo.
Da ‘La Festa Cresta – Dalle Palme al Sabato Santo con la gente del Sud’ di Rosario Jurlaro, con 21 tavole illustrate di Domenico di Castri, Longo 1983.
"Il martedì santo si era, anche per il clima maturato con le prediche dei quaresimalisti, più prodighi nell'offrire, ma più pronti anche a chiedere che si pregasse di più perché si restasse liberi dal malocchio e dall'invidia dei cattivi.
Erano giorni, quelli della Settimana Santa, in cui si pensava che chi praticava, come prigioniero del diavolo, la magia, sacrilegamente si appropriasse dell'acqua santa, dell'olio delle lampade che ardevano in chiesa innanzi al l'Eucaristia o delle candele accese alla messa della cena del Signore per preparare filtri d'amore o condanne a morte.
(...) Nelle campagne vi era invece chi preparava tante croci con rami d'albero e le buttava lungo i sentieri che la vittima di quella iattura avrebbe attraversato.
(...) In quei giorni, che erano giorni di gioia e di mestizia, di festa e di lutto, non si sarebbe voluto fare niente.
Di più, quel martedì, infausto come i venerdì per cui si sconsigliava di sposarsi, di partire, di dare inizio ad alcuna opera, di sarebbe voluto escluderlo dalla settimana.
(...) Tra questo e quel da fare vi erano alcuni confratelli che andavano a cantare dietro l'altare, nel coro della loro chiesa, i brani del Vangelo di San Marco, parallelo a quello di san Matteo letto due giorni prima alla messa delle palme. Era quella la seconda Passio che si cantava durante la settimana santa (... ). Nelle chiese non erano gli sguardi delle immagini dei santi, né della Vergine né dei crocefissi, coperte con panni violacei fin dall'altra settimana, a stupirsi di certi accordi mancato, di certe stirate di voci.
(...) All' ‘Ite Missa est’ vi era sempre chi restava in chiesa per l'allestimento dell'addobbo al sepolcro.
(... ) La croce dei «Misteri» veniva pulita, lucidata e magari ritoccata nel disegno e nelle tinte, perché dovevano bene notarsi i simboli della Passione rappresentati quasi in compendio sopra di essa. (... ) Agli estremi dei bracci teneva infissi due chiodi dai quali pendevano fasci di corde annodate alle punte: gli scudisci. Dalle estremità dei bracci al piede erano posti di traverso, da una parte, la lancia inastata che trafisse il costato, dall’altra la scala che servì per calare giù il Cristo morto. Attaccate sopra i bracci, vi erano poi le sagome intagliate e dipinte di altri simboli: la lanterna che servì a Giuda per cercare il Maestro nell’orto degli ulivi; la colonna alla quale fu legato per la flagellazione; il martello con il quale si erano battuti i chiodi per la crocifissione. Quei simboli, che erano attrezzi delle arti e dei mestieri, legavano chi li usava quotidianamente al ricordo della passione per cui tutti dovevano sentirsi in colpa ed operare in quella settimana di penitenza e di assicurato perdono perché fosse mutata la morte in vita eterna come era avvenuto tanti anni prima in Terra Santa.
In quei giorni il potatore non saliva sulle scale per potare gli alberi anche perché non poteva usare l’accetta che aveva lama tagliente. In quei giorni il falegname non usava il martello e le tenaglie (…). Dio notte non andava il carrettiere con la lanterna accesa sotto il traino se doveva viaggiare (…). Nessun muratore in quei giorni avrebbe mai costruito una colonna o un pilastro perché quelli sarebbero stati come un rinnovato strumento della flagellazione. I funari (…) in quei giorni non lavoravano, perché non dovevano torcere le corde per fustigare il corpo di Cristo.
(…) Dov’era il Calvario, andava qualche domestica, in quel martedì, ad aprire ponendo l’olio nella serratura del cancello che chiudeva il recinto del monumento come l’abside di una chiesa, come l’esedra di un teatro antico.
(…) Alle donne venute per aprire il cancello e per dare inizio ai lavori di ripulitura si erano subito associate altre del vicinato che a sera avrebbero preso in consegna le chiavi per poter dare l’ultima spolverata il giovedì, per aprire quando c’erano le processioni e per sorvegliare che le elemosine non venissero rubate da qualche sacrilego. Anche questi c’erano in ogni paese e restavano tali, cattivi r profittatori, anche nei giorni della settimana santa, quando invece si diceva che addirittura le bestie erano commosse dai patimenti di Cristo, come il pettirosso che aveva tolto una spina dalla sua fronte ed il sangue spruzzato gli aveva per sempre lasciato la macchia sul petto.
Il pettirosso partiva da queste contrade quando era il tempo della pasqua, non prima, si diceva, di avere tolto, ancora per quell’anno, la spina dal capo del Cristo e di essersi di nuovo insanguinato il petto».
I precedenti post, riguardanti la domenica delle Palme e il lunedì santo sono disponibili ai seguenti link