Il Sabato Santo viene cristianamente vissuto nel tempo del silenzio, dell’attesa e del lutto (l’Eucaristia non viene celebrata e la comunione è concessa solo ai malati), fino alla Veglia solenne, qualche ora prima della mezzanotte, quando il canto del Gloria e lo scampanìo che ne segue annuncia la Resurrezione
Attualmente il Sabato Santo è un giorno a-liturgico: viene vissuto nell’attesa, nella preghiera e nella meditazione. Ma non è stato sempre così.
Nel mese di ottobre del 1949, presso la Congregazione dei Riti, fu nominata una commissione liturgica incaricata di studiare eventuali riforme del rito romano, nell’intento di avvicinare maggiormente la Chiesa alle esigenze e ai cambiamenti che la società dell’epoca richiedeva.
La prima questione di cui la commissione si occupò fu proprio quella riguardante gli orari che regolavano il procedere liturgico della Settimana Santa, in particolare quello della Veglia Pasquale. A questo proposito, fu approvato “ad experimentum” un documento (‘Ordo Sabbati Sancti’ del 9 gennaio 1951), che permetteva la celebrazione serale del rito del Sabato Santo (dalla veglia “in mane” alla veglia “in nocte”). I lavori della commissione continuarono negli anni successivi fino alla pubblicazione (16 novembre 1955) del decreto "Maxima redemptionis nostrae mysteria", contenente le nuove disposizioni liturgiche per la Pasqua dell'anno successivo.
La decisione di anticipare la veglia alla mattina del Sabato Santo era stata presa verso il XVI secolo, verosimilmente per ragioni di pubblica sicurezza, dati i pericoli che si correvano a stare fuori casa a tarda notte. Di fatto, tale prassi si consolidò a tal punto da rimanere in vigore fino agli anni Cinquanta del XX secolo: l’annuncio della Resurrezione veniva dato prima di mezzogiorno del sabato mattina con lo scioglimento delle campane, rimaste silenziose dal Giovedì Santo.
Eppure nella Chiesa delle origini, il Sabato Santo era vissuto a-liturgicamente, come tempo di attesa e di riflessione sui misteri della Passione: anche le Sacre Scritture riportano che Gesù è rimasto nel sepolcro dalla sera del Venerdì fino all’alba del giorno dopo la festa del Sabato ebraico, che oggi è la Domenica di Pasqua.
È proprio quanto è avvenuto con la reintroduzione della Veglia Pasquale il sabato sera, contenuta nella riforma liturgica di Pio XII, la quale prevede che la Veglia abbia inizio dopo la mezzanotte e comunque mai prima del tramonto del sole. Tenendo presente quanto riportato dalle scritture, il Venerdì Santo il corpo del Signore venne deposto dalla Croce, trattato e sepolto nel sepolcro nuovo; l’intera giornata del sabato il sepolcro venne guardato a vista dalle guardie; la domenica mattina le donne (che andarono al sepolcro per l’imbalsamazione del corpo) trovarono la pietra rotolata. Ne consegue che la Risurrezione si colloca nella notte fra il tramonto del sabato e l’alba della domenica.
Non essendo sopraggiunta nessun’altra modifica al riguardo, attualmente il Sabato Santo viene cristianamente vissuto nel tempo del silenzio, dell’attesa e del lutto (l’Eucaristia non viene celebrata e la comunione è concessa solo ai malati), fino alla Veglia solenne, qualche ora prima della mezzanotte, quando il canto del Gloria e lo scampanìo che ne segue annuncia la Resurrezione.
Da ‘La Festa Cresta – Dalle Palme al Sabato Santo con la gente del Sud’ di Rosario Jurlaro, con 21 tavole illustrate di Domenico di Castri, Longo 1983.
«I carboni erano offerti, in una cesta foderata di tela violacea, da una devota che li aveva raccolti (…) il mattino di natale quando in cucina, sul piano di focagna, aveva trovato che il ceppo acceso per il rito la notte della vigilia si era quasi consumato. Sotto la cenere lei aveva cercato il rosso dio pochi carboni ancora accesi e li aveva spezzati e presi con le mollette e riposti in un vecchio tegame (…)»
Quei carboni dovevano essere riaccesi il sabato santo (…). Traeva il sacerdote il fuoco dal riparo di tre pietre e postolo nell’incensiere l’alimentava finché dai carboni non fosse venuta la fiamma. Lo aspergeva quindi con l’acqua santa e lo benediceva perché quello era il fuoco nuovo della santa stagione.
(…) Il sacerdote accendeva, sulla candela che il diacono aveva acceso con la fiamma del fuoco nuovo, altre tre candele, delle “la rondine”, perché erano poste in cime ad una canna come le punte di un tridente (…). Le candele de “la rendine” venivano accese, tra preghiere ed esorcismi, una all’ingresso della chiesa, una nel mezzo della navata e l’ultima quando si era sopra il presbiterio. al lato dell’altare. Si benedicevano quindi i cinque grani di incenso e si inchiodavano a croce sul ero pasquale che era stato fuso con la cera portata dai fedeli.
(…) Quando il prete con la mano tagliava l’acqua nella vasca in quattro parti, a croce, e versava l’olio dei catecumeni e quello del crisma, il sacrestano doveva trasmettere se i tagli erano fatti fino in fondo o solo in superficie, se l’acqua era stata tutta rimossa, se vi era stato principio di schiuma bianca, se l’olio si era mescolato e che forma avesse assunto slargandosi in superficie dopo versato.
(…) Quella era l’ora [il mezzogiorno] in cui tutti si sarebbero trovati pronti, se non erano in chiesa, nelle loro case, nelle botteghe (…) Tutti erano, come per intesa, ad attendere che scoccasse il primo tocco della risurrezione perché, slegate dal sacrestano le campane, mentre quelle suonavano a festa, avrebbero dovuto accompagnare quel suono con quello di pentole battute, di cocci che si rompevano, di trombette che suonavano. (…) perché si era sicuri che ogni rumore frastornasse il diavolo che era da scacciare, quel giorno in cui vincitore assoluto era il Signore risorto.
(…) Si usciva poi di casa per scambiarsi gli auguri e tutti si scambiavano baci sulle guance perché tutti del vicinato si ritenevano come di una sola famiglia. Se vi erano ancora risentimenti e qualche vecchio rancore non cancellato dalle perdonante predicate durante la quaresima, bisognava cancellarli.
(…) Quando il Cristo era risorto e la statua, seminuda, con la bandiera crociata di rosso in mano, per via di particolari congegni e di tanto incenso che si faceva bruciare dietro l’altare, saliva fino a porsi tra le nuvole di carta attaccate all’addobbo che faceva da sfondo alla chiesa, tutti erano buoni».