Quando correva, Valerio si sentiva onnipotente, e ciò gli permetteva di rasserenarsi, viaggiare con la mente e sgomberarla dai pensieri malsani che lo assillavano ininterrottamente
La corsa stava terminando. Valerio, che aveva vagato per qualche istante nei ricordi della sua infanzia, ritornò al presente e si concentrò sull’andatura, velocizzandola e allungando la falcata mentre il suo respiro diveniva sempre più affannoso. Doveva ancora percorrere un paio di chilometri per raggiungere l’arrivo, e la restante parte del percorso era intervallata da tratti sterrati e tratti su strade asfaltate. Lungo l’ultima parte del tragitto si incrociavano tratturi che separavano poderi, dove qua e là spiccavano casotti rurali in cui i contadini ponevano cianfrusaglie o, in caso di pioggia, trovavano riparo. Tra i campi si stagliavano anche masserie disabitate e decadenti, incombenti sulla terra rossastra, cotta dal sole, e sui vigneti e oliveti, colture predominanti in quel territorio.
Durante gli allenamenti, emozioni esaltanti prendevano forma in Valerio, la cui unica sfida era vincere se stesso e battere il tempo ottenuto nelle sue precedenti sessioni di attività motoria. Quando correva, Valerio si sentiva onnipotente, e ciò gli permetteva di rasserenarsi, viaggiare con la mente e sgomberarla dai pensieri malsani che lo assillavano ininterrottamente.
Valerio era una persona riservata e spesso si estraniava da una società che considerava falsa e ipocrita, chiudendosi in solitudine, afflitto da una costante incapacità di affrontare la vita a causa della sua incontrollata timidezza e ansia. Questi problemi lo tormentavano sin dall’infanzia e avevano inciso profondamente sul suo carattere e sulla sua esistenza, segnata da uno sconforto che, col tempo, non era mai scomparso.
Rivedeva spesso quella stanza buia in cui si era spento suo padre e avvertiva, con malinconia, la mancanza di una carezza e dello sguardo amorevole di quel genitore verso il proprio figlio. Valerio non aveva autostima ed era sempre pervaso dal disagio per il suo aspetto fisico: esile, di bassa statura, con un volto pallido e glabro, lineamenti delicati, quasi infantili, che aveva conservato. Riviveva il terrore di quei giorni trascorsi a scuola, il rimbombo delle urla di rimprovero della professoressa di matematica per non aver studiato, e il peso del giudizio della docente, che lo dipingeva come un ragazzo svogliato e infantile. La sua unica consolazione restava Silvana, una ragazza per la quale Valerio la immaginava, provando per lei un amore smisurato. Silvana lo ascoltava in silenzio e comprendeva le sue autentiche emozioni. Valerio aveva sempre sognato accanto a sé una ragazza come lei: dalla presenza aggraziata, dallo sguardo vivace e dalla voglia inesauribile di vivere. Per quel ragazzo, Silvana era la luce del giorno, l’energia più intensa, la speranza della sua esistenza. Sarebbe stato pronto a rischiare tutto pur di averla, ad affrontare ogni avversità della vita e persino ad atterrare su Marte. Amarla lo avrebbe finalmente reso felice.
Tuttavia, Valerio esitava a esprimere i suoi sentimenti per timore che lei non lo ricambiasse e non accettasse il suo incompreso idealismo. Era angosciato, titubante, ma doveva trovare il coraggio di dichiararsi a Silvana ed esprimerle ciò che l’amore gli suggeriva. Il suo cuore accelerava i battiti ogni volta che la ragazza gli era accanto e, in una splendida serata estiva con la luna piena, avrebbe manifestato il proprio amore per lei. Valerio era pronto: aveva scelto il giorno, l’ora e il luogo adatto per l’incontro con la ragazza. Aveva optato per quel tratto di costa dalla sabbia finissima, orlato dalle dune ammantate da ginepro, affacciato su un panorama paradisiaco.
Più volte si era esercitato a inspirare e espirare per allontanare l’ansia, acquisire fiducia e sicurezza, e ripetuto tra sé e sé quella frase d’amore da dedicarle. Tuttavia, il suo fantastico progetto, elaborato e rielaborato nella sua mente, sfortunatamente non si realizzò. Valerio cercava Silvana e chiedeva a chiunque se qualcuno l’avesse vista, ma nessuno seppe dargli una risposta. Lei era misteriosamente scomparsa, senza lasciare traccia di sé. Continuò a cercarla disperatamente, invaso dalla delusione e dallo sconforto per quella ragazza che come per un sortilegio, si era volatilizzata. Alla fine, Valerio, dovette rassegnarsi a un’altra delusione, come gli era già accaduto nella vita. Egli si sentiva smarrito e, ancora una volta, solo, in preda alla malinconia…
A metà del percorso, in mezzo a un campo di terra arida e carsica, sorgeva una quercia secolare. Spesso, mentre correva, Valerio osservava con curiosità quell'albero che emergeva dal terreno brullo e incolto. In primavera, l’enorme pianta diventava meta affollata di stormi di uccelli, e il continuo via vai delle madri che portavano cibo ai loro piccoli nascosti nei nidi riempiva l’aria di un dolce frastuono, tra pigolii e battiti d’ali. D’inverno, l'albero restava spoglio, privo dei suoi fedeli amici pennuti, ma conservava intatta la sua maestosa bellezza. Nonostante il passare degli anni e delle stagioni, appariva sempre vigoroso, con un fogliame rigoglioso, come se volesse sfidare il tempo. Quell'albero rappresentava per Valerio un simbolo di longevità e forza, un amico silenzioso che la natura gli offriva per fargli compagnia durante le sue corse. La quercia immobile lo attendeva sempre, pronta a dargli conforto.
Un giorno, mentre percorreva il solito tragitto, Valerio decise di fare una breve sosta. Stanco e intriso di sudore, si sedette ai piedi dell'albero, appoggiando la schiena al tronco. L'ombra della quercia lo riparava dall’aria afosa e dal sole cocente, i cui raggi infuocati inaridivano ancora di più la terra riarsa. Chiuse gli occhi per qualche istante, assaporando il silenzio di quel territorio selvaggio. Poi raccolse alcuni sassolini e, facendoli scivolare tra le dita, li lanciò uno dopo l’altro, cercando di colpire un grosso sasso che affiorava dal terreno, per metà avvolto dall’ombra dell’albero.
Ne raccolse poi uno dalla forma vagamente appuntita. Non lo lanciò come gli altri, ma lo strinse tra le dita, si alzò, si avvicinò al sasso e, chinandosi, incise con energia una scritta sulla superficie del masso. Terminato il suo lavoro, ricoprì completamente l’incisione con la terra. Quelle lettere, nascoste sotto il suolo, racchiudevano il segreto più prezioso della sua vita: il nome della persona che avrebbe sempre amato, la sua unica certezza, la sua più fedele amicizia. Nessuno avrebbe mai potuto svelare quel segreto, destinato a rimanere sepolto per sempre.
Valerio trovava spesso riparo sotto quella quercia, fino a quando, un giorno, semplicemente, non tornò più. Qualche anno più tardi, il campo venne acquistato da un contadino, che lo rese fertile e produttivo.
Una mattina, mentre dissodava la terra, il contadino rimosse un sasso e notò con stupore che sulla sua superficie era inciso un nome. Sette lettere, scolpite con mano decisa, ma ormai sbiadite dal tempo.
Quel nome era Valerio.
Walter Pasanisi