La proposta avanzata da Michelino Fistetto col suo ultimo libro “Alla ricerca delle origini delle Perdonanze e del pellegrinaggio San Pietro in Bevagna-Manduria”
Pellegrinaggio arboreo di San Pietro in Bevagna: sia candidato ad essere riconosciuto presso l’UNESCO come “bene culturale immateriale dell’umanità”.
Rilanciamo la proposta avanzata da Michelino Fistetto col suo ultimo libro “Alla ricerca delle origini delle Perdonanze e del pellegrinaggio San Pietro in Bevagna-Manduria” e, al contempo, vi riproponiamo un articolo del prof. Nicola Morrone, da noi pubblicato nel febbraio scorso.
Lo scorso 8 febbraio è stato presentato al pubblico, a cura dell’UNITRE, l’ultimo volume di Michelino Fistetto, dal titolo “Alla ricerca delle origini delle Perdonanze e del pellegrinaggio San Pietro in Bevagna-Manduria”.
In occasione della presentazione, che si è svolta in forma di dialogo tra l’autore e l’avv. Luigi Stano, si è deciso, tra l’altro, di riproporre al pubblico un suggestivo documentario di Costanzo Antermite sulla Processione di San Pietro (2001), che sarebbe bello fosse in qualche modo divulgato.
Alcune considerazioni sul volume di Michelino Fistetto sono già state fatte da Anna Maria d’Andria (cfr. ManduriaOggi, 7/2/2024). Vorremmo in questa sede mettere in evidenza brevemente quelli che a noi paiono i punti salienti dell’opera, meritevoli di un ulteriore sviluppo.
Il lavoro di Fistetto si divide idealmente in tre parti. Nella prima, l’autore formula alcune congetture sulla presenza di elementi della cultura ebraica nella struttura delle Perdonanze e della Processione di San Pietro. Quest’ultima, se originariamente non aveva periodicità fissa (si svolgeva infatti per impetrare la pioggia nei momenti di siccità) si svolge ora ogni cinque anni, come da decreto vescovile del 2009.
Nella seconda, l’autore presenta e commenta quattro inediti documenti (si tratta di atti notarili conservati nell’Archivio di Stato di Taranto, risalenti al 1792 e al 1801), che offrono inedite ed importanti notizie sulle Perdonanze e la Processione di San Pietro, come si svolgevano prima del passaggio di titolarità del Santuario dal clero regolare (i monaci benedettini di San Lorenzo d’Aversa) al clero secolare (i preti della Diocesi di Oria), avvenuto nel 1807.
Il lavoro, che è dotato anche di una piccola appendice fotografica (tratta dalla collezione di Aldo Chimienti) si conclude, nella terza parte, con una rievocazione delle impressioni dell’autore sulle processioni petrine a cui egli ha partecipato, mescolate ai più vari riferimenti alla storia di Casalnuovo/Manduria, e con la riproposta del testo di una recente conferenza sull’argomento, che presenta aggiornati riferimenti ai contributi degli studiosi locali.
Nella prima parte del volume, dunque, l’autore formula una congettura che può sembrare piuttosto ardita, richiamando un suo recente lavoro in cui essa è stata più ampiamente argomentata. Secondo Fistetto, le Perdonanze e la Processione di San Pietro,così come vengono oggi celebrate e ritualizzate, furono frutto di un’“integrazione”avvenuta secondo l’autore nel sec. XVI, tra elementi della cultura cristiana ed elementi della cultura ebraica, a seguito della conversione di molti ebrei della città al cristianesimo.
Nel sec. XVII, poi, la struttura delle Perdonanzee della Processione di San Pietro sarebbe stata “contaminata”dal rito ebraico della Festa delle Capanne, acquisendo l’attuale configurazione (p.16). Come però opportunamente suggerisce Erika Bascià nella prefazione all’opera, “non sempre le trasformazioni più ancestrali a cui facciamo riferimento sono tangibili e ben documentate, né tanto meno dimostrabili, ma questo non delude la possibilità che ipotesi empiriche, pur rappresentando la semplice “vulgata “ collettiva, possano avere radici più solide e più fondate in una comparazione storica di relazioni di convivenza”(p.7).
In effetti, l’ipotesi di lavoro proposta da Fistetto si fonda, per ora, esclusivamente su un confronto morfologico tra i riti cristiani e quello ebraico di riferimento, mancando di fatto un sostegno documentario. A questo parallelo formale l’autore dedica dunque la parte più corposa del suo volume (pp.9-30).
In attesa del ritrovamento di documenti che, in qualche modo, possano fare luce sul passato più remoto di questo rito, suggeriamo per il momento di interessare alla Processione di San Pietro, ora che ve ne è l’opportunità, la cattedra di Antropologia Culturale dell’Unisalento, oltre che, naturalmente, quella di Scienze Umane del liceo “De Sanctis- Galilei” di Manduria. Dalla collaborazione dei vari gruppi di ricerca, che potrebbero attivarsi già a partire dalla Processione di San Pietro del 2025, potrebbero emergere importanti elementi sugli aspetti antropologici di questo rito così suggestivo, che l’autore desidera sia candidato ad essere riconosciuto presso l’UNESCO come “bene culturale immateriale dell’umanità”.
Nella seconda parte del volume, quella riservata alla trascrizione e commento di quattro atti notarili reperiti nell’Archivio di Stato di Taranto (con l’aiuto di Mariolina Alfonzetti), l’autore giunge ad un’importante acquisizione storica: la conferma, su base documentaria, della datazione della stipula dell’“atto di consegna” del quadro di San Pietro ad epoca anteriore all’arrivo del clero diocesano a Bevagna. In un articolo uscito sul periodico”La Torretta” del 2 Maggio 1926, intitolato “Santu Pietruti li macchi”, lo storico locale Michele Greco ipotizzava infatti che “l’atto di consegna”del quadro di San Pietro dal clero di Bevagna alla comunità di Manduria fosse “un fatto tradizionale”, da riferirsi all’epoca della presenza del clero benedettino nel nostro territorio. Riprendendo le sue parole, “la consegna al rappresentante di Manduria è tradizione costante ed antichissima, e dovrebbe essere interpretata come un atto di garanzia da parte del Rettore del Santuario, onde evitare, come avveniva varie volte in altri paesi, che la fede dei devoti impedisse il ritorno del quadro miracoloso al Santuario di San Pietro in Bevagna che da tempo remotissimo era di pertinenza del Monastero dei Padri Benedettini d’Aversa[….]. Era logico quindi che, trasportato il quadro miracoloso in territorio non dipendente dalle possessioni dei Padri Benedettini, il rappresentante di essi, cioè il Rettore del Santuario, richiedesse una solenne promessa di restituzione del quadro. Ora che il povero Santuario ha perduto tutto il suo feudo [il Greco si riferisce alla confisca del patrimonio fondiario degli ordini religiosi possidenti, tra cui i Benedettini d’Aversa, ai primi dell’800] e il suo territorio ricco [la cosiddetta “grancia” di San Pietro in Bevagna] l'atto di consegna è inutile: ma è bene conservarlo nella sua solennità”.
Michelino Fistetto ha pubblicato nel suo studio i documenti finora più antichi relativi alle Perdonanze (1792) e alla Processione di San Pietro (1792 e 1801), confermando che la pratica di stipulare “l’atto di consegna” nei pressi della Cappella della Pietà era in vigore già al tempo dei monaci aversani, come appunto ipotizzato un secolo fa dal Greco. Del resto, anche la storiografia locale conferma questo dato, poiché un accenno a tale formalità è anche nell’opera di P. Domenico Saracino, dal titolo “Breve descrizione dell’antica città di Manduria, oggi Casalnuovo (1741). Agli studiosi rimandiamo,a questo punto,la risoluzione di alcuni dei problemi posti dalle fonti recentemente scoperte. Quale era, per esempio, la natura delle competenze giuridiche esercitate in rapporto al feudo di Bevagna?Quali erano le prerogative dei benedettini, e quali quelle dell’autorità municipale? Il primo documento riportato dall’autore (1792) suggerisce in questo senso un approfondimento. Il prof. Fistetto lavora da molti anni sugli atti notarili conservati nell’Archivio di Stato di Taranto, relativi alla “piazza” di Manduria. Crediamo che la ricerca debba continuare, poiché nuove acquisizioni documentarie potrebbero darsi sulla Processione di San Pietro e sulle Perdonanze, anche con riferimento ad epoche più antiche.
Nella terza ed ultima parte del lavoro si sente più forte la presenza dell’elemento autobiografico. Chi ha letto gli altri libri di Fistetto è abituato a veder comparire spesso, nella trama del discorso storico, inserti relativi al suo personale pensiero sui problemi trattati. Si tratta di considerazioni che, se da un lato rivelano la personalità dello studioso, dall’altro, con riferimento a quest’ultimo lavoro, parlano di un mondo di cui il sottoscritto (nato nel 1975) non ha fatto parte, cioè il mondo perduto, per citare il titolo di una nota serie di documentari di Vittorio de Seta (1954-1959). Il mondo perduto sarebbe il mondo agricolo-pastorale precedente all’avvento in Italia, negli anni ’60, dell’industrializzazione e della civiltà dei consumi, che, se da una parte migliorarono le condizioni materiali del nostro Paese, dall’altro causarono la scomparsa di un’intera civiltà.
Segnaliamo, di sfuggita, che abbiamo partecipato per la prima volta alla Processione di San Pietro nel 1989, con il gruppetto di giovani guidato dall’indimenticabile Padre Raffaele Bonaldo, quando il vecchio mondo era già scomparso. Sulla scorta delle descrizioni di chi lo ha vissuto cerchiamo oggi, nelle soste sull’arenile, di immaginare lu tisiertu di Bevagna, da cui partiva alle prime luci dell’alba la processione. Se lo scenario esteriore è irrimediabilmente mutato, ci si ritrova però oggi, come allora, ancora insieme, per rinsaldare il vincolo comunitario, e procedere insieme nel cammino della vita confortati dal fiducioso sguardo dell’Apostolo.
Nicola Morrone